venerdì 31 dicembre 2010

LA FEBBRE DEL 31 DICEMBRE


La febbre del 31 dicembre è una sensazione che mi prende alla gola da un po' di anni a questa parte. E' come se tutto il peso dell'anno passato si riversasse sulle mie spalle. Passano i volti, le parole, le cose che in dodici mesi mi sono corsi davanti agli occhi, mi hanno trapassato le orecchie. Passano. C'è una specie di angoscia in questo giorno, talmente tanta angoscia che non riesco a capire come la maggior parte delle persone che conosco abbia voglia di festeggiare. Non so, ci si fa gli auguri, si spera sempre nel nuovo anno come se fosse migliore. Io non faccio più progetti, ho imparato a non farne più. Che tanto, dopo 28 anni di esistenza, sono sempre nello stesso punto. Non cambio, non evolvo, non cresco. Mi sono detta che il 2011 potrebbe essere l'anno in cui decidere di diventare grande, di prendersi delle responsabilità, di iniziare a costruire. Costruire cosa, mi chiedo. Se tutto quello che so fare è vivere di passato e malinconia, come posso costruirmi un futuro? E infatti, non faccio progetti, ma faccio resoconti dell'anno passato, che quelli li so fare sempre bene, chissà poi il perché. Allora mi sono messa li, foglietto alla mano, pensando alle cose successe in questo 2010 che, stranamente, non mi è pesato così tanto. Eppure di cose stronze ne sono successe. Partiamo, dai...facciamo una lista...



Ovaie perse...una

interventi chirurgici...due

sigarette fumate...migliaia

persone che mi hanno delusa...alcune

persone che mi hanno profondamente delusa...una

persone trovate...molte

persone perse...poche

persone che mi hanno stupita...alcune

persone speciali...poche ma tutte degne di nota

amori finiti...zero

amori mantenuti...uno

lavori persi...zero

giorni di lavoro persi...abbastanza

lacrime versate...discreta quantità

crisi di panico...pochissime

crisi depressive...meno del 2009

libri letti...meno di quelli che avrei voluto

film visti...meno di quelli che avrei voluto

musica ascoltata...poca, troppo poca. 

pedalate in bicicletta...zero

camminate estive...troppo poche

calorie ingurgitate...un puttanaio


chili presi...troppi

chili persi...zero

sogni inquieti...troppi

notti insonni...poche ma toste

litigate...non eccessive

poesie scritte...troppo poche

giorni vissuti intensamente...uno o forse due

giorni non vissuti...troppi

posti visitati...alcuni e mi sono rimasti tutti dentro

fotografie scattate...tante ma non quanto avrei voluto

incidenti stradali...zero





e poi non mi viene in mente altro...l'unica cosa che so è che sono ancora qui. Anche perchè, l'unico proposito per l'anno nuovo che io possa fare, almeno almeno, è quello di uscirne viva ogni volta. 

 


giovedì 30 dicembre 2010








"O GIORNI O MESI CHE ANDATE SEMPRE VIA. SEMPRE SIMILE A VOI E' QUESTA VITA MIA. DIVERSO TUTTI GLI ANNI E TUTTI GLI ANNI UGUALE. LA MANO DI TAROCCHI CHE NON SAI MAI GIOCARE, CHE NON SAI MAI GIOCARE..."


sabato 25 dicembre 2010

NATALE A TRENT'ANNI


Natale a trent'anni non è niente. Cammini per i viali con le luminarie intermittenti, vedi balconi con i babbo natale rampicanti e non senti niente. L'apatia assoluta di un giorno come un altro. Natale a trent'anni è solo un giorno in più di ferie dal lavoro, un giorno che, per altro, quest'anno è sabato. Fai qualche compera, prendi qualche dono per gli amici, per qualche bimbo che conosci, magari per cercare di regalare a loro quell'emozione che tu non senti più. Sono finiti i giorni di giubilo e serenità. Rimani nel tuo appartamento vuoto, senza addobbi, senza alcun albero illuminato e non t'importa niente. Che se poi, almeno, fossi credente, lo spirito di condivisione, del giorno di bontà, di pace e famiglia sarebbe anche un tantino tangibile. E invece niente. Natale a trent'anni non è più quello di una volta. Quello di svegliarsi all'alba per andare a vedere, col cuore in gola, i regali sotto l'albero. Non è più caricare in macchina il camper di barbie o il gioco in scatola per andare al classico pranzo natalizio dai nonni. Non c'è più la nonna, non c'è più il natale. E ogni anno iniziamo ad avvertirlo sempre meno, fino a non avvertirlo veramente più. Natale, un giorno come un altro se hai trent'anni. Eppure, c'è un momento, un momento solo, in cui tua madre ancora non ha capito che hai trent'anni. Ti regala un pacchettino con dentro un berrettone e attaccato un biglietto...una caccia al tesoro per trovare il resto del regalo. Solo in quel momento, per pochi istanti, anche se hai trent'anni, inizi a correre su e giù per casa sua, con la curiosità di una bimba. E in quei pochi secondi, quando trovi il sacchettino rosso appeso al camino con dentro una discreta quantità di euro, pensi che, anche se solo per un attimo, hai sentito il natale. E non è stato il regalo in sé, non sono stati i soldi a fartelo sentire, ma solo la sensazione, se pur breve, di esser tornata indietro nel tempo, di non aver perso proprio tutto dei natali di una volta. Di essere ancora, infondo infondo, la bambina che sei sempre stata. 


venerdì 17 dicembre 2010

DEI DECODER E DEI DIGITALI TERRESTRE


Ok, mi sono lasciata convincere. O  meglio...dopo aver notato una discreta dose di sofferenza negli occhi del mio uomo per non poter vedere i vari dopo partita e il signor Orler che vende i quadri, ho concesso che per Natale, il sopracitato mio uomo, come regalo, mi facesse il decoder per poter vedere la tv. Dopo essere tornata dall'ospedale, comunque, non eravamo già più in analogico e per una settimana ho fatto tranquillamente senza. Tranquillamente nel senso che proprio la tv non mi mancava per nulla. Mi sono resa conto di quanto poco la guardi. Giusto i Simpson e magari il telegiornale ogni tanto. Qualche programma tipo Annozero o Ballarò e poi neanche sempre. Per la maggior parte del tempo che sto in casa, che poi si riduce, tendenzialmente, solo alla fase serale di una giornata, il mio televisore rimane spento. Poi c'è stata quella prima settimana di convalescenza dove ho fatto senza. E non ho avuto problemi, anzi, sentivo questo gran senso di liberazione per non dover, anche solo per sbaglio, incappare in qualche programma insulso come quelli della De Filippi o della Durso. Quando ho concesso questa cosa del digitale, mi sono detta che, magari, su 500 canali (sparo un numero a caso, non lo so quanti siano e, onestamente, non me ne frega un cazzo!) qualcosa di buono avrebbero passato. Invece, mi sono resa conto che se prima ti passavano merda su 10 canali, adesso ti passano merda, semplicemente, su 500 canali. Che il fatto è che se prima non riuscivano a passare un film decente in così poche reti, adesso, avendone così tante, rasentano proprio l'assurdo. Ho dato un'occhiata marginale a tutto l'ambaradan. E ho scoperto che, per esempio, ci sono reti dove passano solo ed esclusivamente pubblicità. O reti dove passano dei telefilm più antichi di me, serie tv che ormai sono sorpassate! E, soprattutto, che il canale dove il signor Orler vende i quadri è sparito dal raggio...e non lo possiamo più vedere. 

Poi, invece, c'è un canale che mi fa venire un gran nervoso. Passano dei programmi tipo dove ci sono delle coppie che vogliono comprare una casa e si affidano a della gente esperta che, in base al loro budget e alle loro esigenze, offrono varie soluzioni. Il budget medio si aggira sempre intorno ai 600 mila euro. Allora io come faccio a non incazzarmi quando vedo delle cose del genere? Ci sono persone che a malapena riescono a permettersi di pagare un affitto, persone strozzate dal mutuo per un monolocale da 300 mila euro! E vogliamo sbatter loro in faccia queste schifose realtà?! Sempre sullo stesso canale, c'è anche un programma dove ti insegnano come vestirti, ovviamente non lesinando mai sulla spesa. Vaffanculo! E' tutto quello che mi viene da dire!

Allora, a questo punto, oltre ad optare per la soluzione "ce l'ho, si, ma non me ne faccio niente", non posso fare a meno di chiedermi a che pro, tutti gli italiani pecoroni, hanno dovuto fare questa scelta...e, soprattutto, chi si riempie le tasche. Ma certo, chi si riempie le tasche lo sappiamo. E pur di non fare a meno di una cosa di cui si potrebbe fare benissimo a meno, ce la siamo fatti mettere, perdonatemi il francesismo, un'ennesima volta nel culo. Bravi noi...bravi loro!


lunedì 13 dicembre 2010

QUESTA VOLTA NON HO TORTO. QUESTA VOLTA NON CHIEDERO' SCUSA


Il fatto è che ha ragione la mia psicologa quando mi dice "Quand'è che smetterà di fare la figlia e comincerà a fare la donna?". Già, quand'è? Adesso, dottoressa. Adesso mi sono rotta i coglioni di fare la figlia, di essere sempre quella su cui viene riversato di tutto, quella ingrata, quella che se ne approfitta, quella che chiede e basta, quella egoista. Adesso mi sono rotta veramente di essere quella che viene vista per quella che non è, che ogni volta è colpa mia, che ogni discussione è colpa mia. Quella fissata per la pulizia (vaffanculo, va bene? vaffanculo! che per anni mi hai rotto il cazzo perchè dovevo tenere pulito e in ordine! e adesso cosa ti aspettavi?! vaffanculo!) che torna dall'ospedale e impazzisce perché la casa non è come la voleva lei. "Stai zitta, che poverina, tua sorella ha pulito tutto il giorno!". Ecco, sia chiaro, io non ce l'ho con mia sorella, è semplicemente il prodotto di un'educazione diversa da quella che è stata impartita a me. Ma ce l'ho con quell'altra, con quella che l'ha messa al mondo, che con sto "poverina" ha rotto veramente i maroni! Poverina?! Perché?!...Io alla sua età, 4 anni fa, stavo ben dietro ad una casa, da cima a fondo la sistemavo io. Non avevo paura di fare le lavatrici e non facevo tante mosse! Ma è lei la "poverina"...che se solo si rendesse conto di quello che dice, capirebbe che è sempre più uguale a sua madre! Ma lasciamo perdere. Questo solo per dire che io non voglio finire come lei, a dire le cose che non mi stanno bene solo quando una persona è morta! eh no, che cazzo! Sei viva e ti affronto da viva! E allora te lo dico, mi sono rotta le palle, ne ho i coglioni pieni! Settimana scorsa, era martedì, convalescente si, ma deambulavo bene, senza tanti problemi di stare in piedi, le dico che non si scomodino a venirmi a prendere per pranzo. Che mi arrangio a farmi un piatto di pasta. Alle 9 mi chiama mio padre, altro noto stronzo, che quando ci si mette è esemplare. Ma che ci devo fare? Non me lo sono scelto io, come non ho scelto io di fare un figlio per cercare di attaccare i cocci di un rapporto che era già in merda da un pezzo! Comunque, mi chiama mio padre e mi dice che sarebbe stato in giro e che sarebbe passato da me verso mezzogiorno. Gli chiedo se vuole fermarsi a pranzo, basta che si accontenti di un piatto di pasta. E lui accetta. Un piatto in più o un piatto in meno, cosa cambia?! E invece cambia! Quando l'ho detto a mia mamma, giusto per riderci un po', per ricordarle che uomo aveva sposato a suo tempo, per dirle che casualmente passa da me verso mezzogiorno, è venuto letteralmente giù il mondo! "io mi sono fatta il culo per 10 giorni per poterti stare dietro! Io mi preoccupo se devo andare a lavorare o no nel caso avessi bisogno! Io sono sempre disponibile! Io Io Io!!!"...Io l'ho mandata a cagare! Io non ho voglia che mi si rinfaccino le cose, che prima fai la madre premurosa, che non ti lascerebbe mai andare sotto i ferri senza che lei fosse lì e poi rinfacci che ti sei fatta il culo! Io mi sono decisamente stancata di non poter fare una scelta (capirai che scelta, quella di fare 2 etti di pasta anzichè uno!) senza che qualcuno non mi dica qualcosa! E allora basta! Ne avrai avute fin sopra i capelli, avrai avuto i tuoi cazzi, ce l'avevi per altri motivi...non mi interessa. O chiede scusa lei o io non mi faccio più sentire! E' passata quasi una settimana, ha chiamato 3 volte, forse, per chiedere semplicemente se ero viva. E' da martedì sera che non la vedo, me la so cavare da sola senza problemi! E non sono io che devo imparare questa cosa. Io lo so già che so cavarmela da me. E' lei che se ne deve fare una ragione. Io mi dissocio, questa volta non ho torto. 


lunedì 6 dicembre 2010

L'ALBA VISTA DA UNA FINESTRA D'OSPEDALE E' PUR SEMPRE ALBA




"Dalla finestra della mia stanza" - Casa mia (Foto Leanne)



E infatti c'è il sole, per la prima volta da quando sono qui. E lo vedo sorgere, mentre cerca di farsi spazio tra le nuvole. C'è il sole. E mi dimettono. Sono entrata in ospedale che nevicava e esco che c'è un bel cielo colorato, di varie sfumature. Non un cielo cupo, ma bello allegro. Anche la volta scorsa, a marzo, non so se vi ricordate. Sono entrata con un maglione pesante e sono uscita che avevo un gran caldo. Mica che fossero passate delle stagioni. Solo quattro giorni. Eppure il tempo era repentinamente cambiato.  Che a farci i conti, due interventi in un anno non è che siano proprio cosa da poco. Che la prima volta, poi, ero anche vicina a casa e anche se avevo più male ed ero più triste mi era meno pesante. Così, questa volta qui, vedere il sole, sabato mattina, appena alzata, mi ha fatto sentire anche un po' meglio. Non avevo dormito niente la notte prima. Erano anni che non soffrivo di insonnia. Che di solito io metto la mia testa sul cuscino, leggo un po' e poi gli occhi mi si chiudono da soli, in automatico, senza bisogno di spingere bottoni o cose del genere. Ma venerdì notte, l'anestesia della sera prima, il mal di stomaco, il gas che mi hanno messo per gonfiare la pancia e sicuramente una buona dose di nervosismo, mi avevano fatto diventare nottambula. Smanettavo al cellulare, leggevo "Gomorra" (sconsigliato per chi è in ospedale. non è leggerissimo e poi ogni tanto avevo gli incubi), facevo un quadro di sudoku o di parole crociate. Niente, il sonno non voleva venire. Le infermiere sono passate quattro volte a dirmi di dormire. Io sono andata in bagno a piangere una decina di volte. Mi irrita immensamente non riuscire a prendere sonno la notte, forse perchè è uno stato che proprio non mi appartiene. La mattina era stata abbastanza dura. Alle  7.00 un'infermiera viene al mio letto e mi dice di alzarmi che mi avrebbero dimessa. Mi toglie catetere, stacca tutte i fili della flebo e mi accompagna in bagno nonostante le mi proteste "Guardate che sono stata operata ieri sera, sono tornata su dalla sala operatoria alle 21.30!...siete sicure che dovete dimettere me?"...Avevo un male cane, il gas che usano per allargare i tessuti mi si era sparso per tutto il corpo e non riuscivo a camminare, stavo piegata in avanti, ingobbita, tra i cerotti e un forte dolore alla bocca dello stomaco...ma cosa volevano dimettere? Sono abbastanza cosciente per detestare un ospedale, ma lo sono ancora di più per capire che non è il caso di andarsene. Non mi hanno più detto niente, nessuno si è più curato di me, tranne un vecchio prete, tale Don Mario che mi ha guardata e mi ha detto " E tu, globulo bianco, la mangia la carne? sei pallida! Dovresti mangiare carne di cavallo"...mi ha fatta sorridere. Passa il professore a cui mi ero rivolta e, con mio grande sollievo, si rende conto che forse non è il caso di mandarmi a casa dopo 12 ore dall'intervento. Così mi rilasso e cerco di pensare il meno possibile al male. Che la cosa paradossale è che il giorno dopo è sempre peggio del giorno stesso di quando ti operano. Anche se il giorno stesso, in questo caso, ha messo a dura prova la mia ansia. Giovedì mattina, sveglia presto, dopo una notte passata discretamente bene. Misuriamo la febbre, pressione ok. Bene. Da lì in poi è solo attesa. Sai che non puoi bere, non puoi mangiare. Il problema è  che non sai quando ti opereranno. In giornata. Di sicuro non eri la prima. Alle 11.30 passa il professore e ti dice che hanno avuto un contrattempo, che tu saresti stata l'ultima della giornata ma non credono di farcela. O a sera tardi o il giorno dopo...che due maroni! Il giorno dopo? Devo passare un'altra notte con il patema? Devo stare ancora senza cibo? (io se non mangio almeno 3 volte al giorno svengo!)....ma, verso le 18, passa un'infermiera e ti caccia in bocca una siringa piena di valium..."intanto calmati un po' con questo"...da lì in poi è l'idillio. Cazzo. il valium...io non sono avvezza a certe raffinatezze! Mi metto il mio bel camice che mi tiene scoperto il culo, il solito insomma, e qualcuno mi porta in sala operatoria. Forse non era solo valium, forse c'era anche qualche sostanza tipo marjuana perchè rido e parlo tranquillamente. C'è una dottoressa con un sorriso bellissimo in sala. Sono una donna, ma mi innamoro facilmente delle donne che mi tranquillizzano. E' molto carina. Ride sempre e parla mai. E' sicuramente una specializzanda in chirurgia perchè ha un viso molto giovane, ma non so perchè, non ho paura di farmi operare da lei. Mascherina davanti alla faccia, forse...non sono sicura, non mi ricordo nulla, non mi hanno fatto contare, non mi hanno detto niente. Solo una flebo e poi il nulla, il solito nulla, quello della volta scorsa. Quel nulla che inghiotte tutte le lacrime e i miei piagnistei dei giorni scorsi, che inghiotte il nervosismo e la tensione. Il piacevole viaggio dell'etere....Mi svegliano. Ho voglia di vomitare, ovviamente. Ma anche questa volta me la cavo. Salgo in camera e so solo che mia mamma e fabio mi salutano e poi tornano a casa. Bacio sulla fronte di mia mamma, che vorrebbe rimanere con tutte le sue forze a farmi da sentinella per la notte, ma le infermiere le dicono che non può. Dormo. Qualcuno viene a cambiarmi la flebo di fisiologica di tanto in tanto. E' una signora con un camice bianco, i capelli grigi e la faccia senza una ruga...di quelle persone a cui proprio non sei in grado di dare un'età. Mi bagno le labbra con un fazzoletto e dormo. Mi sveglio e dormo. Ma sono tranquilla. Male ogni tanto, basta non muoversi. E questo è tutto, mi dico, sono viva ancora, sono qui ancora. Niente di trascendentale, ovviamente. Come dicevo la volta scorsa, sono poi interventi che non prevedono rischi particolari e che gli addetti ai lavori definiscono semplici e di routine. Il fatto è che, quando vivi tutto sulla tua pelle, la cosa è un po' più complicata. Ma sto bene e ho deciso di reagire a tutto. Ho i miei tre cerottoni nella pancia, mi faccio da sola le punture anticoagulanti nelle cosce, mi sdraio, mi alzo e anche se per qualche giorno dovrò stare a riposo, mi godo un attimo il fatto di essere ancora in piedi. 

Ci sarebbero ancora mille cosa da dire, dovrei parlare delle persone che mi sono state accanto, di quelle che mi hanno seguito tramite facebook, che mi sono state vicine con qualche parola e che mi hanno fatto ridere. Ci sono le persone che sono state fisicamente con me, che hanno preso treni e hanno dormito in residence sotto l'ospedale. Chi si è alzato alle 7 di mattina e si è macinato 500 km in poco meno di 5 ore per venirmi a prendere e riportarmi a casa. Ci sono le persone che ho conosciuto lì, c'è Anna, una donna carinissima, figlia della signora che mi era compagna di stanza. C'è Carlotta, un'infermiera apprendista che un giorno, mentre mi faceva una puntura ha tremato e l'ho presa in simpatia perchè mi faceva tenerezza. C'è mia sorella, che mi ha preparato la torta alla robiola, ha dato da mangiare ai gatti mentre non c'ero e mi chiamava tutte le sere. C'è mio padre che ha aspettato che lo chiamassi io ieri per dirmi che in questi giorni non ha tempo di venirmi a trovare. E poi non si è più fatto sentire. E poi ci sono io, che per quanto egoistico sia, vengo prima di ogni altra cosa. Ma, per essere leale e per ringraziare tutti, non so se l'avete notato, mi sono messa in fondo. 


domenica 5 dicembre 2010

IN TRENO










"Un viaggio lungo una rotaia" - Mulino sul pallone. Foto di Leanne



Erano anni che non prendevo il treno. Che poi, a me piacciono quei treni coi posti larghi o, al limite, quelli con le carrozze e gli scompartimenti. Che se uno è fortunato, entra nel suo scompartimento e non trova nessuno. E così rimane lì, bello tranquillo e chi si è visto si è visto. Io non l'avevo mica più l'abitudine ai treni. Che adesso, poi, sono anche cambiati. Intanto hanno anche la presa della corrente. Che te entri e vedi tanti giovani di oggi, gli imprenditori di domani, che stanno lì, col loro bel computerino portatile e si occupano di business e guardano facebook. Mi viene male, davvero. Perchè per il corridoio passano coglioni in doppio petto che parlano di affari al cellulare e avverto il loro stress. Mi viene male perchè la badante brasiliana non sta zitta un attimo, ha due telefonini e riceve e fa chiamate in continuazione per tutta la durata del viaggio e io non faccio che chiedermi quanta cazzo di gente conosce questa qui che ride e chiacchiera senza alcuna sosta e, nella maggior parte dei casi, senza prendere fiato!

Gente che scende, gente che sale, e sapere di essermi seduta in un posto che non è quello che mi avevano assegnato. Il brivido dell'illegalità, insomma!

Che poi, avendo il nonno capostazione, che di treni ne ha visti passare e ne ha presi parecchi, che poi, essendo cresciuta tra binari e fischi di locomotive impazzite, io dovrei avere abbastanza il gene del viaggio su rotaie. E invece non ce l'ho. Cosa devo dire, il viaggio in un treno pieno di gente mi fa venire un po' di nausea. Anche se, piano piano, mi rilasso e mi lascio incantare dal paesaggio che mi sfreccia accanto. 

E comunque, non sono solo i treni che non sono più quelli di una volta, ma gli stessi viaggiatori che ci salgono non hanno più l'aria poetica che ricordavo. Anche se c'è sempre il vecchietto col cappello che legge l' "Unità", la nonnetta col barboncino o la studentessa assorta, inghiottita da un libro di filosofia, non hanno più le stesse facce, gli stessi occhi profondi di chi si appresta al gusto del viaggio


lunedì 22 novembre 2010

LO ZIO DINO






 



Cimitero  monumentale di Forlì - "Il tangibile riposo dell'anima" - foto Leanne





Signori e signore, si muore. Io ve lo dico, ve lo voglio ricordare. E non voglio ricordarvelo perché sono una bastarda (cioè, anche un po' per quello), ma ve lo ricordo perché a me lo ricordano e allora da sola, con questa consapevolezza, io non ce la faccio a vivere. E stanotte ci ha lasciati anche lo zio Dino. Io con lo zio Dino non è che abbia mai avuto un gran rapporto, non ho ricordi, giuro, se me lo chiedete io delle zio Dino non ricordo niente, quando stava bene. Ma me lo ricordo dopo, quando è stato male. L'ho visto poche volte, ma tutte le volte che l'ho visto mi si stringeva un nodo alla gola e mi veniva da piangere. Stava lì, nel suo lettino con le sponde di ferro. Non parlava, ma ti guardava, con due occhi fissi e lucidi che ti spaccavano il cuore a metà. E poi gli prendevo la mano e lui me la stringeva, lo salutavo e lui, lo so, capiva chi ero. Forse, una volta, ha anche accennato un sorriso. Erano quasi due anni che stava così e quello che dicono tutti è "ha smesso di soffrire". Quante volte si dice, quando qualcuno muore, che ha smesso di soffrire, come a dare un motivo alla morte, come a vederla la soluzione ad ogni male. Io non lo so se lui, veramente, avesse più voglia di morire che di vivere. Voi lo potete dire? Perché quando guardavo quegli occhi azzurri e quel corpo magro, tutto pelle e ossa, io la vita ce la vedevo. Per quanto potesse essere faticosa, per quanto difficile potesse essere per lui non potersi muovere, non poter parlare, chi ce lo dice che lui avesse davvero voglia di morire? Io non lo so, voi neppure e forse neanche chi gli è stato vicino, chi lo ha accudito può dirlo con certezza. Forse si, forse no. Forse sta meglio per davvero. 



Signori e signore, io ve lo dico, prima o poi tutti si muore. 



E rimango qui, adesso, sapendolo una volta in più, con la sensazione di quella mano che stringe la mia mano e mi fa capire che è un saluto. Rimango qui, con una lacrima che punge l'occhio e un altro pezzo di vuoto. 


domenica 14 novembre 2010

DI UNA DOMENICA MATTINA D'AUTUNNO




 



Echeggia il suono dei passi tra il silenzio ovattato della nebbia, la nebbia che nasconde le case lontane. Il fumo dei camini mi entra nelle narici e mi fa pizzicare il naso, con forza, quasi a farmi starnutire. Sola, senza musica nelle orecchie, sola, con i rumori lievi della campagna. Uno stormo di uccelli, di colpo, parte a gran voce da un cespuglio celato dalla foschia. Mi fermo a guardare quegli uccelli, come se quel manto denso che li protegge fosse il loro luogo sicuro. E capisco che è anche il mio luogo sicuro. Il luogo sicuro dei ricordi e della serena nostalgia. Mentre cammino, tornano alla mente le domeniche mattina di quando ero piccola, il rumore del tornio dell'officina di mio babbo, io e la mia berrettina rosa lo raggiungevamo per giocare con pentolini di acciaio sulla stufa accesa da poco e per coccolare gli ultimi gatti arrivati. C'è odore di casa in quell'aria che respiro a pieni polmoni, odore di casa mia, della mia prima casa, con le foglie dei ciliegi morte, cumuli arancioni e gialli di resa infreddolita alla base di un tronco che tra qualche mese darà comunque ancora vita. C'è odore di quello che sono stata in questa domenica mattina d'autunno dove il fiato si condensa ad ogni mio passo e le guance mi pungo per il freddo. C'è mia madre che grida alla finestra che il pranzo è pronto e c'è il profumo delle sue tagliatelle al ragu che si sente fin dalle scale. Ci sono rumori di pentole che bollono nelle case contadine, dove sembra che tutto dorma ancora anche se è mattino inoltrato, c'è un cane che abbaia e mi viene incontro fermandosi al cancello ma non si vede il padrone. Come una strada fantasma quella che sto percorrendo, mi inghiotte nel suo passaggio, fatto di cose piccole nascoste e misteriose. Mi risucchia e mi mangia, masticandomi per bene, rigettandomi appena la nitidezza della città si avvicina. Ci sono io, quella di sempre, quella che non è mai come gli altri vorrebbero, ma quella che ama quello che è. Ci sono io, come sono stata e come sono. Io, che cammino tra pensieri gelati in ragnatele che piangono rugiada. 


martedì 26 ottobre 2010

RACCONTO BREVE: "QUEL CHE RIMANE...PER QUEL CHE VALE"




"Mi guarda con gli occhi delusi. Gli occhi più delusi che abbia mai visto in vita mia. Non so cosa le ho fatto, ma sono sicuro di averle fatto qualcosa. Altrimenti non mi guarderebbe con quegli occhi lì. Distoglie lo sguardo e finge di non avermi visto. Lo so che ho fatto qualcosa, ma lei non me lo dice. Parla con gli altri, sorride, la sua voce è allegra. Poi si volta verso di me, dalla mia parte, fissa il muro dietro la mia testa e il suo sorriso sparisce. Le ho fatto qualcosa. E' che io non so come spiegarglielo che non l'ho dimenticata. Ma lei ha deciso di smettere di esistere. E' sparita. Le guardo la schiena, ma in realtà è diventata vapore, sfuma e svanisce. E' sparita, non esiste più...per me. Nel dubbio, non le passo neanche vicino quando me ne vado. Preferisco eclissarmi con effetti speciali, prendendo una strada diversa. Non voglio affrontarla. Non ne sono capace. Non l'ho mai fatto. E sapere che lei ha deciso di non esistere più, forse, mi da anche un senso di sollievo. Lei ha smesso di esistere. Lei non è più niente. Eppure c'è, perchè la vedo. Rimane lì, dietro il vetro, con il suo cappello viola e la sigaretta in bocca. C'è, lei respira, parla, ride. E' solo per me che non c'è più. O sono io che lei non vede? E se fossi io a non esistere? La verità, invece, è che esistiamo ancora entrambi, solo in maniera diversa. Perchè, alla fine, quello che resta sono i cocci. I nostri cocci. Nel ricomporci abbiamo messo nel posto sbagliato alcuni pezzi, diventando così quello che siamo oggi. Lei è qualcuno che io non conosco. Io sono qualcuno che lei non conosce. Di quello che eravamo non esiste più niente. E' questo che oggi conosciamo. La certezza di non conoscerci più."




NB: ogni riferimento a fatti realmente accaduti e a cose o persone realmente esistenti è puramente e assolutamente casuale.

giovedì 14 ottobre 2010

L'AMORE E LA SUA SCADENZA...BEST BEFORE





L'amore ha una scadenza. Si, ce l'ha. Non è una data precisa per tutti, eh, sia ben chiaro. Ma l'amore una scadenza ce l'ha. Lo vedo, lo vedo di continuo, nelle persone che mi sono vicine, che prima sono illuminate dall'amore e poi, da un giorno all'altro, il loro amore scade. L'amore, questa cosa che noi, poi, ci permettiamo di chiamare amore. Che cos'è l'amore? Il sentimento profondo che proviamo nei confronti di un'altra persona, lo stesso sentimento che ci fa sentire compresi, ci fa venir voglia di condividere tutto con la persona che amiamo. L'amore. Il mio amore di solito ha una scadenza base di circa un paio d'anni. Dopo di che, comincia a sentire un po', a diventare rancido. Il mio amore, quello che mi fa venire mille dubbi su me stessa, mi fa pensare di essermi persa, di non trovarmi più. Questa volta però no, almeno, sembra che sia a lunga conservazione rispetto agli altri miei precedenti amori. Ha superato già di qualche mese i due anni e a dirla tutta, di stantio ancora non ci sento niente. Certo, magari la passione è un po' calata, non si limona più tre quarti d'ora davanti all'ingresso di casa appena ci si vede, la prima cosa che si fa non è fiondarsi sotto le coperte a fare l'amore e magari non ci si dice più tutti i giorni "ti amo" e non ci si dedica più poesie e frasi sdolcinate. Ma il mio amore, oggi, ha preso un'altra forma, ha una forma di progresso, di evoluzione. Il mio amore mi fa venire voglia di tornare a casa e trovare lui che mi aspetta, di andare a dormire ogni sera insieme e di svegliarmi insieme a lui tutte le mattine. Mi fa venire quella voglia di mettersi insieme al tavolino a fare i conti del mese, voglia di barcamenarmi tra bollette, assicurazioni e stipendi che non bastano mai. Mi viene voglia di una casa, di mobili, piatti e bicchieri. Di librerie stracolme di libri, e film tutte le sere. Mi viene voglia di nido. io, che la parola nido l'ho sempre usata pensando solo a me, oggi penso che mi piacerebbe per due. E non ho paura di non farcela, non ho paura di come andrà a finire, non ho neanche paura di portarmi sfortuna con questo post sull'amore e sulla sua scadenza, perchè la mia consapevolezza del "best before" rimane poi sempre. E nonostante sappia tutto, nonostante sappia che il per sempre non esiste, non mi dispiace pensare, non mi dispiace dire che il mio amore questa volta, per il momento, prosegue. Ha la sua scadenza, una scadenza tutta sua rispetto al solito. Solo lui sa quando vorrà andare a male e liquefarsi. 


domenica 3 ottobre 2010




Io sono colei che passa
nella vita degli altri
sono solo comparsa. 
Sono l'attrice per gentile concessione, 
sono solo un nome
in fondo ad un copione. 


sabato 25 settembre 2010

LA MORTE E' UN PROCESSO RETTILINEO


"Il fatto è che, vedi, questa volta, sono tutto occupato a morire. Lo so, detto così, alla prima persona singolare, è una cosa da non crederci, eppure, a rifletterci bene, è sempre alla prima persona singolare che si muore davvero. Ed è una cosa piuttosto inaccettabile, bisogna riconoscerlo. I giovani che senza paura partono per le crociate guerriere mandano sui campi di battaglia soltanto la loro terza persona. A Berlino! Nach Paris! Allah Akhbar! Mandano l'entusiasmo a morire al posto loro, un terzo imbottito di una carne che essi non sanno essere la loro. Muoiono nell'ignoranza di se stessi, con la loro prima persona rubata da idee contorte che hanno la faccia di Teston. 
Muoio, Loussa, te lo dico in tutta semplicità, muoio. Questo apparecchio davanti a cui ti estasiavi è semplicemente una dialisi ultimo grido, una novità che, in un certo senso, io sto sperimentando, che mi funge da reni, i due reni che Berthold mi ha fregato. (Un incidente motociclistico, a quanto pare, un ragazzo e una ragazza, la schiena del ragazzo ha urtato contro il bordo del marciapiede e gli si sono spappolati i reni. Urgenza. Gli servivano due reni, Berthold ha preso i miei). Muoio come molti altri per essermi imbattuto in un benefattore dell'umanità: Berthold! E se almeno mi avesse fregato solo i reni, Loussa, non hai idea di quel che si possa sottrarre ad un corpo settimana dopo settimana senza che nessuno se ne accorga! I tuoi cari continuano a venirti a trovare, anche i tipi chiaroveggenti come Thérèse o il Piccolo, e non si rendono conto di niente. Sono davanti a un sacco che viene svuotato sotto i loro occhi, ma il sacco continua a essere loro fratello. "Benjamin vivrà fino all'età di novantatre anni..." Al ritmo in cui Berthold mi saccheggia, mi chiedo cosa resterà di me, a novantatre anni. Un'unghia, forse? Allora Clara, Thérèse, Jérémy e Louna, Verdun e il Piccolo continueranno a venire a trovare l'unghia. Dico sul serio, vedrai, anche tu, Loussa, verrai a trovare l'unghia, ti ostinerai a insegnarle il cinese, le parlerai della tua Isabelle, le farai delle belle letture, perchè tutti quanti voi, tu e la mia famiglia, ormai non venite più a trovare il fratello, ma la fraternità, non più l'amico (l'amico, pengyou in cinese) ma l'amicizia (youyi), non è più una persona fisica ad attrarvi in questo ospedale, ma la celebrazione di un sentimento. Allora, necessariamente, la vigilanza si abbassa, non ci si pone più degli interrogativi di ordine medico, si bevono le spiegazioni dei dottori, ("Si, ha avuto un piccolo problema renale, abbiamo dovuto metterlo in dialisi peritoneale"), e l'amico va in estasi davanti al bell'aggeggio: "Di un po', carina questa macchina che ti hanno attaccato!". E le urla dei miei reni quando Berthold me li ha strappati, anche quelle erano carine, perdio?
Ci siamo, Loussa, mi ero ripromesso di morire serenamente, felice di essere smembrato a vantaggio della specie, ed ecco che invece comincio a innervosirmi, ma cazzo, insomma, ti sembra normale che mi freghino i reni solo perchè uno stronzissimo figlio di papà che ha voluto far colpo sull'amichetta facendo rombare il suo millecinque possa continuare a pisciare tranquillo? Lo trovi giusto, io che non ho mai voluto prendere la patente, io che odio i centauri, questi monomaniaci su due ruote, tutti suicidi, che mettono in pericolo la vita dei miei piccoli, trovi normale, che mi tolgano i polmoni, si, i polmoni, i prossimi nella lista di Berthold, per trapiantarli su un agentucolo di borsa che si è beccato il cancro dei cancri a forza di darci dentro con le sigarette per riuscire a metterla meglio in culo al prossimo? Io che non fumo! Io che la metto nel culo solo a me stesso!...Se almeno trapiantassero il mio uccello su un amante ideale che avesse perso il suo in una mandibola troppo innamorata, non so, o la pelle delle mie chiappe per restaurare un Botticelli, al limite, ma Loussa, il caso vuole che io sia saccheggiato a vantaggio dei saccheggiatori... Sono saccheggiato, Loussa, sono saccheggiato vivo, pezzo dopo pezzo, trasformato in macchine che si fanno passare per me, che la gente visita al posto mio, muoio, Loussa, perchè anche se ognuna delle mie cellule ha qualche miliardo di anni di evoluzione alle spalle, muore lo stesso, smette di crederci e muore, e ogni volta è una piccola morte singola, una prima persona che si spegne, un pezzo di poesia che se ne va..."


Da: "LA PROSIVENDOLA" - Daniel Pennac



lunedì 20 settembre 2010

I QUADRI A MEZZO PUNTO


Quei quadri sono appesi alla pareti della nostra casa da quando sono nata. Me li ricordo da sempre, perchè da sempre ci sono. Quando abitavamo in campagna e io ero poco più di una bimba, fantasticavo su quei quadri. Sapete, risultavano e risultano tutt'oggi un po' inquietanti, un po' pesanti. Danno quella sensazione di casa anni '70 tipica del periodo del mezzo punto. Hanno colori scuri, cupi, e i visi dei protagonisti sono tristi e sofferenti. Uno è "Le spigolatrici" di Millet. Non che lo abbia fatto Millet, ma la stampa è di un suo quadro.




 



E' così tangibile la fatica del lavoro che non mi ha mai messo serenità a guardarlo. E mi sedevo sul divano, mi immaginavo le conversazioni delle tre donne, i loro pensieri. E mi agitavo. Quel quadro è bello, davvero. Ma se lo guardi un giorno ad una mostra, non se lo guardi per 30 anni!
Un altro quadro è "l'angelus" sempre di Millet. E qui mi sono sbizzarrita parecchio a suo tempo. 

 





Il signore sulla sinistra, quello col cappello in mano, assomigliava tantissimo a mio zio. Per anni sono andata chiedendomi come mai mio zio fosse in un quadro. Tanto più che mio zio faceva proprio il contadino, e il filo legava proprio tutto. Forse ancora oggi me lo chiedo...e comunque è lui, non ci sono dubbi. 

Un altro, invece, è un quadro che io non conosco, per mia personale ignoranza artistica, suppongo. Rappresenta un bel giovanotto biondo che attira verso di sè quella che pare essere una cameriera  nella cucina del suo palazzo. E qui, di spazio per la mia fantasia, vi dirò che ne ho avuto. 
Poi c'è l'ultimo, la fatica definitiva di mia mamma. Un vaso di fiori. Un quadro che solo a vederlo da la sensazione di pesare più di me. Le regalarono la tela per il suo matrimonio, lo iniziò e poi lo lasciò a metà. Avevo 8 anni quando lo riprese in mano. Mio padre le costruì un telaio per poterlo tenere steso e lavorare meglio. E io, seduta accanto a lei sul divano, infilzavo con l'ago dalla punta arrotondata il naso di uno dei sette nani. Forse Mammolo. Si metteva sulla sedia, la sera, dopo aver finito di lavare i piatti e sistemato in cucina. Accendeva la tv e faceva punto croce. C'è da perderci gli occhi, lo sapevate?! E' che questa cosa del punto croce ha una storia che si tramanda di madre in figlia. Mia nonna era un'appassionata di punto croce, nel suo salotto, in camera sua e in quella di mio nonno, ci sono ancora le diottrie perse dei suoi poveri occhi. Mia madre, mia zia...una famiglia di ricamatrici. Io ci ho provato. Non che non ne sia capace, anzi, è molto semplice, ma ci vuole tempo, ci vuole pazienza. L'anno scorso mi sentivo abbastanza pronta per fare un quadro di quelli grandi, me lo volevo far regalare per il compleanno...sapete che costano un occhio della testa? Per fortuna non ne hanno trovato uno adatto a me. Tutte immagini sacre, madonne col bambino varie...e così ho lasciato perdere. Decisamente meglio. 
Oggi entro in questa stanza e penso che quei quadri li vorrei togliere. Sostituire con degli ingrandimenti di foto che ho fatto io e mi piacciono. A volte le tradizioni di famiglia qualcuno le deve spezzare e dare forma a nuove tradizioni. Magari, da adesso in poi, vista la mia passione e quella di mia sorella per la fotografia, le nostre discendenti non useranno più un ago e del cotone, magari useranno il flash e l'obiettivo. Forse da oggi la tradizione cambia musica. E essere l'inizio di una nuova era, mi fa sentire bene. 

ps: quando dirò a mia madre che vorrei togliere quei quadri tristi dalle mie pareti, verrà giù il mondo...ma non mollerò. 


domenica 19 settembre 2010

COME VI ROVINA MR B.


 






Tratto da una storia vera.



Si parla, di tanto in tanto, con persone che, anche se ancora da noi non è definitivamente arrivato, hanno già possesso del digitale terrestre. Premetto, ed è una cosa che dico da tempo ormai, che io piuttosto che mettermi in casa un aggeggio venuto dalla casa di mr b, non guarderò più la televisione. Ad ogni modo, dicevamo, capita di parlare con chi ha già questo benedetto digitale o un televisore con il digitale incorporato. E parlando senti dire le testuali parole: "Comunque si vede proprio che quelli della RAI sono dei COMUNISTI. Sulle loro reti non si può neanche vedere come si intitolano i programmi che stai guardando. L'audio è basso e le immagini sono peggiori. Su Mediaset, invece, è tutto molto meglio. L'audio è altissimo e le immagini nitidissime. Dai, mediaset è molto meglio"...



Ecco, io lascio a voi l'ardua sentenza...perchè io, più che spiegare a questa persona qui tutti i collegamenti psicologici e il lavaggio del cervello che mr b sta facendo agli italiani da anni, non so più cosa dire! E' questo che mi spaventa, capito?! Mi spaventa il fatto che bastino questi piccoli giochetti per friggere il cervello di quelle persone meno intelligenti...quelle persone che, non per colpa loro, ma magari solo per una questione genetica, hanno semplicemente un modo più limitato di ragionare. Ecco, chi non ragiona cade in questi tranelli da quattro soldi. Ecco, sono le stesse persone che poi ti dicono, all'indomani delle elezioni "Vale, io non so neanche chi ho votato"...e tu sei sicura che ha messo la crocetta proprio dove non la doveva mettere. Perchè quei simbolini, quel nome, si sono visti e sentiti talmente tanto in tv che non possono che portare ad una cosa buona! Non ci sto. Non posso concepire che il nostro paese sia guidato da gente del genere, che si fa voti sull'ignoranza altrui. SVEGLIATEVI, vi prego!! SVEGLIATEVI. Perchè a voi, cervellini raggrinziti, non ve ne fregherà un cazzo di chi ci guida...a voi magari vi frega solo dell'ultimo tronista della De Filippi o dell'ultimo annegato all'Isola dei Famosi. A me, invece, dite pure quello che volete, di annegare nella merda, proprio, non va. 


giovedì 9 settembre 2010

ELUCUBRO... SOMETIMES





Vi siete mai chiesti perchè un depresso è un depresso? Un depresso è un depresso perché ha capito tutto. Non riesco a definire un depresso un pessimista. Anzi. Quando penso ad un depresso io penso alla verità. Ecco, il depresso ha scoperto la verità. Così è diventato tale. Un giorno si è svegliato ha capito lo scopo della vita. Diversamente da coloro che cercano di riempirla, quella vita, con cose da fare, con obiettivi da raggiungere, con scopi a cui arrivare, con mete da porsi, il depresso ha capito, e a ragione, che lo scopo è uno solo. L'ultimo, lo scopo finale, l'obiettivo comune a tutti gli esseri viventi. La morte. E allora rimane lì, in attesa di raggiungerlo, sapendo che, per quante cose possa fare, arriverebbe comunque alla fine. E la depressione sta in questo. Nel non riempire, nel non trovare utile nulla, perchè, realisticamente parlando, l'utilità non c'è. 
Io non sono più depressa, per il semplice fatto che, dopo aver capito questo, ho deciso di accettarlo e andare avanti lo stesso. Non mi toglierò la vita come fanno molti depressi che, stremati dall'attesa dell'obiettivo finale, cercano di raggiungerlo prima del tempo. No. Non sono il tipo che si arrende davanti alla realtà. La accetta, la asseconda, magari, ma non gliela darà mai vinta. Ho capito. Ho accettato. Rifiuto l'offerta e vado avanti. 


venerdì 3 settembre 2010

GUARDO IL MONDO...CON UNA MANO DAVANTI AGLI OCCHI




"L'uomo è l'unica creatura vivente che uccide i propri simili"...pensa un po' a quello che può fare a chi non gli è simile, mi viene da dire. E' che io non ce la faccio più, ve lo giuro. Non ho più lo stomaco per reggere le cose brutte, le cattiverie gratuite, la meschinità umana. Io non ce la faccio. La cosa strana è che me la prendo più  a cuore se a subire la stupidità di questi stupidi bipedi sono gli animali e non tanto altri bipedi. Insomma, lo so che  è bruttissimo il mio discorso, e che nessuno si merita del male, eppure quando si toccano gli animali io impazzisco. Sarà che quando ero piccola sono cresciuta con il miagolio di cuccioli di gatto che mia nonna, da saggia donna di campagna, non esitava ad affogare appena nati. Sarà che un po' di anni fa un gatto si infilò nel motore della mia macchina e ho ancora nelle orecchie il rumore dei suoi lamenti quando, decisamente ridotto male, ma ancora mezzo vivo, mi guardava come per chiedermi aiuto e io non sapevo cosa fare (lasciamo stare, ancora non riesco a parlarne senza piangere). Sarà che sono convinta che nessuno possa avere il diritto di scelta sulla morte di un altro essere vivente, ma certe cose mi mandano in bestia. Oggi Fabio mi ha detto che su youtube circolava il video di un'emerita zoccolastronzaignorantedeficientetroiaputtana che allegramente raccoglieva dei cuccioli di cane da un secchio che aveva prontamente portato vicino ad un fiume e li lanciava, così, come fossero pietre, per farli affogare. Non sono riuscita a guardare il video. Non ho neanche spinto play. Non ce la posso fare, giuro. Mi mancano le parole, tutto quello che riesco a dire è che non ho le parole. E poi mi chiedo perché. A che pro? Io non lo capisco. Non capisco perché accanirsi nei confronti degli animali. Ma cosa avranno fatto di male per meritarsi di capitare nelle mani di contata idiozia?! Io non me lo spiego, non me ne capacito. E questo è solo un caso. Un caso dei tanti che fortunatamente non riesco a sapere. In questi ultimi anni mi sono capitati sotto mano link che non riuscivo ad aprire, animali abbandonati, animali seviziati per gioco, senza contare gli animali usati come cavie. Lo so, ci sono sempre stati, non è che cada dal pero, però adesso è diverso. E' diversa la mia coscienza, è diverso anche il fatto che con i mezzi d'informazione di oggi si vengono a sapere delle cose allucinanti. Io non ce la posso fare, non riesco a sopportare tutto questo. Non solo ci ammazziamo tra di noi, ma ci permettiamo anche di togliere la vita a chi non ha fatto nulla. Io mi chiedo con che coraggio...con che coraggio guardi negli occhi un cane di pochi mesi e lo spari in aria come un sasso? Ma dove è finita l'umanità? Ma che cos'è diventato l'uomo? E per fortuna che quello che ci distingue dagli animali è la ragione! Pensate un po' se non l'avessimo!...Non ce la faccio, non ci riesco. Non ho più la forza di sopportare lo schifo che abbiamo messo su. In cuor mio, aspetto il famoso 21 dicembre 2012, sperando che venga inghiottito tutto il male, che rimanga un po' di bene, che le persone siano persone e non bestiali carnefici dai capelli biondi. Voglio un mondo vero, un modo degno di essere chiamato tale. Voglio un mondo azzurro, di un colore pastello. Non voglio questo cupo. Oppure, se questo non è possibile, voglio diventare cinica, voglio fregarmene, voglio poter veder passarmi davanti agli occhi il male senza dovermi mettere davanti alla faccia una mano per coprirmi dal marciume. Voglio che le cose cambino. Voglio un mondo comico. 


domenica 29 agosto 2010

LA PROSIVENDOLA






"Ho preso in braccio Clara. Si è divincolata. Voleva camminare da sola. Sola davanti . Conosceva la strada che portava agli appartamenti di Sant'Inverno. Io e Rabdomant dovevamo soltanto seguirla. La seguimmo. Fu come se una giovane sposa passasse in rivista l'intero esercito dei carabinieri. I carabinieri si mettevano sull'attenti e chinavano il capo. Piangevano il lutto della sposa. Nevicava sull'esercito dei carabinieri. Poi toccò ai Celerini con il moschetto ai piedi vedere la sposa farsi largo tra i loro ranghi. Dopo aver allegramente pestato i prigionieri in rivolta, adesso sentivano battere il cuore nel casco. La sposa non guardò nè gli uni nè gli altri. La sposa fissava la grande porta grigia. La porta si aprì da sola sul cortile della prigione. Al centro del cortile, un pianoforte a coda bruciava lentamente tra le sedie rovesciate. Un fumo dritto lo mandava al cielo. I berretti degli agenti di custodia caddero al passaggio della sposa. Qualche baffo fremette. Il dorso di una mano asciugò una lacrima. Ora la sposa scivolava nei corridoi di una prigione così silenziosa che la si poteva credere abbandonata. Bianca e sola, la sposa fluttuava come un ricordo dei vecchi muri: intorno a lei, i mobili sembravano rovesciati da sempre, e le foto strappate disseminate sul pavimento (un flautista dal viso inclinato, il pugno di uno scultore intorno al ferro dello scalpello...un cestino della carta straripante di appunti straordinariamente puliti, scrittura fitta, cancellature tirate con il righello) sembravano foto vecchissime. Fluttuante e silenziosa, la sposa percorse i corridoi, si inerpicò su scale a chiocciola, attraversò gallerie fino a quando la porta che era la meta del viaggio non le si parò dinnanzi e una vecchia guardia dagli occhi arrossati e dalle mani tremanti non tentò di fermarla: - Non deve, signorina Clara...
Ma lei respinse la guardia ed entrò nella stanza. C'erano degli uomini in giubbotto di pelle che prendevano misure, altri, con un pennellino tra le dita, spolveravano millimetri, c'era un medico di un pallore da moribondo, e c'era un prete in preghiera, che si stagliò subito, camice accecante, pianeta spiegata, stola sventolante, tra la sposa e quello che aveva deciso di vedere. Lei respinse il prete con meno riguardi di quelli usati con la guardia e si ritrovò sola, assolutamente sola questa volta, davanti a una forma distrutta. Era una cosa contorta, rappresa. Il corpo mostrava le ossa. Non aveva più volto. Ma sembrava ancora gridare.
La sposa contemplò a lungo quel che era venuta a vedere. Nessuno degli uomini presenti osava anche solo respirare. Poi, la sposa fece un gesto di cui tutti i presenti, dottore e prete compresi, dovettero cercare di capire il mistero fino alla fine dei loro giorni. Mise davanti all'occhio una piccola macchina fotografica nera, sorta non si sa come da tutto quel biancore, fissò ancora un istante il cadavere torturato, poi ci fu il crepitio di un flash, e un bagliore di eternità"

Da: "La prosivendola" - Daniel Pennac


sabato 21 agosto 2010

PAVANA E' UN RICORDO LASCIATO TRA I CASTAGNI DELL'APPENNINO 2 (PERCHE' IO NON MI ACCONTENTO MAI)


Vorrei potervi raccontare cosa si prova quando ci si sveglia al mattino alle 7, e l'aria è così fresca e pulita che ti entra nei polmoni e ti fa venire voglia di vivere in eterno. Mi piacerebbe avere a disposizione abbastanza parole per farvi capire come sia intensa e dolce la sensazione di abbandono e di libertà che si sente quando il vento spazza via le nuvole lasciando spazio ad un sole timido ma caldo. Vorrei potervi dire tutto quello che sono stata in questi giorni, dove ogni cosa prendeva senso, dove io sono stata io, dove ho camminato, ho faticato, ho dormito. Mi servirebbero troppe parole, parole che io non ho, che non conosco, per spiegarvi l'emozione di abbracciare un viso amico, di sedermi al suo tavolo conversando con lui e sua moglie. Di sedermi anche al tavolo di uno scrittore che stimo e apprezzo tantissimo, di fare due chiacchiere, come si suol dire, di parlare del più e del meno come se fossimo amici. Di entrare in una casa molto bohemien, di scivolare per curve a gomito e sentire la serenità. Mi affeziono ai luoghi che mi fanno stare bene, e quando posso ci torno. E' un dato di fatto, sono sempre stata così. Preferisco rivivere gli stessi posti anziché scoprirne di nuovi. Magari è limitante, ma a me piace troppo lasciare una parte di me e andarla a riprendere per poi riportarla ancora. Amo i boschi, amo la tranquillità, non ci posso fare niente. A volte penso che mi piacerebbe rimanere sempre lì, costruire lì il resto della mia vita. Razionalmente non si può, lo so. Eppure....
E questa volta non c'è stato alcun incontro col Maestro, ma la sua voce era presente nell'aria, le sue canzoni suonavano al ritmo del Limentra e le sentivo nel miagolio dei gatti. Vorrei vivere così, sempre. In uno di quei piccoli borghi di montagna, con qualche casa, dove tutti si conoscono e si aiutano e si appoggiano, dove si organizzano feste di paese e ci si saluta anche se non ci si è mai visti prima. Voglio vivere dove l'aria ha un altro sapore, dove le mele sono piccole e succose, dove il miele lo vedi fare con i tuoi stessi occhi, e i giorni di brutto tempo servono per riposarsi e quelli di bel tempo a godere della natura e dei suoi regali. Voglio vivere lì, dove ogni giorno è solo il mio e dove io sono semplicemente io. 

 










































































martedì 10 agosto 2010

LA NOTTE DI SAN LORENZO





Quando avevo quindici anni, ma anche sedici, diciassette, diciotto e forse anche dopo, in questo periodo qui, io era già da almeno un mese che mi posizionavo in luoghi bui e propizi per veder le stelle. Avevo quest'ansia dentro, che mi spingeva fuori ad ammirare il cielo stellato e ad attendere, con trepidazione, il bagliore e la scia di una stella cadente. Avevo sogni da esprimere, desideri. Gli ultimi, tra quelli che mi ricordo, erano tipo di diventare una persona migliore, di non stare più male, di vivere serena. Non so se sono una persona migliore, oggi. Forse no, ma di certo, anche se sono sicura che mi contraddirete e molto probabilmente non sembra, sto meglio. Si, sto meglio. Lo sapete che riesco a fare le cose adesso? Riesco a fare le cose senza farmi sopraffare dalle crisi di panico. Ma non c'entra niente con le stelle, almeno, non con questo post. Oggi, che sono diventata un'altra persona, che sono cresciuta, che non sono più la ragazzetta anche solo di qualche anno fa, oggi non ho voglia neanche di mettermi in terrazzo. Ho delle cose da fare, per esempio. E mi chiedo se per caso io non abbia più desideri da esprimere oppure se credo che sia una perdita di tempo perchè i desideri non si avverano. Vorrei che la risposta fosse la prima. In realtà so che sono scesa al più basso livello di romanticismo che possa esistere, so che non credo più a niente. So che sono diventata qualcosa che non ero. Forse un desiderio ce l'ho...trovarmi.