lunedì 30 marzo 2009

SFOGLIANDO UN LIBRO DI FOTOGRAFIE IN BIANCO E NERO



Foto dal web


I NOST BURDELL


I nòst burdéll d'campagna


i n cnòss bén l'italièn


ch'i sta tra néun ti chèmp


a còi e' fén, e' grèn, e' furmantòun;


i nòst burdéll si va a la purcisiòun


l'è di ànzal bròtt


chi n i vò mètt datònda me Signòur;


mo i nòst burdéll u n'è dal pigurini


i è fatt ad chèrna ed òsi cumè i vost



(Tonino Guerra)


(Per i non romagnoli)


I NOSTRI RAGAZZI


I nostri ragazzi di campagna


non conoscono bene l'italiano


perchè vivono con noi nei campi


a raccogliere il fieno, il grano, il granturco.


I nostri ragazzi se vanno alla processione


sono degli angeli brutti


che non vogliono mettere attorno al Signore;


ma i nostri ragazzi non sono pecorine


sono fatti di carne e d'ossa come i vostri.

domenica 29 marzo 2009

LATITO LATITO....

Sarà che facebook ha assorbito tutte le mie energie, sarà che io lo sapevo che su facebook non mi dovevo iscrivere. Perchè io sono una che quando inizia le cose le inizia sempre con un certo entusiasmo. Sarà che mi sembra di non avere tempo per curare il blog e  invece mi sono accorta che il tempo lo avrei anche solo che non lo voglio trovare. Così mi rendo conto di passare poco tempo da qui, di lasciare qualche post ogni tanto, una poesia, un cenno, per far capire che ancora questo blog non è morto. Forse per farlo capire a me, non a voi. Non voglio ammettere di aver perso l'entusiasmo del blog, quello che mi ha accompagnata per 3 anni, quello che fino a poco tempo fa è stato un diario, un quaderno su cui annotare, in modo poetico a volte, in modo genuino e free altre, i miei pensieri e quello che mi succedeva. Però succede che delle cose io mi stanco. Una volta, ogni giorno, andavo a guardare quanta gente visitava le mie pagine, con che parole chiave entravano, da dove provenivano...adesso non me ne frega niente. Una volta mi collegavo, passavo in rassegna tutti i blog linkati nella colonna qui accanto e se mi veniva lasciavo qualche commento. Una volta...l'altro giorno l'ho rifatto e mi sono resa conto di quanti blog siano morti da quando ho smesso di visitarli. Morti proprio...e allora ho pensato che non sono solo io che ho perso questa spiga. Io che scrivevo un post al giorno, io che la prima cosa che facevo era digitare www.leanne.splinder.com nella barra di internet...io non lo so cosa mi sia preso. Non lo so perchè ho lasciato andare un po' tutto. Io non sono costante. Io non sono in grado di portare una cosa fino alla fine. Forse è questa la fine. Ma forse anche no. Mille volte ho detto che era la fine, mille volte ho detto che non lo era più. Mille volte ho pensato che sarebbe stato il momento giusto per chiudere. Mille volte non l'ho pensato più. Questo non è una di quelle volte che lo dico e me lo rimangio. Questa è solo una presa di coscienza. Questo è per dire che questo blog lo sto tenendo ancora in vita, la mia passione per lui è scemata, è vero, però non voglio che muoia. Questo è per dire che non ho tanta voglia di scrivere, che magari continuerò a lasciare qualche poesia in qua e in là perchè adesso mi sto dando allo studio delle mie radici, per esempio, e sto scoprendo poeti romagnoli che mi fanno venire i brividi...e così non mi viene da scrivere di mio, ma mi viene da scrivere di loro...di lasciare anche a voi, pochi lettori rimasti o lettori che capitate qui da google alla ricerca di qualche immagine o di qualche frase che non troverete qui corrispondente alle vostre esigenze ma che vi sofferemerete a leggere lo stesso, lo so, ecco, io anche a voi voglio lasciare un pezzo di quello che sono per essere nata in una terra come la Romagna. Che quando ero piccola, per me, essere romagnola, non so perchè, era una gran vergogna, era sintomo di ignoranza, di grettitudine (io non lo so se il termine grettitudine esiste, ma non ho voglia di andare a cercare sul vocabolario...se esiste tanto meglio, se non esiste ho coniato una nuova parola!)...e crescendo ho cominciato, invece, ad amare la mia terra, ad ammirare le sue strutture, le sue colline, i suoi paesaggi..le chiese, i borghi, le campagne. E crescendo ancora ho scoperto che la terra in cui sono nata ha dato alla luce menti e cuori pure e semplici. Ed ho capito che la genuinità è molto più colta di quello che credevo.

mercoledì 25 marzo 2009


Di quelle dita


così nodose e sottili


dove la vera balla


e si sfila da sè.


Di quel viso stanco


del sorriso accennato appena,


sottile, stentato.


Della tua voce


che non è più la tua voce.


Di quegli occhi


adesso vuoti


adesso assenti


che non sono più i tuoi occhi.


Io non voglio ricordare.


Tacitamente prometto,


ogni momento in cui ti guardo


ogni momento che temo sia l'ultimo.


Quando succederà


di te serberò solo il buono.


Di ogni cosa che hai fatto


per me.


Delle tue mani


a impastare pasta fresca.


Dei tuoi occhi


ora attenti


ora luminosi e arguti.


Di come ridi


di ciò che racconti


di tutto quello che dici.


Ecco


tutto questo


è quello che terrò.


Tutto il resto,


giuro,


sarà dimenticato.

lunedì 23 marzo 2009

QUANDO LA POESIA DICE QUELLO CHE SERVE SAPERE...


"DMANDA"


Duv'è ch'a s masarà


al poeséi ch'a n sò bon 'd scréiv


ch'a gli ò zarchédì tènt


ch'l'è quèlli ch'a m pis ad piò


ch'a n li pos lèz


gnénca se desideréri?



(per i non romagnoli...)


DOMANDA


"Dove si nasconderanno


le poesie che non sono capace di scrivere,


che ho cercato tanto


che sono quelle che amo di più


che non posso leggere


neanche col desiderio?"


Nino Pedretti - "Al vòusi" (Le voci)

giovedì 19 marzo 2009

RICORDO APPENA SVEGLIA

Quella sera è stato bellissimo. Era una di quelle sere estive,che è già ben caldo, in luglio, un martedì sera che in piazza davano Fellini. Non potevo certo mancare alla proiezione di Amarcord. Che Amarcord per me non è un film culto, di più. L'ho visto talmente tante volte che so tutte le battute a memoria. E quando dico tutte intendo proprio tutte, anche quelle che si sentono a malapena in sottofondo. Però non lo avevo mai visto insieme a tanta altra gente. E mi piaceva l'idea di stare li, all'aperto, a guardarlo fumando sigarette e a sentire che anche gli altri spettatori ridevano. Così gli ho detto "perchè non vieni anche tu?". Ma lui non aveva voglia di venire, tanto più che neanche mi aveva mai vista, che non sapeva neanche com'ero. Però ha detto che lo avrebbe guardato anche lui, quella sera, a casa sua, sul suo divano. Pronta a dargli il via, ha spinto play sul telecomando, e mentre la Gina urlava "Le manine" e i ragazzini per la piazza "Le manine stanno su e l'inverno non c'è più", ho pensato che fosse bello fare qualcosa che un'altra persona, anche se distante da me, stava facendo a sua volta. E' stato un po' come un legarsi, un sentirsi uniti. E durante il film ci mandavamo messaggi con le battute, per commentare, e lui mi scriveva e mi veniva da piangare a forza di ridere. Ed ero contenta. Contenta che in quel momento ci fosse una sintonia così palpabile, un modo di pensare e di vedere così uguale. Il mio modo e il suo modo. E adesso che ci penso, adesso che, col passare del tempo io e lui siamo andati sempre più affiatandoci, mi sembra assurdo che all'epoca, due persone che non si erano mai viste, che si erano solo parlate, solo scritte, che si conoscevano così poco, potessero creare una tale intimità condividendo una cosa così semplice come guardare lo stesso film nello stesso momento.


PS: Kaba, non è che se per caso sabato sera ci salta il cinema per qualche motivo improvviso, quel film li ce lo guardiamo per davvero insieme?!

domenica 15 marzo 2009

VOGLIO TROVARE UN SENSO A QUESTA VITA...

....E lo trovo. Lo trovo in un momento, in uno di quegli attimi dove tutto sembra perfetto. Il sole che sbatte sul parabrezza e ci fa socchiudere gli occhi, il caldino dentro all'abitacolo, il rumore del motore che ha 36 anni compiuti da un mese. Lui, accanto a me. Ecco, in quell'istante capisco il perchè della vita. Qualcuno me lo aveva detto. Viviamo per vivere gli attimi che ci fanno sentire vivi. In quell'attimo io mi sento viva come non mai. Mentre mi piego con tutto il corpo per girare meglio il volante nelle curve in salita. Lì, sento che vivo anche per questo, che questo è uno di quei momenti per cui vale la pena vivere. Come vale la pena non farsi certe domande. Non chiedersi il perchè. Non dirsi che tanto, prima o dopo, deve finire. Vivere. Semplicemente. Un po' come vagare per strade deserte, con il paesaggio che sfila dai finestrini. Gli odori della primavera che si fanno sempre più intensi e i campanacci delle mucche in sottofondo. Vagare, vagare, senza avere una meta. Scoprire che non è dove si arriva che conta, ma come ci si arriva. In che stato. Da soli o in compangia, forse non importa. Certo è che se c'è un passeggero dev'essere quello giusto. E discese e salite e curve a gomito e rettilinei. Se si vuole arrivare, bisogna affrontarli. Scoprire poi che a volte bastano 20 euro di benzina per andare avanti, una spinta più decisa sul pedale del gas per non scivolare indietro. Scoprire che nella semplicità delle cose c'è un mondo infinito da conoscere, da fare proprio. E in quel mondo lasciarsi andare senza chiedersi perchè si va. Semplicemente andare.














mercoledì 11 marzo 2009

PER ARRIVARE, POI, DOVE?

Io non ci penso mai. O meglio, cerco di non pensarci. Se c'è una cosa che non mi piace fare, è pormi delle domande del tipo "da dove veniamo? dove andiamo? cosa siamo?" e tutte quelle menate li. Il fatto è che però ogni tanto ci penso. Perchè da strega quale sono, da credente nella reincarnazione, la risposta è abbastanza semplice. Stiamo vivendo questa vita per evolverci e viverne un'altra successiva per evolverci ancora di più, fino al raggiungimento di un'evoluzione totale che ci porti a non essere più carne ma solo spirito ed arrivare, finalmente, alla pace eterna. Il problema è che non sono solo una straga. Sono anche una donna realista. E da donna realista, ultimamente, la risposta che mi viene da dare è "Viviamo sostanzialmente per niente". Non mi si prenda per la solita cinica o per la solita pessimista. Io non sono nè cinica nè pessimista. Come ho detto, sono realista. Obbiettiva. In fin dei conti, le uniche prove concrete, sono quelle che abbiamo sotto gli occhi adesso. Poi uno può credere nel paradiso o nell'inferno, uno può credere nella reincarnazione, uno può credere in quello che vuole dopo la morte, in un qualche premio, in una qualche ricompensa. Ma tutto quello che di certo c'è, è che il fine ultimo della vita è la morte. Partendo dal presupposto che sto parlando un po' troppo spesso di morte, però ecco, non so se vedete, lo faccio anche abbastanza serenamente, io non la temo...o meglio, non la temo più, un po' di angoscia spero che mi sia concessa in questo contesto...e forse anche un po' di comprensione da parte di voi lettori. E magari anche un po' di riflessione da parte vostra. Non è che voglia portarvi al suicidio, però, ecco, mi piacerebbe discuterne un po'...perchè poi,  a ben pensarci, uno si fa un mazzo tanto una vita, uno si sveglia alle 7, per 40 anni, tutte le mattine escluse le domeniche e i giorni di ferie, uno si fa un mazzo tanto per riuscire ad arrivare alla fine del mese, per pagare tutte le bollette, per saldare l'affitto, per pagare la rata del mutuo. Uno mette al mondo dei figli, si sposa, uno cerca di avere una casa decente, una vita decente, almeno. Uno si costruisce, piano piano, ogni giorno, un pezzo del suo futuro...per arrivare dove? Lì...sempre lì. Non si scappa, non se ne esce. Per arrivare alla fine. Che a questo punto, ogni tanto, ti viene anche da pensare "speriamo che allora questa fine arrivi presto". E a questo proposito mi viene da pensare ai suicidi. Come fai a biasimarli? Benchè ci si ripeta spesso che la vita è fatta di cose bellissime " ma guarda intorno a te, che doni ti hanno fatto, hanno inventato il mare. "...certo, insomma, è vero, eh. Mica che la vita sia solo una mondezza. Io, per esempio, non disdegno la mia vita. Mi piace, lo rifarei. Per arrivare però dove? Alla fine. Insomma, parliamoci chiaro. Tutto questo arrabbattarsi per sopravvivere, tutto questo sacrificio, o tutte le cattiverie, tutta la smania di avere, di possedere, di arrivare, di realizzarsi...quando poi alla fine non rimarrà niente, se non una bella frase su un necrologio per ricordare quello che siamo stati. Mi si permetta, ma la cosa mi sconforta un pochino. E per quanto si facciano epiche imprese, per quanto si cerchi, in vita, di lasciare qualcosa di nostro anche dopo la nostra dipartita (si pensi ai grandi artisti, ai poeti, ai pittori, ai cantautori, sempre vivi negli anni, nei secoli), rimane sempre il fatto che fiscicamente non rimaniamo noi. Io almeno non rimarrò di sicuro. Non lascerò che qualche ricordo, qualche foglio scritto, qualche poesia che non leggerà nessuno, qualche foto di me. E io? Io, semplicemente, cesserò di essere.


Sia ben chiaro, sono serena, eh...queste sono solo riflessioni. Ma io sono serena.

venerdì 6 marzo 2009

SULLE DOMANDE DALLE RISPOSTE DIFFICILI


Oggi mi mamma mi ha chiesto se sono felice. Diciamoci laverità, questa è una domanda che spiazza, soprattutto se posta da un genitore. E' che vorresti dire a tua mamma che sei felice, si, per farla stare tranquilla, perchè sai benissimo che la cosa più importante per lei è che tu sia felice. Credo che nessun genitore voglia mettere al mondo dei figli tristi. Però questa domanda mi ha lasciata talmente sconcertata, che la prima cosa che mi è venuta da dirle è stata "Ma mamma, cos'è, poi, la felicità?". Mi ha guardata strana, rassegnata. Lei crede che la mia felicità sia avere una famiglia, o almeno il progetto di questa. E adesso che sa che sono innamorata, che sa che credo di aver trovato la persona giusta, crede che io possa essere felice perchè posso pregettare un futuro. Ebbene, per me la felicità non è questa. O meglio, non credo possa essere avere una famiglia, la mia felicità. Non sono una donna con l'ispirazione di essere una moglie, una madre, di stirare tutine, calzettini, camicie, di alzarmi nel mezzo della notte ad allattare. Non ce l'ho la stoffa da donna da famiglia. E comunque sto divagando. Perchè il concetto di questo post è un altro. Cos'è la felicità. Io non credo che la felicità sia uno stato costante. La felicità è fatta di momenti. Non che io non sia mai sata felice, anzi. Ho avuto dei momenti anche recenti di felicità assoluta,  momenti in cui ho pensato che mai avrei potuto essere più felice di così. Ne ho ancora di quei momenti li, eh. Però ecco, sono momenti, appunto. Allora provo ad analizzare la mia vita e mi chiedo quanto contino i momenti felici per fare di una persona una persona felice. ho un lavoro. Ne sono felice? Si, certo. Al giorno d'oggi, soprattutto, non bisogna certo buttare via niente. Ecco, ne sono felice perchè mi accontento. Sono sana? Diciamo che ho due braccia, due mani, due gambe e cammino da sola. Particolari problemi non ne ho. quindi si, sono sana. E quindi sono felice di essere sana. Ho ancora due genitori che se la sanno cavare bene da soli. In salute anche essi. Sono felice di avere due genitori in salute? Si, sono felice. Ho un uomo vicino a me che mi da tanto, molto più di quello che avrei mai pensato di avere da un uomo. Sono felice di avere questo uomo vicino? si, sono felice. ho degli amici? si, pochissimi, selezionatissimi, però ne ho. Sono felice di avere degli amici? si, sono felice. Poi penso che la vita è fatta di attimi, di periodi. C'è un periodo in cui si è più sereni e un periodo in cui lo si è meno. C'è il periodo in cui tutto quello che ti gira intorno fa schifo, tutto ti va da schifo e sembra che non potrebbe andare peggio. C'è il periodo in cui tutto va bene, invece, in cui tutte le cose sono al loro posto. E allora si pensa, magari "adesso sono felice". Ma la costanza della felicità non esiste. E ad un certo punto ti rendi conto che a volte si è felici quando ci si guarda intorno. Quando si pensa a chi tutte quelle cose che abbiamo che ci rendono felici non le hanno. La felicità è un accontentarsi, a volte, un apprezzare semplicemente quello che si ha pensando che se non lo avessimo sarebbe peggio. E' pensare di guardare il lato positivo in tutte le cose, il pensare che potrebbe andarci peggio...perchè per quanto vittimismo scorra nelle nostre vene, siamo ben consapevoli che il peggio esiste. E allora sono felice? Si, sono felice di esserci, sono felice di esistere. Sono felice di avere momenti felici e momenti tristi. Sono felice di avere la possibilità di dirlo che a volte sono felice e a volte no. Sono felice di non sapere bene cosa sia la felicità. Se avesse un significato, se avesse una forma, tutti noi non faremmo altro che scannarci e rovinarci la vita per arrivare a questa felicità. E allora non sarebbe più felicità. La felicità è soggettiva. Ognuno ha la sua idea di felicità, ognuno la sua felicità non può far altro che portarsela dentro.

mercoledì 4 marzo 2009


Foto dal web


"Davanti a un ristorante di Dulcea c'è una grande piastra ammazzainsetti a seimila volt. Ogni moscerino o farfallone che ci sbatte contro crepa, con un brivido elettrico. Mi è venuto da pensare che nessuna morte, ormai, fa più rumore di questa. Milioni di moscerini, una fiammata, e amen. Se hai la fortuna di nascere farfallone, forse si accorgono dei tre secondi in cui stai morendo"


Da: "Baol" - Stefano Benni

martedì 3 marzo 2009

E ALLA FINE ACCORGERSI CHE...


foto dal web


...non è tanto il tempo che passa, ma quello che si porta dietro, quello che trascina con sè. Emozioni, parole, sguardi, persone, sorrisi, momenti. E' quello che non rimane, quello che se ne va. E me ne rendo conto mentre guardo le foto dei miei professori sul sito della mia scuola. Il mio adorato prof di tecnica turistica che ancora ogni tanto mi viene da pensarlo. Le gite. Il terrore delle interrogazioni. Le cartine nell'aula a gradoni di geografia. La prof di geografia, col suo sorriso tirato che sembrava rifatta. Le ore di storia, quelle di italiano. Le ore di Dante. A me piaceva tanto la Divina Commedia. Intervenivo sempre quando la prof di lettere spiegava la Divina Commedia. Mi piaceva. Era facile. Era facile perchè avevo "l'inferno" usato e per ogni canto avevo la parafrasi già fatta dal suo precedente possessore. Alzavo sempre la mano quando facevamo i canti de "l'inferno". E infatti la prof non mi ha mai interrogata. Le ore di diritto passate a fumare in cortile in primavera e in bagno in inverno. Per me diritto era di un'inutilità indescrivibile. Non ci capivo una mazza. Mi impegnavo, eh. La prima settimana dell'anno prendevo anche gli appunti...poi smettevo perchè tanto era inutile. Eppure ho sempre preso almeno la sufficienza. E i panini al bar, le chiacchiere col barista, le battute, l'odore di pizzetta riscaldata nei corridoi, le bidelle che spazzavano, il viavai sulle scale, le briciole sul pavimento. "Mi presti l'accendino?". "Cavolo, ma l'ora dopo abbiamo algebra?! Te hai studiato? Perchè oggi mi sa che interroghi. Mi fai copiare?". "E stasera cosa facciamo? Andiamo a ballare?" "Ovvio che andiamo a ballare. Solito posto. Ci porta tuo babbo, ci viene a prendere il mio" "Si, però digli di venire un po' più tardi. L'altra volta ci aspettava già alle 2." E la campanella che suona e di corsa tutti in aula. Il mio banco, quello infondo, nell'angolo vicino alla finestra, da dove vedevo il mare. In burrasca in inverno. Calmo in primavera. E verso giugno, se ti affacciavi, vedevi già i turisti tedeschi in costume e si sentiva un caldino che ti faceva capire che ormai si era arrivati alla fine. Che un altro anno era andato. E le lezioni di ginnastica si facevano in spiaggia, a fare il lancio del disco o a correre...correre...io dopo due minuti mi ero già imboscata e mi fumavo la mia sigaretta in santa pace. E chiedersi quanto sarebbe durato, chiedersi perchè il tempo passasse così lento, perchè i giorni non arrivassero mai alla fine. E invece alla fine ci sono arrivati. E alla fine accorgersi che ci sono troppe cose che non ti puoi portare dietro. Che ci sono solo i ricordi a farti compagnia ogni tanto. A farti scendere una lacrima. Che ci sono giorni che mentre li vivevi non ti sembravano neanche belli. E adesso che non li vivi più ti sembrano i più belli che tu abbia mai vissuto. La sveglia delle 6 la mattina. Le corse per non perdere il pullman. Scendere una fermata prima per passare in tabaccheria. Il respiro profondo prima di salire le scale. Bussare alla porta e sapere che li avresti trovati già tutti attenti a seguire la lezione del prof scocciato per il tuo ritardo. I compiti alle 3 del pomeriggio. Studiare fino a quando se ne aveva voglia. Se se ne aveva voglia. E alla fine accorgersi che...

lunedì 2 marzo 2009

Goya - "Il sonno della ragione genera mostri"


"Numi, numi! Com'è triste la terra di sera! Come sono misteriose le brume sulle paludi! Chi ha vagato in queste brume, chi ha molto sofferto prima della morte, chi ha volato su questa terra portando su di sè un peso troppo gravoso, lo sa. Lo sa chi è stanco. Ed egli senza rimpianto abbandona le brume della terra, le sue paludi e i suoi fiumi, a cuore leggero si consegna nelle mani della morte sperando che essa soltanto lo placherà"


Da: "Il Maestro e Margherita" - M. Bulgakow