sabato 12 novembre 2011

LIBBBBBERTA' LIBBBBBBERTA' LIBBBBBBBERTA'!!!!!!!!!!!!!!!!!!!




La mia bandiera dell'Italia sventola adagio, al ritmo lento della brezza novembrina. La piazza non è deserta, ma qualche bambino urla e schiamazza, tira qualche petardo e si rincorre. Loro non sanno, forse solo un giorno sapranno, che questa è una sera bella, di quelle che proprio uno si deve vivere. Un giorno, quando parleranno ai loro nipoti, potranno dire che quando l'Italia è stata liberata per la seconda volta, loro c'erano. Io c'ero. Certo, non è la libertà vera, ancora no, non lo è. Ma è un segnale, la fine di un'epoca che è durata per troppo tempo. La fine di chi, per diciassette fottutissimi anni, ha fatto di tutto per salvarsi il culo, ha soppresso, oppresso, infinocchiato, umiliato, messo in ginocchio ( e qui potrebbero esserci almeno un paio di doppi sensi) milioni di persone. La feccia, a capo chino, se ne va. Con la coda tra le gambe. Evita la folla. Teme la rivolta. Teme di essere invaso dalle monetine...non ti preoccupare, faccia di merda, la gente di monetine da sprecare non ne ha più e la colpa è anche tu! Via, fuori, tolto dai maroni! Domani è un nuovo giorno. Un giorno di speranza, se non proprio proprio di vera libertà. Ma domani sarà un giorno di aria nuova, di dita incrociate e di coscienza che peggio di così non può andare! Da lontano sento suoni di clacson, i bambini continuano a giocare ignari,  la serata non è poi così fredda come ci si possa aspettare da un giorno di novembre...il 12 novembre. Non ce lo dimentichiamo. Ricordiamolo. Il giorno in cui ci siamo ripresi, in barba a lui e a tutta la sua cricca, la nostra dignità! 


domenica 23 ottobre 2011

TIC TAC TIC TAC






Stanotte ho sognato che mia sorella era incinta. Eravamo in ospedale perchè doveva partorire. Resisteva stoica al dolore delle doglie e sembrava non patisse molto male. Aveva un pancione bellissimo, tutto rotondo e con la pelle tirata. Quando l'hanno portata in sala parto hanno detto che in meno di mezz'ora sarebbe nato. Avevo una gran ansia. Mia sorella stava per diventare madre. E mentre ero lì che aspettavo, pensavo tra me e me...cavolo, è più giovane di me e già sa quello che vuole...Così mi son svegliata. Sapete quando ci si sveglia da un sogno e si rimane a letto ancora un po', con quel rincoglionimento addosso che ancora non ci fa capire bene se il sogno era vero oppure no?! In quel  momento mi sono messa a pensare...insomma, lo so che il discorso figli è molto ricorrente in questo blog. Non so bene quale sia il motivo, ma inizio a farmi tante domande. Sarà che c'è una pressione esterna non indifferente...Vedo pance in proncinto di sfornare da un momento all'atro (passatemi il termine sfornare e non fate polemica...partorire l'avevo già usato prima e non volevo ripetermi!), amiche  che tra qualche giorno avranno tra le braccia il loro bimbo, altre amiche che ce l'hanno già, mia mamma che "alla tua età io avevo già due figlie"...troppa pressione esterna, troppa. Già, l'età. Sarà mica perchè tra pochi mesi arriverò alla famigerata soglia dei trent'anni?! Quella che ti dice "ehi...tic tac tic tac...è il tuo orologio biologico parla. Ti ricordo che sei ormai in dirittura d'arrivo, hai rimasto solo un'ovaia e se continui così tra un po' sei spacciata. Tic tac tic tac". Ma vaffanculo. Io non so se voglio avere un figlio. Ancora non lo so! Mi lasciate in pace tutti, per cortesia?! Mi mettete il panico! Che a me i bambini piacciono, sia chiaro. Quelli degli altri sono una meraviglia. Ti prendi il meglio dai bambini degli altri. La coccola, il sorrisino, la manina che stringe il tuo dito. Gu gu gu ghe ghe ghe e i vari gorgoglii. Ma avere un figlio proprio è tutta un'altra storia. Un sacrificio al quale non sono in grado, almeno credo, di sottostare. Sono un'egoista forse. O sono troppo cosciente?! Son domande che mi faccio di continuo. Che poi dove sta scritto che una donna deve per forza fare dei figli? Come una mattina di qualche mese fa. Ero al parco con una mia amica e la sua bimba. Come dicevo prima, mi stavo prendendo il meglio. Giocavo con lei e mi divertivo. Si avvicina un signore che aveva con sè le due nipotine. Mi chiede se la frugoletta è mia. Gli dico no, guardi, non è mia...Domanda fatidica "ma lei non è sposata? non ha dei figli?"...risposta mia, la solita, quella che do sempre in questi casi "no...grazie. sto a posto così.". "ah, ma prima o poi li avrà!" "ah..ma anche no!". Mi chiedo perchè la gente non si faccia mai i cazzi suoi. Potrebbero esserci mille motivi per i quali una donna non ha figli. Potrebbe non poterne avere, per esempio. Potrebbe avere un marito o un compagno che non può averne. Potrebbe non avere un uomo con cui farne. Perchè sembra sempre tutto così scontato agli occhi degli altri?! Questo non fa che alimentare i miei dubbi. Perchè si fa un figlio?! Per completarsi? Per non sentirsi soli? Per avere un bastone nella vecchiaia? Per amore? Per amore di chi? Siamo convinti che questi bambini vogliano nascere? Lo so che sono un po' troppo riflessiva sull'argomento. Ma me lo sto chiedendo? Ho mille motivi per cui non farlo e nessuno per cui farlo. L'argomento sarebbe chiuso qui se non facessi questi sogni strani. Se l'orologio biologico non parlasse. Se mia mamma non parlasse. Se una cliente l'altro giorno non mi avesse detto "anche se sono capitate tutte e due, le mie figlie sono la cosa più bella che abbia mai fatto. Loro non lo sanno, ma sono l'unica cosa che mi ha fatto sentire orgogliosa di me". Sarebbe chiuso qui l'argomento se la mia testa andasse avanti da sola, senza le famose pressioni esterne. Avrei la mai coscienza, il mio modo di vedere la cosa, la mia convinzione. E se mai dovessi fare un figlio, non potrei fare a meno di chiedermi, per tutta la vita, se l'ho fatto perchè lo volevo io o perchè lo volevano gli altri. 


mercoledì 14 settembre 2011

PER TE










Quanti denti mi hai tolto, nonna? Te lo ricordi? Ci pensavo ieri, non so perchè, mentro era a letto e stavo per addormentarmi. Quante volte, scottex alla mano, con fare deciso, mi sei venuta vicino, mi hai fatto aprire la bocca tranquillizzandomi dicendomi che avresti solo guardato e poi, all'improvviso, zac...il mio dente non era più nella mia gengiva me nel tuo fazzoletto?! Quante volte, nonna, mi dicevi di metterlo sotto al cuscino che il giorno dopo il topolino mi avrebbe portato i soldini? E poi, di nascosto, mi mettevi dicimila lira in mano e piano dicevi "comprati il gelato". Anni dopo continuavi a farlo, ma la frase era cambiata in "Non comprare le sigarette, però". Tanto lo sapevi che li avrei spesi lì! Nonna, lo sai, stamattina ti ho sentita ancora. Stavo facendo colazione e il mio latte di soia col caffè d'orzo e i fiocchi di mais aveva, non so come, lo stesso sapore del caffè e latte col pane che mi facevi tu. Mi sono messa a piangere. Questa colazione mi ha riportato un sacco di ricordi di te. Eppure, mentre le lacrime si mischiavano al latte, ho provato a pensare all'ultima volta che ti ho vista. Che ho visto te com'eri, non come sei diventata dopo la malattia. L'ultima volta che ho sentito te come la donna tenace che eri, con la grinta che avevi. Non mi è venuta in mente. Ricordo le tue facce storte davanti ai pochi maccheroni che riuscivi a mangiare, li contavi...erano sette, me lo ricordo bene. Sono dovuta correre in bagno per nasconderti che stavo iniziando a piangere. Gli ultimi tuoi giorni non riesco a dimenticarli. Lo sai che cerco di tirare fuori il tuo nome il meno possibile? Sei diventata un argomento tabù. Se ti nomino ho sempre paura di ferire qualcuno. E tu sai di che qualcuno parlo. L'altro giorno lei ha visto una foto di me e te insieme. E' scoppiata in un pianto isterico. Manchi. Manchi tanto anche a lei. Ma questo è un discorso vostro, un argomento che dovreste trattare voi due. Io adesso voglio parlare per me. 



Pensavo al tuo nome. Silvana. Sai, non l'ho mai preso in considerazione, mi è sempre sembrato così desueto. Eppure suona bene. Mi ricorda "la pioggia nel pineto"...piove sui nostri volti silvani...Mi da questa fresca sensazione di boschi, di tangibile e reale. Nel tuo nome c'è la natura, il vero, il concreto. Mi ricorda anche qualcosa di magico e fatato, un'ombra, un riparo. Il tuo nome, per me, nonna, è un rifugio. Eri tutte queste cose messe assieme. Vera quanto un faggio, un luogo dove si trovava sempre un nascondiglio.



Eppure non sei mai stata una persona affettuosa. Non ricordo una carezza, un bacio o un abbraccio datomi da te per prima. Ero sempre io ad avvicinarmi. Il tuo amore lo dimostravi in un  modo diverso. Il tuo amore, per esempio, era il cibo. Mi facevi mangiare tutto fino a quando non ti dicevo "nonna, basta, sto per vomitare!". Sai, ti immagino adesso, mentre prepari tagliatelle e lasagne per tutti quelli che sono lì con te. E posso anche vedere un bambino che da sotto il tavolo ti rubo un tortellino crudo e se lo mangia di nascosto. Lo so che lo hai visto. E so anche che farai finta di niente. 



Il tuo amore nei piccoli gesti. Nella coperta che mi mettevi sulle spalle anche il 15 di agosto se mi addormentavo sul tuo divano. "Vally, lo vuoi il caffè?" (la tua voce la sento ancora) quando mi svegliavo. Sapevi che non lo bevevo, eppure non mancavi mai di chiedermelo, perchè avrei potuto cambiare idea, prima o poi. Ma tu hai mai capito che anche io ti volevo bene? So che non sono stata una nipote molto presente. Qualche telefonata, una visita di sfuggita uscita dal lavoro, o qualche pausa pranzo passata a mangiare il tuo minestrone o i tuoi tagliolini al salmone. 



Nonna, lo sapevi che ti volevo bene? Lo sai che te ne voglio ancora? Non vengo mai al cimitero, lo so. Ti ho portato solo un girasole una volta. Ti piacciono i girasoli? Li  mettevi sempre nei mazzi di fiori che mi regalavi per il compleanno. Non è venire a piangere sulla tua tomba che ti dimostra che ti amo. Ti penso comunque ogni giorno. Ti parlo quando sento che sei qui vicina. Adesso, mentre scrivo, mi sei dietro, hai gli occhiali e stai guardando cosa viene fuori da questa penna. Vorrei che potessi parlarmi. Vorrei che mi dicessi davvero che stai bene e sei serena. Vorrei che tutte queste convinzioni che ho sulla vita dopo la morte fossero vere. 



Nonna, come stai adesso? Hai ancora la tua bella lingua lunga? Fai ancora la bravina? Lo sai, quando alzo la cresta e mi arrabbio con Fabio, lui mi dice sempre "sei proprio uguale alla tua nonna". Non mi offende, non mi offende per niente. Anzi, penso che vorrei avere non so quanto il tuo carattere combattivo. Magari fossi come te! 



Nonna, mi manchi. Questa lettera non può andare avanti all'infinito, ma ti giuro che di cose da dirti ne avrei ancora tante. Allora ti dico che mi manchi, mi manca il tuo russare quando ti addormentavi sulla sedia in cucina. Io ti guardavo, ti svegliavi e facevi finta di niente. Mi mancano i tuoi maglioni di pile colorati (barnussi li chiamavi te). Mi manca lo sciacquio dei piatti, l'odore del caffè il giorno di Natale, i tuoi fagiolini con l'aceto, li facevi solo per me. Mi manca essere presa in giro, le tue battute su di me. Chissà cosa avresti da dire oggi...oggi che, forse, da dove sei, hai capito chi sono e come sono davvero. Mi manca saperlo. 


sabato 27 agosto 2011

RACCONTO DI UN FATTO...


Le persone mi fanno schifo...più o meno tutte. Non sono razzista, nel senso che non odio una razza più di un'altra, indistintamente, odio la razza umana. Faccio questa premessa perchè ho una cosa da raccontare, una cosa che ho visto ieri e mi ha fatto girare i maroni. La faccio perchè dalle parole che dirò, molto probabilmente, potreste pensare che sono razzista...invece no, ve lo dico...non lo sono. Ma un appuntino lo devo fare...Ieri pomeriggio io e Fabio eravamo in terrazzo. La piazza sotto casa mia era piena di macchine perchè il supermercato era aperto ed era l'ora di punta. Proprio sotto il mio balcone, una signora parcheggiata nella zona riservata ai disabili (con apposito cartellino arancione sul parabrezza) cercava di uscire per tornare a casa e mettere i suoi sofficini findus nel freezer. Ma non poteva. Una macchina con conducente ignoto, le aveva parcheggiato accanto, nella zona riservata ai disabili, non solo senza apposito cartellino ma pure storto e lei era bloccata. Io e Fabio, dall'alto, valutavamo se ci fossero possibilità di riuscire a farla uscire con un po' di manovre. La poveretta si era attaccata al clacson, ma niente da fare. Dopo un'attesa di almeno 10 minuti, arriva la coppia. Non mi sembra rilevante specificarne la nazionalità, in quanto ho precisato prima che, da una parte o dall'altra del mondo in cui vieni, se sei una merda, resti una merda! La signora, giustamente, si arrabbia e dice la sua. La moglie, una ragazza con un velo sulla testa (questo forse è specificare la nazionalità, ma ripeto che non mi sembra rilevante!), inizia a chiedere con fare arrogante quale fosse il problema, tra l'altro evidente, e le due cominciano a discutere. Il marito scende dalla macchina, dicendo alla signora "nun toca la machina...con la buca (bocca suppongo!) devi parlare...nun toca la machina!" (la macchina..un cartoccio che se gli buttavi una lavatrice sopra non faceva differenza!). La discussione avanza per un po', la signora spiega le sue ragioni, io e Fabio sosteniamo a gran voce la povera donna...e questi, senza dire nè come nè perchè, se ne vanno e la mandano pure affanculo! Il marito riparte sgassando a tutta velocità rischiando di investire un disgraziato in bicicletta che passava da lì. La signora alza gli occhi come a ringraziarci per il sostegno ricevuto, fa la tanto agoniata manovra, e se ne va.  Io mi metto a riflettere. Perchè non esiste un minimo di rispetto a questo mondo?! Non solo sei uno stronzo perchè parcheggi dove non devi, ma parcheggi pure male. Non solo sei uno stronzo perchè, ci può anche stare che posteggi la macchina un attimo dove non devi, ma non chiedi neanche scusa. Sei stronzo perchè, pure avendo torto marcio, non lo ammetti e mandi pure a fare in culo la gente! Ma cos'è?! Ma cosa cazzo è?! Io non sono razzista. Sono certa che gente di questa portata colossale di ignoranza sia pure in italia, e molto spesso ne ho avuto le prove. Ma pure tu, cazzo...vieni in un paese dove dovresti un attimo integrarti, sai che ci sono anche persone che ti vorrebero dar fuoco, e visto che ci sei fai pure in modo che si incrementi questo senso razzista!? Io non lo ero e non lo sono per questo. Quello era una faccia di merda e basta. Ma una faccia di merda pure poco furba! Non mi piace. Non mi piace come ci siamo ridotti, come siamo diventati. Niente, solo questo...volevo solo dirlo.Sono quelle stronzate, quelle piccole cose che mi fanno girare i coglioni e che mi mandando in bestia!


domenica 21 agosto 2011

IO ODIO L'ESTATE




San Giovanni in Galilea.   -Foto Leanne



Che poi non è che sia proprio vero che odio l'estate. In realtà odio il caldo che porta l'estate. Lo so, lo so...sono la solita rompicoglioni che si lementa di tutto e non sopporta mai niente. Bene, chissenefrega!...io mi lamento quanto mi pare e oggi ho necessità di dire che odio il caldo! Odio il sudore che mi appiccica le mani, le gambe, che mi fa grondare anche da ferma. Odio svegliarmi al mattino e ritrovarmi con la faccia su un cuscino umido e bollente! Odio il caldo, l'apatia, la totale assenza di voglia di fare le cose. Quest'anno non ho neanche la forza di mettermi in macchina e di andare a cercare il fresco. Me ne sto qui, buona buona, sotto al ventilatore che gira le sue pale con una potenza tale da farmi venire il terrore che prima o poi si staccherà e mi decapiterà! Poi mi metto in terrazzo, sento tutto il calore che assorbono i muri, il fuoco che emana la piazza. Rimango lì, a guardare un po' oltre, a pensare un po'. A pensare che l'estate sarebbe anche bella se non fosse così calda. Che i rumori della città svaniscono tutti, che le macchine non passano più, che i negozi sono chiusi, che si sente solo, di tanto in tanto, il fruscio di due ruote di bicicletta che impavide sfidano l'asfalto ormai sciolto. I profumi...penso che mi piacciono i profumi d'estate. Quello di salsedine che mi arriva dal mare quando tira un po' di vento. Quello di grigliata dalle case vicine. Il profumo dell'erba secca che piano piano muore perchè non beve più da giorni. E il profumo dell'erba, invece, dei giardini bagnati da instancabili pompe d'acqua che girano girano senza sosta per alleviare almeno un po' il dolore di una terra muore di sete. Odio il caldo e l'estate mi piace. Odio il caldo perchè se non fosse caldo, se non mi insinuasse dentro questo desiderio di morire per non sentirlo più, d'estate farei un sacco di cose. Vorrei vedere un sacco di posti, vederli vuoti, deserti, silenziosi e assenti. Ci ho provato l'altro giorno. Ci abbiamo provato, abbiamo sfidato la pesantezza e ci siamo incamminati per vie piene di curve, coi finestrini aperti e il cappello in testa. siamo arrivati in un paesino dove non si sentiva una mosca volare. Solo il sommesso chiacciericcio di un una famiglia  a pranzo, seduta ad un tavolo in ombra. Abbiamo cercato il nostro posto, tra pietre ammassate, sull'erba secca che ti punge il sedere. Abbiamo mangiato un panino e siamo rimasti in ascolto del nulla. Avete mai ascoltato il nulla? E' una sensazione che ti entra nelle ossa, allo stesso modo del caldo umido, che ti impedisce di respirare. E' ascoltare una voce dentro, è cercare di capirci qualcosa, di trovare un senso. Odio il caldo, ma l'estate no. Me la terrei ancora un po' l'estate, solo per godere di qualche temporale estivo, di quel cielo che da azzurro acceso diventa cupo, grigio, carico di nuvole, e l'umidità tuona nell'aria e lascia quella sensaziozne come se da un momento all'altro il mondo dovesse finire. Mi terrei ancora un po' l'estate, per le grida dei ragazzini che si rincorrono e giocano, per le giornate lunghe e piene di luce, per le ore notture un po' più fresche, per la frutta matura e i cetrioli con l'aceto e il sale. Voglio tenermela ancora un po' questa estate, dove di me non ho fatto nulla, dove le mattine erano sempre buone per andare a fare una camminata ma la forza non c'era. Dove non ho fatto un progetto che fosse uno e aspetterò l'inverno per maledermi, per passare ancora il mio tempo sotto le coperte perchè, a quel punto, odierò il freddo. Voglio incamerare questo caldo che odio per ricordarmene quando le mie ossa tremeranno. Voglio cercare un'armonia tra me e le stagioni. Queste stagioni che negli ultimi anni sono sempre più strane. O troppo fredde o troppo calde, che non hanno più una via di mezzo, che sono instabili e all'improvviso si stabilizzano pesantemente, che non ci capisci più niente. Voglio ritrovare quello che sono in ogni giorno, in ogni momento, col sole che spacca le pietre o col gelo che ti fa scivolare. Ecco, voglio sciovolare, via, leggera, senza pensare che mese sia, senza guardare il barometro, senza chiedermi se sopravviverò o meno. Voglio solo un po' di serenità nei giorni che passano.  Voglio accettare, non odiare sempre, voglio amare, immergermi, sognare, partire, restare, cambiare, rinnovare, svecchiare. Voglio vivere. 


martedì 2 agosto 2011

IL BAR DI UNA STAZIONE QUALUNQUE








Il bar della stazione della città di B. ronzava di gente. 

Erano i giorni di punta dell'esodo vacanziero. Truppe valigiate e zainate riempivano e svuotavano treni, attendevano stremate dal caldo, si accampavano nelle combinazioni più teatrali, dal presepe al bivacco militare. 

E soprattutto si accalcavano alla casse del bar, inseguendo glaciali lattine e rugiadose bottiglie che, una volta conquistate, reggevano alte sulla testa come ostensori, o cullavano maternamente tra le braccia. Soldati in divisa guatavano nordiche rosee, chitarre di alternativi sfioravano teleobiettivi di samurai, mamme monumentali controllavano diserzioni di prole, babbi carichi come somari tentavano, con l'ultimo dito libero, di tenere al guinzaglio un botolo scatenato dagli afrori. Pazieni ferrovieri fornivano indicazioni a suorgentesse di brigate rosarie mentre branchi di giovanetti si spostavano compatti, e le sponsorizzazioni delle magliette si confondevano con quelle degli zaini, tanto da farli sembrare un enorme polipoide pronto a scivolare dentro al treno da un unico finestrino. 

Quattro africani, ognuno con boutique al seguito, cercavano di piazzare mercanzia con alterna fortuna, un quinto riposava sdraiato tra collane, giraffe e occhiali neri, come il sultano di una reggia in liquidazione. 

Due vecchie vestite di nero, in transito dalle isole, tagliavano fette di provola per una nidiata di marmocchi in mutande. Un uomo obeso, sudato, beveva birra a collo e mostrava coraggiosamente al mondo due cosciotti da tirannosauro sboccianti da shorts fucsia con la scritta "Sport Line". Un barbone camminava reggendo nella mano destra una busta con la casa e nella sinistra il guardaroba. 

Un'antilope bionda, bellissima, ambrata, avanzò tra i tavoli accendendo i sogni di tutti i militari presenti, ma ahimè, poco dopo la affiancò un Thor in canottiera traforata a riccioli biondi che educatamente si mise in fila troneggiando sopra brevilinei calabresi e sbarbine romagnole già rombanti in pole position per la discoteca. 

Si attendeva il 9,06 in ritardo, il 9,42 speciali, il 10,00 seconda classe settore B e C. Tutti erano partenzaper o arrivoda. 

Solo due clienti del bar sembravano indifferenti alla generale eccitazione, come separati dalla folla da un velo invisibile. 

Uno era un vecchio occhioceruleo, con un vetusto completo kaki, bastoncino di canna e sandali con calzini di lana. L'altro un uomo tozzo coi capelli corti, occhiali a specchio, e un completo blu di una certa eleganza. Erano seduti vicino all'entrata del bar. Il vecchio, che chiameremo il Parlante, sorseggiava una birra. L'uomo con occhiali neri, che chiameremo il Silenzioso, beveva svogliatamente un caffè freddo. 

Chiaramente il Parlante aveva voglia di attacare discorso e il Silenzioso no: ma in queste situazioni un Parlante è sempre in nettissimo vantaggio. Basta che parli. E così fu. 

- Certo, ce n'è di gente oggi - esordì. 

- Abbastanza -  grugnì il Silenzioso. 

- A me non dispiace,  - proseguì il Parlante, per niente scoraggiato dal preventivato mugugno - voglio dire, una stazione strapiena può dare ai nervi, ma una stazione vuota è triste. E poi, non so come spiegarle, questa gente che parte per le vacanze mi sembra più allegra, frenetica, ma piena di buon uomore, non trova?

- Se lo dice lei - rispose il Silenzioso dietro la cortina degli occhiali. 

- Io non parto - disse il Parlante, ormai lanciato. - Quest'estate resto in città, mia moglie ha dei problemi di cuore, e i medici ci hanno sconsigliato di muoverci, allora mi piace venire qua perchè nel mio quartiere c'è un gran mortorio, sembra tornato il coprifuoco. Qua ci sono tante facce, dei bei giovani, delle belle giovanotte abbraonzate. E la gente sembra migliore, ride di più, si chiama a alta voce, scherza. Forse perchè stanno partendo, e sperano di trovare qualcosa di buono là dove vanno. Si parte per questo, no?

- C'è anche qualcuno che sta già tornando - disse il Silenzioso. 

- Si, ritornano e allora osservo quelle belle scene che mi piacciono tanto, uno scende dal vagone e guarda in fondo al binario, affretta il passo e poi riconosce la persona ceh lo aspetta, e le corre incontro. Si vedono degli abbracci che non si vedono tutti i giorni. E certi baci appassionati! E' un momento che ci si vuole bene, magari un'ora dopo si litiga ed è già tornato tutto normale. E si hanno tante cose da raccontare; magari in vacanza non è successo granché, ma raccontandolo tutto si colora, si trasfigura. Anche senza volere, la vacanza diventa più bella di come è stata: le cose brutte diventano quasi comiche, le cose belle diventano uniche. Non trova?

- Non lo so. Non racconto mai quello che mi succede in viaggio...

- Ce n'è anche di quelli come lei, che si tengono tutto dentro, come un bel segreto, da coltivare durante l'invero, come una pianta che si compra in vacanza e si mette sul balcone. E magari tornando si accorgono che gli mancava la loro vecchia città, che sentivano un po' di nostalgia. Il loro quartiere sembra meno noioso del solito. Fanno progetti, si dicono "no, questo inverno non andrà come quello scorso". Magari questi progetti si spengono in fretta, ma che importa? E quelli che partono? Si stancano più a organizzare la partenza che a lavorare una settimana, ma sembrano contenti. Perchè sperano che là, nel posto dove arriveranno, ci sarà qualcosa di nuovo, che cambierà il loro destino. O magari gli basta qualche foto da guardare nelle sere d'inverno. Che pensa?

- Penso,  - disse il Silenzioso con un sorriso sarcastico - che lei dovrebbe andarci piano con quella birra. 

- Parla come mia moglie, - sospirò il vecchio - ma vede, dal momento che non parto, non mi va di stare chiuso in casa a mugugnare da solo, o guardare alla televisione gli ingorghi sulle autostrade, o invidiare quelli che sono partiti. Vengo qui e faccio anch'io parte della festa, immagino dei posti al mare o in montagna, o in un'altra città, dove ci potrebbe essere qualcosa di speciale per me. Ecco, guardi quella ragazza: c'ha scritto sulla chiena "Ocean Beach". Se la guardo, già sento aria di mare e vedo le palme. 

- Guardi che "Ocean Beach" è la marca dello zaino. E non sente che qua dentro manca l'aria per la ressa?

- Ha ragione - disse il Parlante. - Sì, anche a me spesso la folla dà fastidio. Divento nervoso nelle file, soffoco quando sono circondato dal traffico, mi vien da dare di matto, vorrei roteare il bastone e gridare via, via, lasciatemi un po' di spazio, due metri, tre metri almeno. E poi ci sono i rumori che ti svegliano la notte, i motorini, le facce ostili alla finestra, il nervosismo di quelli che credono di essere gli unici a patire il caldo. Sì, qualche voltra mi arrabbio, ma poi mi chiedo: vivere insieme in fondo non è questo? Difendere il proprio diritto ad avere un po' di spazio, aria, silenzio, rispetto, speranza, ma senza aver paura di ciò che ci circonda, non vedere nemici dappertutto, invasori, gente che ti passa davanti. Lei, se per strada qualcuno la urta, cosa pensa? Che l'ha fatto apposta?

-
Ma che razza di domande,  - si spazientì il Silenzioso - e poi di che rispetto parla, non vede quanti barboni, quante persone inutili, miserabili, disperate, ci sono qua dentro?

- Forse ha ragione. Ma non li guardi nel momento in cui sono feriti, chini a terra, vinti. Li guardi nel momento che si tirano su, che sono allegri, che cercano di respirare. Guardi quel nero: carico come una bestia, va a vendere chissà cosa in chissà quale spiaggia, e canta. E guardi come si gode la sigaretta quella vecchiaccia. E quella coppia di ragazzi, beh. non sono proprio dei modelli di eleganza, ma vede come sono abbarbicate insieme a dormire, lì per terra...

- Sì, capisco cosa pensa - proseguì il vecchio.  - Che lei è  diverso, che non è affar suo occuparsene. Eppure sono sicuro che anche  lei, almeno un giorno della vita, era ridotto da far pena. Ma negli ultimi tempi, in questo paese, si fa più in fretta a buttare giù la gente. Si è accorciata la data di scadenza come gli yogurt. Vecchio, alè, scaduto. Drogato, alè, non dura un mese. Disoccupato, alè, tanto finisce male. Per carità non vorrei buttarla in politica. Ma di questo passo facciamo cittadini solo quelli che tengono il ritmo del gruppo, non so se lei si intende di ciclismo, o anche peggio, quelli che marciano tutti a passo, o quelli che c'hanno i soldi da farsi portare in spalla. 

- Calma, calma,  - disse il Silenzioso - altrochè politica, lei mi sta facando un comizio!

- Ha ragione, sono un chiacchierone. Ma ogni giorno vedo la gente diventare cattiva per niente, odiare quella che non conosce, ripetere i tormentoni della televisione invece di dire quello che c'ha dentro. Allora mi arrabbio. E a me, glielo dico subito, se la borsa sale o scende non me ne frega niente. Io vedo se sale o scende l'avidità o la cattiveria. E sa cosa le dico? Ma che miseria, che crisi! Noi siamo un paese che potrebbe esportarla l'allegria, come le arance, aiutare gli altri paesi, potremmo essere gente che regala la speranza, invece di aver paura di tutto e montare le fotoelettriche intorno alla casa. 

- Ma che discorsi sconnessi. Ci vorrà pure un po' di ordine - sbuffò il Silenzioso. 

- Ha ragione, ha ragione. Sto esagerando. Volevo solo spiegarle perchè passo il mio tempo qui. Perchè penso che bisognerebbej sempre sentirsi come se si partisse il giorno dopo, o come se si fosse appena tornati. Tutto diventa più prezioso; quello che si lascia e quello che si trova. Il dolore è facile da ascoltare, quello ti arriva addosso, urla, ha una voce terribile, è sempre lui a raggiungerti. La speranza è una vocina sottile, bisogna andarla a cercare da dove viene, guardare sotto il letto per poterla ascoltare. O venire in una stazione. 

- I suoi sono  discorsi da pomeriggio estivo,  - disse il Silenzioso consultando l'orologio, - ma mandare avanti un paese è molto più difficile. 

- Ne convengo - disse il vecchio sorridendo.  - Mi scusi se le ho attaccato un bottone, vedo che lei sta partendo. Beh, spero che vada in un bel posto e che passi una bella vacanza. 

- Grazie - disse l'uomo, e si allontanò, fendendo deciso la calca. 

- E' difficile parlare con un uomo che ha gli occhiali neri - pensò il vecchio - non si vede mai cosa pensa davvero. Forse l'ho annoiato. O forse il mio discorso lo ha toccato. Sembra che a certuni parlar di speranza metta paura. Eppure a me questa gente che parte e torna mette allegria. Sì,  saran avidi, nervosi, pigri, disordinati, cialtroni, si spingono e si rubano il posto ma hanno diritto di provarci un'altra volta e ricominciare. Sì, ricominciare almeno una volta prima di rassegnarsi. Non è molto, ma è qualcosa. 

Una famiglia gli passò davanti di corsa, il treno stava arrivando. Un bambino correva goffo, trascinando un triciclo rumoroso. La bimba teneva la mano sul cappello di paglia per non perderlo. Il padre aveva un gilè da pescatore a trenta tasche e naturalmente non trovava più il biglietto. La mamma lo perquisiva rimproverandolo. Il barbone, guardando la scena, rise. Il nero addormentato si svegliò sbadigliando come un leone. 

Il vecchio aveva finito la birra, si asciugò la fronte e uscì, un po' barcollante, sulla pensilina del primo binario. Venendo dall'aria condizionata del bar, fu come tuffarsi nel brodo. Vide il Silenzioso ch si avviava verso l'uscita. Gli sembrò che non avesse più la valigia, ma non ci fece troppo caso. Era troppo incantato a guardare la gente. Gli sembrava di aver scoperto qualcosa, qualcosa di importante che gli sarebbe servito per quello che gli restava da vivere. 

"Se avessi con me un quaderno ce lo scriveri sopra" pensò.

"Oggi, stazione di Bologna, due agosto di un anno vicino al duemila, ore dieci e venti del mattino, tutti sono allegri perchè partono, e faccio finta di partire anch'io"







Tratto da "Bar Sporto duemila" - Stefano Benni


lunedì 25 luglio 2011

L'AMORE ABBASTANZA


Un po' di tempo fa mi hai chiesto se mi stessi dando abbastanza amore. Cos'è l'amore, mi sono chiesta allora...come me lo sono chiesta altre volte, del resto. Come si fa a quantificare se una persona ti da abbastanza amore oppure no? Ho provato a ragionarci sopra, a pensare a cosa volesse dire amare. Amare...questa parola strana di cui si sono riempiti la bocca poeti, cantanti e scrittori. Amare. Tu mi ami e io lo so. Lo so anche se in quanto ad affetto e a parole sei molto parco. Non è che ti sbilanci tanto, diciamo. Ma ci sono cose, le cose che fai, le cose che capisci di me che mi fanno pensare che si, tu mi dai abbastanza amore. Di natura sei un egoista, eppure se ti chiamo mentre dormi perchè ho una delle mie crisi ci sei, mi sostieni e mi fai compagnia. Cerchi di farmi ridere quando sono giù, e se di notte vedi che non riesco a dormire e mi rigiro nel letto, sento che appoggi la tua mano sulla mia schiena e mi fai una carezza. Questo per me è amore, è abbastanza amore. E' abbastanza nel momento in cui so che posso contare su di te, in cui so che ci sei e anche se fisicamente non sei sempre presente perchè non è che due persone possano stare appicciacate per tutti i giorni della loro vita, tu ci sei. E anche se un giorno dovessi decidere di non esserci più, perchè capisco perfettamente che io non sono una persona facile a cui stare vicino, ci sarai lo stesso. L'amore abbastanza. L'amore basta. Basta a far sì che io voglia continuare a rimanere. La prima cosa che mi chiedi al mattino è "come stai?"...per me questo è abbastanza amore. Ti preoccupi se ho dormito bene, se ho dormito senza incubi, se per un giorno sono tranquilla. Tu mi ascolti, ascolti le ore e ore di lamentele che ho da sputare, le mie incazzature, la mia voglia di cambiare e la mia difficoltà a farlo. Tu vai a fare la spesa quando io non riesco a farlo. Mi accompagni quando da sola non riesco ad andare avanti. Qualcuno potrebbe chiamarla dipendenza...io lo chiamo amore. E pensare che pensavo di essere io quella che si prendeva cura di te. Guardo indietro a questi tre anni e capisco che se qui c'è uno che si è preso cura dell'altro sei, invece, tu. Grazie, allora. Grazie per questo abbastanza amore che mi dai ogni giorno. Nei piccoli gesti che fai. E anche se mi dici "ti amo" solo dopo che a dirlo sono stata io, non ha la benchè minima importanza. Io ti amo. Tu mi ami. Lo sappiamo. Dirlo ha una valenza superficiale che a quelli come noi non fa certo differenza. 


martedì 19 luglio 2011

PER LA CIRLY 22.12.2002


"Se fossi qui adesso saresti accucciata in fondo al letto, accanto ai miei piedi. Ho dovuto appoggiarci un libro per compensare la tua assenza. La coperta è troppo leggera senza te sopra. 

Ti hanno portata via e, come quando ero piccola, ho così tanta voglia di piangere che rimarrei sveglia tutta la notte. Ti aspetterei fuori dalla porta se fossi certa di vederti tornare. Ma non sei Lessie e ti riporterebbero via. Sento una fitta acutissima allo stomaco e ho voglia di guardare le tue foto. Sembra impossibile che a 20 anni mi metta a piangere ancora per un gatto. Ma fai parte della mia vita, mizin, e non mi scorderò mai di quando mi sono presa cura di te quando eri piccola. Mi manchi da morire e vorrei che fosse davvero così. Vorrei davvero morire. Senza te, che col tuo musino umido mi venivi a svegliare al mattino, non sarà più un buon giorno. 

Torna, piccolina, senza farti vedere. Ho un regalo di Natale per te nascosto nell'armadio. Voglio vedere che faccia farai quando scoprirai cos'è. "



A te, Cirly, che sono passati gli anni, che poi ti sei fatta grande, e io per un po', anche se non eri a casa mia, ti ho vista lo stesso. A te, Cirly, che poi qualcuno ti ha portata via e io non so dove tu sia finita, che i mesi, i giorni, si sono portati via il suono dei tuoi miagolii eppure non ti ho mai dimenticata. A te, piccola, per tutti i gatti che sono passati dopo di te, che non hanno preso il tuo posto, che ho provato lo stesso amore ma in modo diverso. Per te, Cirly, per ogni minuto che abbiamo passato insieme e per ogni minuto che ci è stato tolto. A te, solo a te. 






giovedì 14 luglio 2011

CUORE DI CANE












Che poi cane...come si farà a chiamare cane un musino così. Io non lo so. Come non so come si faccia ancora oggi, che siamo già nel 2011, un millennio di progresso, di sensibilità (tecnicamente) ad abbandonare un esserino indifeso. Io non ho parole. E non è che sia la prima volta che non le ho. Su facebook sono iscritta a tantissimi gruppi animalisti e vedo ogni giorno foto di animali maltrattati, abbandonati e lasciati morire che ormai ci sono abituata, anche se poi, secondo me, alla fine, non ci si abitua davvero mai. Ma per me era quasi la prima volta oggi perchè quegli occhi non li vedevo in fotografia, ma dal vivo, li avevo lì davanti, li sentivo dentro come un pugno allo stomaco quei due occhi lì. Non mi ero neanche fermata per lui, ma per un altro cane, un cane che, scendendo per la via che dall'agriturismo in cui eravamo porta al paese, sbandava da una parte all'altra della strada e rischiava di farsi investire. Abbiamo accostato nella piazzola dove c'è la fontana e abbiamo aspettato che ci raggiungesse per vederlo da vicino e poterlo fermare. Niente, aveva paura ed è tornato indietro. Mentre eravamo lì, una coppia di anziani che si abbeverava alla fonte, ci ha fatto presente che con loro c'era un altro cane, che stavano provando a dargli da mangiare ma non ne voleva sapere. Lo guardo. Ha un viso dolcissimo e si lascia accarezzare. Chiamo il canile. Mi chiedono un po' di informazioni, faccio presente che i cani sarebbero due ma di uno si sono perse le tracce e dico che rimango lì aspettando il loro arrivo. Io e il cane ci sediamo vicini. Lui steso, io seduta sul muricciolo con i sassolini che mi pungono il sedere. Lui sospira, di sospiri profondi, sento tutta la sua tristezza, la paura e la solitudine. Tutto in un colpo solo. Lo sento mentre respira a scatti eppure sta buono, non se ne va. E' stanco. Forse stanco di cercare qualcuno che gli voglia bene. Stiamo lì, in attesa che qualcuno venga a prenderci. Ci facciamo le nostre chiacchiere, io cerco di consolarlo, gli parlo a voce bassa e gli faccio presente che vicino all'orecchio ha una zecca e ha la pancia tutta sporca e infangata. Cucciolo...forse non era neanche troppo giovane eppure per me gli animali sono sempre cuccioli. Ad un certo punto, preso da non so quale raptus, alza la testa e si mette ad ululare. Avete presente il dolore!? Ho sentito tutto il dolore del mondo in quel verso, tutto il male che aveva dentro e non ce l'ho più fatta. Ho pianto. So che non è saggio e forse neanche normale, ma non sono riuscita a trattenermi. L'ho accarezzato ancora un po', gli ho detto di stare calmo che si sarebbe risolto tutto. Ci siamo accucciati insieme, e siamo rimasti ancora un po' lì...lui con i suoi respiri profondi e rassegnati. Io con la mia sigaretta in bocca il cuore a pezzi. Ad un certo punto sono arrivate le due ragazze del canile. Sarei stata anche tutto il giorno con lui ad aspettare, non mi pesava, non mi pesava proprio per niente. Ma loro sono arrivate. Una si è avvicinata con la corda per tenerlo fermo. Lui ha avuto paura e si è rifugiato dietro la mia schiena. Ho dovuto accarezzarlo e fargli capire che si poteva fidare anche di loro e non solo di me. Gli hanno trovato il microcip e senza che io avessi il tempo di rendermene conto perchè intanto l'altra ragazza stava tirando giù i miei dati, lo hanno caricato sul furgone e lo hanno portato via. Ho sentito qualcosa rompersi dentro, uno scricchiolio fortissimo, come qualcosa che si schianta e non si riaggiusta. Nel viaggio di ritorno mi sono fatta un sacco di domande...aveva capito che lo capivo? Perchè si avvicinava a me appena lo chiamavo e agli altri no? Aveva capito che sentivo? Sentivo dal primo all'ultimo rumore che faceva la sua anima. Cosa sarà adesso di lui? Tornerà dal suo padrone? Un padrone che magari non lo aveva abbandonato ma che comunque è stato troppo incosciente fino ad arrivare a perderselo in giro? Era scappato? Stava male dove stava? Qual'era la storia di quel cane che mi ha preso il cuore fino a farmelo in centomila pezzi? Io queste cose non le so. Però  mi piace immaginare che adesso sia in una cuccia, al fresco in questa serata torrida. Mi piace pensare che sia davanti alla sua bella ciotolina di acqua fresca e croccantini. Mi piace pensare che stasera, prima di accucciarsi per dormire un sonno profondo, pensi a me...anche solo per un attimo, e al bene che gli ho voluto. 


lunedì 4 luglio 2011


Mi sto seriamente chiedendo perchè non scrivo più. Forse non ho più niente da dire, forse mi sono placata, ho tranquillizzato l'animo, l'ho sedato, si è calmato. Forse, invece, sto solo cercando di ignorarlo per campare decentemente. Eppure, se si ha un tarlo dentro, come si fa a fare finta di niente? E' strana questa cosa, il non avere cose da dire mi spiazza. Come sarebbe strano, nello stesso modo, guardarmi dentro e capire di non avere crucci, piccoli esserini malefici che mi rosicchiano dentro...dove sono finiti?! Possibile che io stia davvero bene? Possibile che io sia serena e non me ne sia ancora resa conto? Possibile che...possibile un cazzo. Forse mi è solo passata la voglia. 


domenica 12 giugno 2011

"IL CONIGLIO VELENOSO"




"La moglie di Marcovaldo quel mattino non sapeva proprio cosa mettere in pentola. Guardò il coniglio che il marito aveva portato a casa il giorno prima, e che ora stava in una gabbia improvvisata, piena di trucioli di carta. "E' venuto proprio a proposito, - si disse. - Soldi non ce n'è; il mensile se n'è già andato in medicine extra che la Mutua non paga; le botteghe non ci fanno più credito. Altro che far l'allevamento, o aspettare Natale per metterlo arrosto! Noi saltiamo i pasti e ancora dobbiamo ingrassare un coniglio!"

- Isolina, - disse alla figlia,  - tu sei già grande, devi imparare come si cucinano i conigli. Comincia ad ammazzarlo e a spllarlo e poi ti spiego come devi fare. 

Isolina stava leggendo un giornale di novelle sentimentali. - No, - mugolò, - comincia tu ad ammazzarlo e a pelarlo, e poi starò a vedere come lo cucini. 

- Brava! - disse la madre. - Io d'ammazzarlo non ho cuore. Ma so che è una cosa facilissima, basta prenderlo per le orecchie e dargli una forte botta sulla collottola. Per spellarlo poi vedremo. 

- Non vedremo niente, - disse la figlia senza alzare naso dal giornale,  - io colpi sulla collottola a un coniglio vivo non ne do. E a spellarlo non ci penso neanche. 

I tre bambini erano stati a sentire questo dialogo a occhi spalancati. 

La madre restò un po' soprappensiero, li guardò, poi disse:  - Bambini...

I bambini, come d'intesa, voltarono le spalle alla madre e uscirono dalla stanza. 

- Aspettate bambini! - disse la madre. - Vi volevo dire se vi piacerebbe uscire col coniglio. Gli metteremo un bel nastro al collo e andate un po' a passeggio. 

I bambini si fermarono e si guardarono negli occhi. - A passeggio dove? - chiese Michelino. 

- Bè, potete fare quattro passi. Poi andate a trovare la signora Diomira, le portate il coniglio e le dite se per favore ce lo ammazza e ce lo spella, lei che è così brava. 

La madre aveva toccato il punto giusto: i bambini, si sa, restano impressionati dalla cosa che a loro piace di più, e al resto preferiscono non pensarci. Così trovarono un lungo nastro color lilla, lo legarono attorno al collo della bestiola e l'usarono come guinzaglio, strappandoselo di mano e tirandosi dietro il coniglio riluttante e mezzo strangolato. 

- Dite alla signora Diomira,  - raccomandò la madare, - che poi può tenersi un cosciotto! No, meglio dirle: la testa. Insomma: veda lei. 

I bambini erano appena usciti quando l'alloggio di Marcovaldo fu circondato e invaso da infermieri, medici, guardie e poliziotti. Marcovaldo era in mezzo a loro più morto che vivo. - E' qui il coniglio che è stato portato via dall'ospedale? Presto, indicateci dov'è senza toccarlo: ha addosso i germi di una tremenda malattia! - Marcovaldo li condusse alla gabbia, ma era vuota.  - Già mangiato? - No, no! - E dov'è? - Dalla signora Diomira! - e gli inseguitori ripresero la caccia. 

Bussarono dalla signora Diomira. - Il coniglio? Che coniglio? Siete pazzi? - A vedersi la casa invasa da sconosciuti, in camice bianco e in divisa, che cercavano un coniglio, alla vecchietta venne quasi un colpo. Del coniglio di Marcovaldo non sapeva niente. 

Infatti, i tre bambini, volendo salvare il coniglio dalla morte, pensararono di portarlo in un posto sicuro, giocarci un poco e poi lasciarlo andare; e invece di fermarsi al pianerottolo della signora Diomira, decisero di salire fino a un terrazzo che c'era sui tetti. Alla madre avrebbero detto che aveva strappato il guinzaglio e era scappato. Ma nessun animale pareva così poco adatto alla fuga quanto quel coniglio. Fargli salire tutte quelle scale era un problema: si ranicchiava spaventato a ogni gradino. Finirono per prenderlo in braccio e portarlo su di peso. 

Sul terrazzo volevano farlo correre: non correva. Provarono a metterlo su un cornicione per vedere se camminava come i gatti: ma pareva che soffrisse le vertigini. Provarono a issarlo su un'antenna della televisione per vedere se sapeva stare in equilibrio: no, cascava. Annoiati, i ragazzi strapparono il guinzaglio, lasciarono libera la bestia in un punto dove le si aprivano davanti le vie dei tetti, mare obliquo e angoloso, e se ne andarono. 

Quando fu solo, il coniglio prese a muoversi. Tentò alcuni passi, si guardò intorno, cambiò direzione, si girò, poi a piccoli balzi, a saltelli, prese a andare per i tetti. Era una bestia nata prigioniera: il suo desiderio di libertà non aveva larghi orizzonti. Non conosceva altro bene della vita se non il poter stare un po' senza paura. Ecco, ora poteva muoversi, senza nulla intorno che gli facesse paura, forse come mai prima in vita sua. Il luogo era insolito, ma una chiara idea di cosa fosse e cosa non fosse solito non aveva potuto mai crearsela. E da quando dentro di sè sentiva rodere un male indistinto e misterioso, il mondo intero lo interessava sempre meno. Così andava sui tetti; e i gatti che lo vedevano saltare non capivano chi era e arretravano timorosi. 

Intanto, dagli abbaini, dai lucernari, dalle altane, l'itinerario del coniglio non era passato inosservato. E chi cominciò a esporre catini d'insalata sul davanzale spiando da dietro alle tendine, chi buttava un torsolo di pera sulle tegole e ci tendeva intorno un laccio di spago, chi disponeva una fila di pezzettini di carota sul cornicione, che seguitavano fino al proprio abbaino. E una parola d'ordine correva in tutte le famiglie che abitavano sui tetti: -Oggi coniglio in umido - o - Coniglio in fricassea - o - Coniglio arrosto. 

La bestia si era accorta di questi armeggii, di queste silenziose offerte di cibo. E sebbene avesse fame, diffidava. Sapeva che ogni volta che gli uomini cercavano d'attirarlo offrendogli cibo, capitava qualcosa di oscuro e doloroso: o gli conficcavano una siringa nelle carni, o un bisturi, o lo cacciavano di forza in un giubbotto abbottonato, o lo trascinavano con un nastro al collo...E la memoria di queste disgrazie facava una cosa sola col male che sentiva dentro di sè, col lento alternarsi d'organi che avvertiva, col presentimento della morte. E con la fame. Ma come se di tutti questi disagi sapesse che solo la fame poteva essere alleviata, e riconoscesse che questi infidi esseri umani gli potevano dare - oltre a sofferenze crudeli - un senso - di cui pure aveva bisogno - di protezione, di calore domestico, decise di arrendersi, di prestarsi al gioco degli uomini: andasse poi come voleva. Così, cominciò a mangiare pezzettini di carota, seguendo la scia che, lo sapeva bene, l'avrebbe fatto ancora prigioniero e martire, ma tornando a gustare forse per l'ultima volta il buon sapore terrestre degli ortaggi. Ecco si avvicinava alla finestra dell'abbaino, ecco che una mano si sarebbe protesa a ghermirlo: invece, tutt'a un tratto, la finestra si chiuse e lo lasciò fuori. Questo era un fatto estraneo alla sua esperienza: una trappola che si rifiutava di scattare. Il coniglio si volse, cercò gli altri segni di insidia intorno, per scegliere a quale d'essi gli conveniva arrendersi. Ma intorno le foglie d'insalata venivano ritirate, i lacci gettati via, la gente affacciata spariva, sbarrava finestre e lucernari, i terrazzi si spopolavano. 

Era successo che una camionetta della polizia aveva attraversato la città, gridando da un altoparlante: - Attenzione, attenzione! E' stato smarrito un coniglio bianco dal pelo lungo, affetto da una grave malattia contagiosa! Chiunque lo rintracci sappia che la sua carne è velenosa, e anche il contatto può trasmettere germi nocivi! Chiunque lo veda lo segnali al più vicino posto di polizia, ospedale o caserma dei pompieri!

Il terrorej si sparse sui tetti. Ognuno stava in guardia e appena avvistava il coniglio che con un floscio balzo passva da un tetto a quello vicino, dava l'allarme e tutti sparivano come all'avvicinarsi d'uno sciame di locuste. Il coniglio procedeva in bilico sulle cimase; questo senso di solitudine, proprio nel momento in cui aveva scoperto la necessità della vicinanza dell'uomo, gli pareva ancora più minaccioso, intollerabile. 

Intanto il cavalier Ulrico, vecchio cacciatore, aveva caricato il suo fucile con cartucce da lepre, ed era andato ad appostarsi su un terrazzo, dietro un fumaiolo. Quando vide nella nebbia affiorare l'ombra bianca del coniglio, sparò; ma tanta era la sua emozione al pensiero dei malefici della bestia, che la rosa di pallini grandinò un po' discosto sulle tegole. Il coniglio sentì la fucilata rimbalzare intorno, e un pallino trapassargli un orecchio. Comprese: era una dichiarazione di guerra; ormai ogni rapporto con gli uomini era rotto. E in dispregio a loro, a questa che in qualche modo sentiva come una sorda ingratitudine, decise di farla finita con la vita. 

Un tetto coperto di lamiera scendeva obliquo, e terminava nel vuoto, nel nulla opaco della nebbia. Il coniglio ci si posò con tutte e quattro le zampe, cautamente dapprima, poi abbandonandosi. E così scivolando, divorato e circondato dal male, andava verso la morte. Sul ciglio, la grondaia lo trattenne un secondo, poi sbilanciò giù...

E finì tra le mani guantate di un pompiere, issato in cima a una scala portatile. Impedito fino a quell'estremo gesto di dignità animale, il coniglio venne caricato sull'ambulanza che partì a gran carriera verso l'ospedale. A bordo c'erano anche Marcovaldo, sua moglie e i suoi figlioli, ricoverati in osservazione e per una serie di prove di vaccini"







Tratto da "Marcovaldo" - Italo Calvino







PS: Lessi questo libro in età abbastanza giovanile e spensierata e se devo dire che me lo ricordavo così triste, proprio non mi viene. La coscienza, l'esperienza, fa rileggere libri sotto un'altra ottica. Questo pezzo è di un angoosciante che mi ha fatta piangere. Pieno di metafore di vita che si vive così, tanto per vivere. E anche per il coniglio si, che metafora o no, mi ha ammazzato. Continuiamo così...facciamoci del male!


domenica 22 maggio 2011

A PARLARE SONO CAPACI TUTTI




Fate presto a parlare voi, a riempiervi la bocca con le parole che avete solo letto dai libri. Eh si, si fa presto, vero? A cercare spiegazioni in ogni angolo di una vita, a dare la colpa al rapporto con la madre, col padre, ai genitori separati. Avete la chiave, vero? Ma non avete una minima idea di quello che si provi, dell'inquietudine che aleggia perenne dentro alle nostre anime! No, non ce l'avete, non l'avete mai provata. E allora cosa parlate a fare?! Si fa presto, vero, a dire che tutto si risolverà, che piano piano verremo a capo di questo male e lo sconfiggeremo, a darci consigli, a tagliarci fuori, a darci gli strumenti giusti per farcela da soli! Ma voi lo sapete cosa voglia dire essere veramente soli?! Non è la solutidine che provate voi quando una sera rimanete a casa senza fare nulla, quando i vostri amici vi hanno dato buca o quando il ragazzo vi ha lasciato! No, mi dispiace, non è paragonabile. La nostra solitudine è ben diversa, una solitudine costante, in mezzo a tanta gente, o a poca gente. Non importa, la solitudine che proviamo noi ha un'altra sostanza, un'altra valenza. E' la solitudine di chi non è compreso, di chi si sente dire che non è normale e di chi sa di non essere normale. Abbiamo accettato il fatto di non essere "in regola", lo abbiamo preso anche come un dono, a volte. Ma è pesante. Talmente pesante che a volte ci guardiamo allo specchio e non sappiamo neanche riconoscerci. Lo sapete voi? O lo sapete solo perchè lo avete studiato o sentito da qualche parte? Dove si finisce quando il nodo che ti schiaccia la gola ti soffoca e non stai bene nè dentro nè fuori, nè sdraiato nè in piedi!? Almeno abbiate il coraggio di dirci la vertià...ditecelo una buona volta per tutte che non si guarisce, che magari il male si attenua ma non passerà mai! Ditecelo, cazzo! Non rimanete lì a darci l'illusione che per qualche euro all'ora tutto si sistemerà...perchè lo sapete benissimo che non è vero! E fanno presto anche gli altri, si gli altri, quelli che ti guardano da fuori e sono capaci di giudicarti perchè non ti va mai bene niente...sappiatelo, non augurerei a nessun nemico di stare come sto e come ho visto molta gente stare. Si fa presto a parlare, a dire che bisogna prendere la vita così come viene, che ci sono cose magnifiche che ci circondano, che siamo fortunati perchè abbiamo due gambe, due braccia, vediamo, sentiamo e parliamo! Lo so anche da sola, lo so bene e non pensiate che non mi senta già abbastanza in colpa per questo. Ma si fa presto, dio se si fa presto, e non immaginare neanche lontanamente cosa voglia dire arrivare a credere che l'unica soluzione possibile alla fine di tutto sia la morte. Ma resistiamo, tranquilli, perchè oltretutto siamo anche troppo codardi per passarci una corda al collo e farla finita. E vi sembriamo positivi, vero? Non si direbbe neanche che dentro abbiamo tutto questo grovigilio di schifiezze che ci fa sentire putridi fino al midollo! Ma cosa ne sepete?! Per che cazzo parlate?! Avete mai sentito le gambe che vi tremano anche solo se dovete fare due passi? Avete mai passato una notte insonne perchè non riuscite a smettere di fare lavorare la vostra testa!? Oh si, capita...certo, capita a tutti, una volta, magari, due volte, poi per voi è finita lì e l'episodio si ripeterà fra chissà quanto tempo. Per noi no, per noi è sempre all'erta, sappiatelo. E allora me ne frego di come ci vedete, me ne frego di giudizi spalmati come crema di nocciole su un panino. Me ne frego di voi, del resto del mondo, di chi pensa di avere capito tutto e invece non ha capito niente. Mi dispiace, ma non serve, non servono coccole sulla testa o parole di conforto. Non cambiano la nostra situazione, non cambierà mai niente. A volte andrà meglio e a volte andrà peggio. Lo abbiamo accettato e ce ne siamo fatti una ragione. Accettatelo anche voi e per una buona volta state zitti!


sabato 14 maggio 2011

PER COME LA VEDO IO...






Il mio cuore ha smesso di battere. Così, all'improvviso, senza dare segni di preavviso. Stecchito, senza dirmi niente. E' successo questa notte. Sono andata a dormire che ero viva e mi sono svegliata che ero morta. Come sia, come non sia...chi lo sa. E' successo e basta. Che poi uno certe cose, almeno almeno, dovrebbe saperle. Mica per niente, ma neanche il tempo di salutare, di ringraziare...niente. Ha smesso solo di funzionare e tanti saluti. ma che, si fa così?! Che poi, mi dico, per fortuna, forse. Neanche me ne sono accorta che la morte mi stava venendo a prendere. Nel sonno, mentre dormi, quella signora col cappuccio nero e la falce in mano ti sembra solo la protagonista di un sogno. E chi se ne è reso conto?! Io no di certo. Mi sono solo ritrovata inerme mentre la sveglia suonava e non riuscivo a muovermi, non riuscivo ad aprire gli occhi. Forse anche la sveglia faceva parte del sogno, chissà, chi può dirlo. Io adesso non so neanche più niente, per dire. Che uno va a letto con delle certezze, magari, la sera, con dei programmi per il giorno dopo, con delle cose da fare, poi, invece, si sveglia e non è più vivo. Ma...che cosa strana questa. E' che non ci si pensa mica mai. Io prima di oggi non ci avevo mica mai pensato. Poi non so voi. Che poi c'è anche da dire un'altra cosa. Io tutta quella bella luce bianca in fondo al tunnel di cui parlano tutti mica l'ho vista. Non ho visto niente. Mi sono solo ritrovata morta. Sto qua...in questa specie di buio che non è nè piacevole nè sgradevole. E' normale, via. Paura non ne ho. Ho solo del tempo da quello che  mi è parso di capire. Solo tempo. Sto qui, aspetto che qualcuno mi venga a dare istruzioni. Cosa ne so io come funziona questa cosa della morte? Qualcuno verrà prima o poi, a dirmi se devo uscire da questo buio, a dirmi se devo ritornare, in qualche modo, sotto altra forma, magari, a vivere. Oppure solo a farmi sapere che è tutto qui. Che la morte è questa, poi. Che io da adesso e per sempre sarò intrappolata qua dentro, in questa oscurità. Cosa ne so io della morte?! Cosa ne sapete voi? Devo prendere forse un biglietto? Tipo quelli che ci sono nei supermercati, il numero per entrare/uscire da qui? Ma va bene anche così, insomma. Non sento niente, tanto. Ho solo smesso di respirare. Non vedo niente di quello che sta succedendo nella vita in cui ero prima. Non so se hanno già trovato il mio corpo esanime, non so se hanno chiamato un medico legale. Non so neanche se chi mi ha amato mi sta piangendo oppure sta tirando un bel sospiro di sollievo. Non so niente. Ma va bene. Aspetto. Qualcosa succederà. E se anche non dovesse succedere niente, in fin dei conti, poco importa. Sto qui. Male non sto. C'è silenzio, c'è pace. Chi se ne frega?! E' solo un altro livello raggiunto, forse l'ultimo. Il nulla, forse, ha più valenza di ogni cosa. 


lunedì 25 aprile 2011

RESISTIAMO!!!




C'è un bel silenzio questa mattina. La foschia avvolge il paese e lo rende come morto. Solo qualche rondine garrisce, spiegando le ali, e vola disegnando ampi cerchi invisibili. Lente, poche persone salgono i gradini della chiesa. Lontanto, molto lontano, il rumore del motore di una macchina che passa, solo per un attimo, spezza la quiete. Nessuna voce, nessun grido, neanche un pianto di bambino. E' giorno di festa, oggi. La festa più vera e profonda, quella che smuove le nostre anime resistenti e ci fa stringere i denti. Oggi non è il giorno dopo Pasqua. Oggi è il giorno della nostra Libertà! La assaporo piano, anche se è solo una libertà fittizia. Sappiamo bene che è solo apparente. Ma il ricordo di quello che è stato più di sessanta anni fa, il ricordo che il 25 aprile rievoca in noi, ci fa sperare che, prima o poi, riusciremo a liberarci di nuovo dall'oppressione. Un'oppressione fatta di leggi finte, di vite misere e di tanto sudore! Oggi non ci sarà una guerra dalla quale salvarci, ma io, voi, noi, le persone che siamo, i nostri sogni, la pace, la nostra dignità!...abbiamo ancora speranza. Resistete, resistiamo, perchè se oggi siamo qui è grazie a chi ha lottato, a chi ha dato la vita per consentirci un futuro. Guardiamolo questo futuro. Difendiamolo a pugni stretti. Teniamocelo caro e non facciamocelo togliere...di nuovo!!

A voi, a me, a noi...buon 25 Aprile...buona Libertà!


domenica 17 aprile 2011

MINCHIOLANDIA


Non ce la faccio più a vivere in questo paese...e per paese, ormai, non intendo solo l'Italia...intendo il mondo. Non ce la faccio più. Questo globo gira troppo in fretta, per i miei gusti...Siamo figli di un tempo che non ci appartiene, un tempo che ci ha mangiato l'anima sputandone gli avanzi! Abbiamo dato valore al tempo e lo abbiamo reso importante, ci siamo imposti di seguirlo, di dargli un peso. Abbiamo dato valore ai soldi, al lavoro, convincendoci che senza un lavoro non si viva. Eppure io non sono convinta...tutta questa voglia di denaro, di potere, tutta questa superbia che ci fa sentire più forti e che ci fa pensare che gli altri siano più deboli, che ci da il diritto di prendere a bastonate un cane e lasciarlo sul ciglio della strada, o che ci da il diritto di ammazzare un uomo e poi voltarci dall'altra parte come se non fosse successo niente! Ma chi siamo?! Chi siamo diventati?! Cosa ci hanno fatto diventare?! Robottini impilati in fila, ogni mattina, alla stessa ora e ogni sera, alla stessa ora...che ci spostiamo, chi più chi meno, verso la stessa direzione, alla ricerca del benessere, o meglio, di quello che qualcuno ci ha fatto credere fosse benessere. Siamo figli di un tempo che ci fa correre, che non ci lascia più spazio, e poi finiamo per stupirci se non sappiamo più chi siamo, dove andiamo e cosa vogliamo! Viviamo di cose, di macchine e non ci accorgiamo che anche noi siamo diventati macchine! Ci siamo inventati di tutto pur di non vivere come dovremmo. Dal primo uomo che inventò il fuoco, dal primo che inventò la ruota, dal primo che trafisse un animale e scoprì che la sua carne era buona e se la mangiò, abbiamo smesso di essere! Oh, certo, abbiamo conquistato il pensiero, le nostre belle filosofie new age per sentirci meno stressati, abbiamo imparato la musica, abbiamo cominciato ad usare la parola...Ma non ci sentiamo, forse, più primitivi di quanto non lo fosse il primo uomo che scoprì che se ci si copriva si stava più caldi?!...Odio questo posto, questo posto dove non ci sia più un valore che sia tale. Dove la politica è un covo di delinquenti che fanno di tutto per pararsi il culo! Odio che venga impiccato un ragazzo, un ragazzo con le palle, che cercava di portare pace con le sue sole mani, senza armi e odio che qui, in Italia, se ne sia parlato così poco rispetto a chi, invece, va a morire per soldi e con un mitra in mano! Siamo a Minchiolandia, signore e signori! Viviamo nel paese del pressapochismo e dell'indifferenza, vediamo arrivare per mare, dopo quattro giorni di viaggio, stremati, persone che hanno lasciato la loro casa perchè non potevano più viverci e quello che ci diciamo è "vengono qui a rubare"!...Certo..perchè voi lascereste la vostra dimora per andare a rubare in un altro paese!? Ci fermiamo a pensare che potrebbero esserci ben altri motivi?! Ci ricordiamo, forse, che anche l'Italia ha passato un brutto periodo e noi pure siamo stati costretti ad andarcene!? E cosa eravamo nel paese dove arrivavamo?! Ladri, mafiosi, sporchi, spulciosi e portavamo malattie! Ma tutto il mondo è paese!! Tutto il mondo è Minchiolandia! Stiamo andando alla deriva e io qui non ci voglio più vivere. Voglio andare a vivere a Utopìa. In quel posto bellissimo, dove non esistono più soldi, non ci sono proprietà, dove tutto è di tutti e niente di nessuno. Dove le persone si aiutano a vicenda, dove regna la pace, dove non c'è superbia, dove non c'è potere, dove tutti sono uguali, dove oguno ha gli stessi diritti. Dove non esiste il migliore, dove non c'è competizione, dove l'uomo è semplicemente un uomo e il rispetto non è una cosa in più, ma la base! Voglio andare a vivere a Utopìa, dove non esistono macchine, dove non ci sono armi, dove la parola è l'unico mezzo per placare gli animi. Dove con un pezzo di pane prendi un caspo di insalata, dove una pesca costa un cetriolo. Dove il tempo riprende forma, diventa solo tempo, dove le stagioni si inseguono e dove nessuno muore di fame. Dove gli animali vivono sereni, senza il terrore di essere abbandonati, maltrattati, dove le idee non sono più ideali e la vita diventa semplice e vera. Voglio andare a vivere a Utopìa...e se tanto mi da tanto, se davvero questa fantomatica fine del mondo arriverà, non mancherà molto affinchè questo paese si costruisca. Un paese senza chiese, senza religioni, senza politche, senza eroi...un paese vero, degno di essere chiamato così!


sabato 5 marzo 2011

QUESTA MAMMA UN PO' PAZZA




Ma tu, la vorresti una mamma così? Una mamma un po' pazza. Non tanto pazza, in realtà, quel tanto che basta per essere considerati fuori dall'ordinario. Non so, ci penso spesso, sai. Si passano gli anni a domandarsi se vogliamo dei figli, ma non ci chiediamo mai se i figli vogliono noi...così come siamo. 

Non è che voglia spaventarti, sia chiaro, ma ti voglio avvertire, almeno. Perchè sei vuoi una mamma così, un po' pazza, sarà utile che tu le cose le sappia prima di prendere una decisione. Che poi, pazza...che parola grossa, non trovi?! Divertente, magari. Sarei una mamma divertente, lo so. Non ti annoieresti con me. Ti farei ridere, ti canterei le canzoni che ti fanno venire voglia di battere le mani e inventerei giochi sempre nuovi per te. E favole, per farti addormentare. Una mamma così, un po' assente anche. Magari un tantino nevrotica e a volte isterica. Una mamma che non saprebbe da che parte farsi, per esempio, che non sa neanche cosa sia il camicino da pelle e che direbbe alla sua mamma, che poi sarebbe la tua nonna, "guarda, ti do i soldi, vai te a prendere tutto quello che serve per tirare su un figlio, che io non ho la minima idea di corredini, ciucciotti, biberon e carrozzine!". Sei certo di volerla? Pensaci bene, eh...che una volta che scegli, poi, è per tutta la vita, non se ne esce. Io, se fossi in te, ci rifletterei!

Che poi, insomma, diciamoci la verità, lo sai che io non sono tipo da uscire fuori da me stessa. Eppure oggi mi è venuta su questa cosa di pensare a te, che neanche esisti. E me lo sono chiesto. Mi sono detta: "Ma lui la vorrà una mamma che parla da sola con un bambino che non esiste?!". Non lo so mica se sei pronto a tutto questo. Per fortuna che ci sarebbe tuo padre! Sai, pure lui, in quanto a stranezze, non scherza di certo. Ma, te lo assicuro, sarebbe un buon padre. Ti insegnerebbe molto, ti leggerebbe un sacco di libri e ti farebbe scoprire il piacere di pedalare immersi nella natura. Sarebbe un buon compagno di viaggio per te. E tu lo saresti per lui. Magari non ti accompagnerà alle feste di compleanno dei tuoi amichetti, ma lo farei io, se è questo il problema. 

Però, ecco, se tu mi dici che ci potresti pensare, che, tutto sommato, questa mamma qui, questa mamma un po' pazza, potrebbe andarti bene, che saresti disposto a dividerti con due gatti, col mio lavoro, con la mia libertà, che potresti sopportare qualche urla, ogni tanto un po' di rimproveri (perchè, lo sai, tendo ad arrabbiarmi spesso e non ho molta pazienza!), ecco, dicevo, allora, se tu ti ritenessi pronto a tutte queste cose un po' balzane, ad avere una mamma un po' pagliaccio, un po' folletto e un po' megera, io potrei anche pensare di affrontare quei nove mesi di vomito e nausee...non so se lo sai, ma se c'è una cosa che detesto più di tutte, è vomitare. Però per te lo potrei anche fare...anche solo per vedere un attimo la tua manina che mi stringe il dito. Se mi assicuri che un domani non mi rinfaccerai di averti fatto nascere, mi impegnerò con tutta me stessa affinchè ogni tuo giorno sia un giorno da ricordare. Mi alzerò alle tre di notte, quando avrai fame. Cercherò di non confondere il biberon del latte con il termos del caffè. Cambierò pannolini ad ogni ora del giorno e non farò tante smorfie davanti alla puzza che farai. Mi abituerò al vomitino di latte sulla spalla e a giochi sparsi per tutta la casa. Riempirò la tua stanza di quaderni e colori e se dipingerai sul muro mi arrabbierò, però poco. Avrai sempre una musica a farti compagnia e la luce accesa quando avrai paura. Due gatti da accarezzare quando sarai triste, due braccia in cui rifugiarti quando ti sentirai solo e stanco. 

Io non lo so se avrai veramente il coraggio di scegliere una mamma così, questa mamma un po' pazza, che si commuove per un film, un libro o una canzone. Io non lo so se tanta fragilità potrà esserti utile per poter crescere bene. Ma penso che nessuno possa dire cosa sia bene e cose sia male. Questa mamma qui, che adesso sta scrivendo proprio a te, che nuoti in un futuro abbastanza lontano, te lo dice chiaro e tondo che non è una persona da impazzire tanto, che non sa cucinare un granchè, che non vuole tante discussioni sulle cose da comprare, sui computer, motorini e telefonini. Che di vizi te ne darebbe pochi. Ma ti regalerebbe dei valori, questo si. Ogni giorno, se vorrai, ti insegnerà qualcosa di nuovo, solo tuo, qualcosa che ti porterai dentro per tutta la vita. E poi, tutto il resto, sarai tu a sceglierlo, a deciderlo, a volerlo. 

Partendo da qui. Hai tutto il tempo che vuoi, non ti do limiti, per prendere una decisione sul volere o meno una mamma così, questa mamma un po' pazza. 


lunedì 28 febbraio 2011




 



"Pensavo di essere grande abbastanza da colmare il tuo vuoto, pensavo che chiunque non avrebbe potuto farlo, qualcuno sì: io.

Sapevo di essere il tuo qualcuno ma non sono riuscita a insegnartelo, eri un alunno distratto, guardavi fuori della finestra cercando il chiunque di cui non avresti avuto bisogno se mi avessi ascoltata – vorrei perdonarmi per tutto quello che non ho saputo, per tutto quello che non ho capito, per avere creduto di essere il tuo qualcuno – per avere creduto che tu avessi bisogno di qualcuno e non di chiunque, per non essere stata capace di essere chiunque, farmi trovare diversa ogni volta che ho gettato la testa all’indietro per scoprirmi il viso, offrirti il collo, per non essermi saputa accontentare di essere chiunque e non qualcuno, per non essere riuscita a essere qualcuno che non ti avrebbe fatto sentire la mancanza di chiunque."



All of a Sudden I Miss Everyone « yellow letters (via batchiara)



Rubata da qui 


domenica 27 febbraio 2011


E nel frattempo sono arrivata a compiere 29 anni...e nel mentre il blog ne ha già fatti 5 di anni...se fosse un figlio andrebbe a scuola a settembre!...E nel frattempo mi sono anche tagliata i capelli, ce l'ho fatta, salvo poi pentirmi di avere osato per un taglio troppo drastico. Capire che non si deve MAI e dico MAI decidere di tagliarsi i capelli sull'onda emozionale di un'ipotesi di cambiamento. Si, perchè l'avvicinarmi ai 30 mi fa oltremodo riflettere sulla mia condizione e sulla mia vita e non posso fare a meno di chiedermi "dove cazzo sto andando?"....e l'unica risposta è che, comunque, da qualunque parte ci stiamo dirigendo, andiamo tutti verso lo stesso punto...la morte. Quindi ho deciso che non mi farò più domande del genere, che tutto quello che dovrà venire verrà e se non verrà prenderò quello che rimane e andrà bene così. Che a farsi dei crucci, alla fine, si è sempre in tempo. Inutilmente vaghiamo per le strade di una vita che non sarà mai come quella che abbiamo sempre sognato. Quindi ecco, io ho fatto...sono arrivata a compiere 29 anni e per ora è sufficiente


domenica 13 febbraio 2011

DELL'ITALIA...E DI 150 ANNI BUTTATI NEL CESSO




So già come andrà a finire, perchè tanto è inevitabile. Succederà. Succederà perchè la gente è stanca, e quando la gente inizia ad averne le palle piene, fame o non fame, succede sempre prima o poi. Perchè è vero, abbiamo ancora la pancia troppo piena per cominciare a muoverci sul serio, non siamo ancora nella crisi nera che, per esempio, ha mosso l'Egitto. Eppure, forse, la nostra crisi, e quando dico nostra lo dico perchè, benchè me ne vergogni, io sono ancora italiana, è una crisi diversa. Io non voglio dire che mi vergogno di essere italiana, perchè l'Italia ha una storia che farebbe invidia a molti. Perchè l'italia, 150 anni fa, diventava Italia grazie a gente che aveva dei valori veri...C'è crisi di valori, allora. C'è crisi di persone per bene. E per "per bene", sia chiaro, non intendo moraliste. Intendo con dei principi, gente che conosce parole come "onestà", "lealtà", "diritti", "umanità", "diplomazia", "democrazia", "libertà". Forse il cibo vero ancora molti di noi ce l'hanno e, forse, fino a quando potremo mangiare non muoveremo un dito. Ma di tutte queste cose, di onesta, lealtà, diritti e libertà, non abbiamo fame? Io onestamente si! E allora forse non è questo il momento giusto? Il momento per dire basta e agire?! Ma la mia domanda è: "agire come?".



Quando si parla di rivoluzione, nella stragrande maggioranza dei casi, si parla di violenza, di armi e di bombe. Ce lo insegna la storia che i veri cambiamenti si pagano con il prezzo di molte vite. Ce lo hanno insegnato i partigiani, è vero, senza la loro lotta e la loro fede nel domani, oggi non staremmo qui a parlarne. Eppure sono convinta di una cosa, anzi, forse di più cose. In primo luogo, pochi, pochissimi di noi, oggi, sarebbero disposti a fare quello che fecero loro. Alzi la mano chi lascerebbe tutto, casa, famiglia, comodità, per ritrovarsi a strisciare nel fango, con un fucile in mano per liberare questa Italia che forse non se lo merita neanche. Scommetto pochi, molto pochi. In secondo luogo, invece, credo che oggi, dalla nostra, abbiamo la conoscenza, la cultura che in tanti anni ci ha portato ad avere menti più attive e forse più astute. Non abbiamo forse i mezzi e la coscienza per evitare di usare violenza fisica?! Io credo di si. Io credo che le nostre teste, messe insieme, una soluzione diversa potrebbero trovarla. 



Forse sono una stupida utopista, anzi, questo è certo, ma non è con la stessa utopia che altri hanno cercato di cambiare?! E mi rimane questa sensazione che con l'intelligenza si possano sanare molti mali. In fin dei conti, parliamo dei evoluzione. E se nei millenni l'uomo sviluppava formazioni fisiche per conformarsi all'ambiente, oggi sviluppiamo formazioni mentali per farlo. E già nel corso di pochi decenni abbiamo preso molta coscienza. Quindi no, non credo che la violenza sia l'unica soluzione al cambiamento. Loro sono pochi, hanno paura, quando parlano urlano e urla sempre chi non ha ragione perchè sa di non averne. Loro non si prestano ad un dialogo sensato e logico perchè non hanno argomenti di riscontro. Alzano la testa e vanno avanti, ma mentre camminano stringono le chiappe...perchè lo sanno anche loro. In un modo o nell'altro, prima o poi, sarà rivolta. E che sia una rivolta di bombe o una rivolta di parole e fatti che non uccideranno nessuno ma che faranno lo stesso effetto, sarà sempre una rivolta. La rivolta che li manderà a casa. E qui non parlo di parti politiche, ormai il partito preso ha una valenza minima. Qui si parla di far vivere degnamente le persone che abitano questo paese, di far sentire che essere italiani non è una vergogna, ma un grande pregio. Di ricordarci di quello che c'è stato prima, di chiudere una parentesi di merda che ci ha fatto affondare nell'ultimo ventennio. Spegnamo le tv, dicono. Si, è giusto,  è una soluzione, no?...non è poi così difficile visto quello che ci propinano. Ma noi abbiamo una mente che certe cose le capisce.  E loro? E chi la mente aperta non ce l'ha e si fa infinocchiare da quell'immagine di lui, della sua vita?! Lo sapete che ci sono persone che lo invidiano?! E loro? Cullate dal sogno di diventare uno come lui o che la figlia sposi uno come lui o,  a questo punto, che la figlia diventi una del suo harem, ragazze che si fanno pagare e per cui la laurea non conta niente, avere una testa non conta niente, una testa per pensare, per parlare, per dire quello che deve cambiare...ragazze manipolate da un sistema malato, malsano, mignottesco e terribile. Scelta loro, certo...ma come cade questa italia? Cosa penserebbe Anita, oggi, se vedesse tutto questo?...Cosa penserebbe Giuseppe...come dice Crozza...avrebbe fatto lo stesso la famosa spedizione se ci avesse visto oggi?!...No, non ne sarebbe valsa la pena. E noi lo sappiamo tutti. 







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domenica 6 febbraio 2011

BENE....


Bene, ricominciamo a scrivere un  po', che a me vedere i blog morti mi fa venire del nervoso puro...ma nervoso per davvero. Che mi chiedo, se non scrivo più nel blog, che cazzo lo tengo a fare, allora?! E poi mi rendo conto che, in fin dei conti, non è che abbia poi molto da raccontare. Insomma, la vita scorre, per mia fortuna, abbastanza serena e abbastanza senza tante cunette e senza tanti dossi. Anzi, il tempo scivola veloce, come sabbia tra le mani, e io mi ritrovo catapultata al week end praticamente senza accorgermene. Il week end, che è sempre pieno di cose da fare, di stanze da pulire, di gatti a cui andare a dare da mangiare, di radio ogni tanto, di piatti da preparare perchè anche nel week end si mangia, e di piatti da lavare. C'è Fabio, che in quelle poche ore che ci sono concesse me lo vorrei godere un po', tra un film, un bacio e una cazzo di partita della juve. Ci sono io, che mi dovrei tagliare i capelli da mesi e che ancora non ho avuto voglia di prendere un appuntamento dal parrucchiere, perchè sarebbero altre due ore che mi  rubo. Ci sono i libri, che non ho mai tempo di leggere, c'è Bukowski che mi aspetta sul comodino tutte le sere, e tutte le sere lo accontento leggendone un capitolo. Ci sono i giorni, ci sono le ore, ci sono le parole che non scrivo più e mi chiedo perchè. Mi chiedo da quanto tempo io non trovi il tempo di scrivere seriamente qualcosa, una poesia, due righe di qualcosa di serio, di qualcosa di sensato. Ogni tanto ho sprazzi di papabili post fatti come si deve, avrei anche un'agenda sulla quale segnarmi qualche appunto, ma poi non lo faccio mai, e via, scivolano via i pensieri, e le sensazioni, come avere una macchina fotografica a portata di mano e non usarla. E adesso c'è il sole, questo sole di febbraio che ti fa venire voglia di lavare la macchina, e la lavi la macchina, e poi ti fa venire voglia di andare a camminare, ma il tempo è scaduto, non ce l'hai più il tempo, perchè adesso è ora di farsi un bagno, di lavarsi i capelli e di prendersi anche un attimo per respirare...un po' di tuta, di divano e di relax, da sola. Perchè Fabio è tornato a casa, perchè dovrò aspettare ancora il venerdì, perchè io sono la donna che aspetta il venerdì, che odia il lunedì, che corre rovinandosi le ginocchia tutti i giorni, che respira a fatica, che poi si riposa, e si riprende e ricomincia. E allora lasciamola qui, questa domenica di sole, questo tramonto che sta per arrivare e chiude questa bella giornata, che è bella davvero come giornata, e che non mi mette malinconia perchè mi fa ricordare la primavera, e allora primavera sia. Perchè per la primavera e per l'estate ho in programma un sacco di cose, sempre ammesso che non mi si squagli il cervello, perchè c'è anche quello. Che adesso, quando sto per addormentarmi, mi lancia delle scosse stravolgenti e mi fa venire da vomitare. Non lo so, non sono tanto stressata, in fin dei conti, non riesco a capire perchè faccia così. E allora non ci pensiamo, ci manca solo che mi vada in tilt quel poco di testa che mi è rimasta e siamo a posto. E adesso basta, ho detto qualcosa, ho detto tutto...e questo blog non è morto, sia chiaro!


mercoledì 5 gennaio 2011




"Ti ricordi quei giorni, i tuoi occhi si incupivano e il tuo viso si arrossava. E ti stringevi a me nella mia stanza quasi un sospiro, poi mi dicesti basta. Perché non voglio guardarti, perché ho paura ma di amarti! E dicesti e dicesti e dicesti. le tue parole quasi io non ricordo più . Ma nemmeno tu ricordi niente. Ora dove sei e che gente vede il tuo viso e ascolta le tue parole leggere, le tue sciocchezze leggere, le tue lacrime leggere come una volta. Che cosa dici ora quando qualcuno ti abbraccia. E tu nascondi la faccia..."