"Ho preso in braccio Clara. Si è divincolata. Voleva camminare da sola. Sola davanti . Conosceva la strada che portava agli appartamenti di Sant'Inverno. Io e Rabdomant dovevamo soltanto seguirla. La seguimmo. Fu come se una giovane sposa passasse in rivista l'intero esercito dei carabinieri. I carabinieri si mettevano sull'attenti e chinavano il capo. Piangevano il lutto della sposa. Nevicava sull'esercito dei carabinieri. Poi toccò ai Celerini con il moschetto ai piedi vedere la sposa farsi largo tra i loro ranghi. Dopo aver allegramente pestato i prigionieri in rivolta, adesso sentivano battere il cuore nel casco. La sposa non guardò nè gli uni nè gli altri. La sposa fissava la grande porta grigia. La porta si aprì da sola sul cortile della prigione. Al centro del cortile, un pianoforte a coda bruciava lentamente tra le sedie rovesciate. Un fumo dritto lo mandava al cielo. I berretti degli agenti di custodia caddero al passaggio della sposa. Qualche baffo fremette. Il dorso di una mano asciugò una lacrima. Ora la sposa scivolava nei corridoi di una prigione così silenziosa che la si poteva credere abbandonata. Bianca e sola, la sposa fluttuava come un ricordo dei vecchi muri: intorno a lei, i mobili sembravano rovesciati da sempre, e le foto strappate disseminate sul pavimento (un flautista dal viso inclinato, il pugno di uno scultore intorno al ferro dello scalpello...un cestino della carta straripante di appunti straordinariamente puliti, scrittura fitta, cancellature tirate con il righello) sembravano foto vecchissime. Fluttuante e silenziosa, la sposa percorse i corridoi, si inerpicò su scale a chiocciola, attraversò gallerie fino a quando la porta che era la meta del viaggio non le si parò dinnanzi e una vecchia guardia dagli occhi arrossati e dalle mani tremanti non tentò di fermarla: - Non deve, signorina Clara...
Ma lei respinse la guardia ed entrò nella stanza. C'erano degli uomini in giubbotto di pelle che prendevano misure, altri, con un pennellino tra le dita, spolveravano millimetri, c'era un medico di un pallore da moribondo, e c'era un prete in preghiera, che si stagliò subito, camice accecante, pianeta spiegata, stola sventolante, tra la sposa e quello che aveva deciso di vedere. Lei respinse il prete con meno riguardi di quelli usati con la guardia e si ritrovò sola, assolutamente sola questa volta, davanti a una forma distrutta. Era una cosa contorta, rappresa. Il corpo mostrava le ossa. Non aveva più volto. Ma sembrava ancora gridare.
La sposa contemplò a lungo quel che era venuta a vedere. Nessuno degli uomini presenti osava anche solo respirare. Poi, la sposa fece un gesto di cui tutti i presenti, dottore e prete compresi, dovettero cercare di capire il mistero fino alla fine dei loro giorni. Mise davanti all'occhio una piccola macchina fotografica nera, sorta non si sa come da tutto quel biancore, fissò ancora un istante il cadavere torturato, poi ci fu il crepitio di un flash, e un bagliore di eternità"
Da: "La prosivendola" - Daniel Pennac

domenica 29 agosto 2010
LA PROSIVENDOLA
sabato 21 agosto 2010
PAVANA E' UN RICORDO LASCIATO TRA I CASTAGNI DELL'APPENNINO 2 (PERCHE' IO NON MI ACCONTENTO MAI)
Vorrei potervi raccontare cosa si prova quando ci si sveglia al mattino alle 7, e l'aria è così fresca e pulita che ti entra nei polmoni e ti fa venire voglia di vivere in eterno. Mi piacerebbe avere a disposizione abbastanza parole per farvi capire come sia intensa e dolce la sensazione di abbandono e di libertà che si sente quando il vento spazza via le nuvole lasciando spazio ad un sole timido ma caldo. Vorrei potervi dire tutto quello che sono stata in questi giorni, dove ogni cosa prendeva senso, dove io sono stata io, dove ho camminato, ho faticato, ho dormito. Mi servirebbero troppe parole, parole che io non ho, che non conosco, per spiegarvi l'emozione di abbracciare un viso amico, di sedermi al suo tavolo conversando con lui e sua moglie. Di sedermi anche al tavolo di uno scrittore che stimo e apprezzo tantissimo, di fare due chiacchiere, come si suol dire, di parlare del più e del meno come se fossimo amici. Di entrare in una casa molto bohemien, di scivolare per curve a gomito e sentire la serenità. Mi affeziono ai luoghi che mi fanno stare bene, e quando posso ci torno. E' un dato di fatto, sono sempre stata così. Preferisco rivivere gli stessi posti anziché scoprirne di nuovi. Magari è limitante, ma a me piace troppo lasciare una parte di me e andarla a riprendere per poi riportarla ancora. Amo i boschi, amo la tranquillità, non ci posso fare niente. A volte penso che mi piacerebbe rimanere sempre lì, costruire lì il resto della mia vita. Razionalmente non si può, lo so. Eppure....
E questa volta non c'è stato alcun incontro col Maestro, ma la sua voce era presente nell'aria, le sue canzoni suonavano al ritmo del Limentra e le sentivo nel miagolio dei gatti. Vorrei vivere così, sempre. In uno di quei piccoli borghi di montagna, con qualche casa, dove tutti si conoscono e si aiutano e si appoggiano, dove si organizzano feste di paese e ci si saluta anche se non ci si è mai visti prima. Voglio vivere dove l'aria ha un altro sapore, dove le mele sono piccole e succose, dove il miele lo vedi fare con i tuoi stessi occhi, e i giorni di brutto tempo servono per riposarsi e quelli di bel tempo a godere della natura e dei suoi regali. Voglio vivere lì, dove ogni giorno è solo il mio e dove io sono semplicemente io.
martedì 10 agosto 2010
LA NOTTE DI SAN LORENZO
Quando avevo quindici anni, ma anche sedici, diciassette, diciotto e forse anche dopo, in questo periodo qui, io era già da almeno un mese che mi posizionavo in luoghi bui e propizi per veder le stelle. Avevo quest'ansia dentro, che mi spingeva fuori ad ammirare il cielo stellato e ad attendere, con trepidazione, il bagliore e la scia di una stella cadente. Avevo sogni da esprimere, desideri. Gli ultimi, tra quelli che mi ricordo, erano tipo di diventare una persona migliore, di non stare più male, di vivere serena. Non so se sono una persona migliore, oggi. Forse no, ma di certo, anche se sono sicura che mi contraddirete e molto probabilmente non sembra, sto meglio. Si, sto meglio. Lo sapete che riesco a fare le cose adesso? Riesco a fare le cose senza farmi sopraffare dalle crisi di panico. Ma non c'entra niente con le stelle, almeno, non con questo post. Oggi, che sono diventata un'altra persona, che sono cresciuta, che non sono più la ragazzetta anche solo di qualche anno fa, oggi non ho voglia neanche di mettermi in terrazzo. Ho delle cose da fare, per esempio. E mi chiedo se per caso io non abbia più desideri da esprimere oppure se credo che sia una perdita di tempo perchè i desideri non si avverano. Vorrei che la risposta fosse la prima. In realtà so che sono scesa al più basso livello di romanticismo che possa esistere, so che non credo più a niente. So che sono diventata qualcosa che non ero. Forse un desiderio ce l'ho...trovarmi.
lunedì 9 agosto 2010
CIO' CHE ERO, CIO' CHE SONO, CIO' CHE SARO'
Non butterò via il mio passato. Non lo brucerò. E' da un po' di tempo che sto pensando cosa farmene di quella scatola. In quella scatola ci sono io, quella che ero, quella che sono. Ci sono io. Con tutti i miei difetti, le mie paure, le mie decisioni, i miei rimpianti, i miei sogni. Lì dentro c'è una Leanne che in 16 anni ha sofferto, ha riso e gioito, ha pianto e si è disperata. Come posso bruciare tutto questo? Non sono capace. Ma c'è una Leanne che ancora deve essere, una Leanne che da quella scatola deve essere indipendente. Non la brucerò, ma non la terrò più neanche così a portata di mano. Domani mi procuro un paio di scatoloni fatti bene, domani dentro a quegli scatoloni stiperò 16 anni della mia vita. Li chiuderò con lo scotch, scriverò sopra al cartone con un pennarello nero e li metterò in cantina, a prendere dell'umidità, forse, a mantenersi intatti anche. Chi lo sa. Certo è che anche solo l'idea di spostarli mi ha fatto venire il panico. Perché?! Cosa cambia? Non getto niente, sono lì, rimangono. Le mie ore inutili spese a copiare, a scrivere, aggiornare. Le mie inutili ore passate a mantenere traccia di ogni momento, come se servisse a qualcosa. Resteranno lì, incastrate tra lo scheletro di un vecchio albero di natale, un cavallo a dondolo e tanta polvere. Oggi vorrei iniziare a smettere. Vorrei poter dire che non ho più bisogno di scrivere, vorrei poter mantenere tutto in testa, come un computer. Poi penso che sia meglio così. Meglio scrivere e nascondere. Perché se veramente avessi la memoria che vorrei, non ci sarebbe cantina o soffitta o l'angolo più remoto del mondo dove nascondere i miei giorni passati. Sono lì, rimangono lo stesso. Solo che rimangono in un posto dove forse, col tempo, mi scorderò di averli sistemati. E' la mia speranza. Dimenticare.
venerdì 6 agosto 2010
LEGGI METAFISICHE...I SUPPOSE
Non so se vi è mai capitato. A me capita spesso, soprattutto in questo periodo. Avete presente quelle canzoni che quando vorreste ascoltarle, per radio non le passano mai? Ma non canzoni che sono in voga in quel momento, anche canzoni che sono in giro da un po’, per dire. Ecco, tipo quelle canzoni li. E allora succede che di queste canzoni, per mesi, magari anni, non se ne sentano in giro. Poi, proprio nel periodo in cui queste canzoni potrebbero suscitarti un’emozione o farti star male, succede che te le senti in un mese almeno 3 volte. Ma per caso, eh. Mica che te le vai a cercare! No. Sei li, stai ascoltando un’emittente radiofonica, la tua preferita, passano la pubblicità, e mentre sei ferma alla rotonda, cambi stazione. TAC…strazio…ecco la canzone che non stavi cercando, che ti fa lacrimare gli occhi, che ti porta a galla un bel po’ di malinconia. E una volta passi. La volta dopo, esci dal lavoro, accendi la radio e TAC…eccola ancora li, la malefica, a ricordarti, a farti capire che sei ancora quella di un tempo. Passi anche la seconda volta. Alla terza, in un mese, inizi a farti un po’ di domanda…tipo “ma ce l’avete con me?”…oppure “ma sta cazzo di scaletta la vogliamo aggiornare ogni tanto o no?”…e poi pensi a come sia possibile che tutte le volte, casualmente, tu sia stata in macchina proprio in quei 4 minuti in cui passavano il famigerato singolo. Com’è possibile!? Potevo tardare qualche minuto, potevo mettere su un cd, potevo essere scesa a far benzina, potevo potevo potevo non essere lì in quel momento. E invece c’ero. Perché c’ero!? Che cosa ne so!?...Io non lo so. So solo che queste cose non me le so spiegare, ci deve essere una spiegazione scientifica, dico. E invece non c’è. Allora parlo di destino…o forse è meglio parlare di caso? E’ un caso se per tre volte in un mese mi propinano una canzone che mi tocca profondamente proprio nel momento in cui sono su quella stazione? E’ un caso? Cos’è il caso? Cosa regola il caso? Io stessa lo regolo, accendendo la radio? O è una forza maggiore che mi fa sbattere il muso contro quello che vorrei evitare di guardare? Cosa mi vuol dire sto benedetto caso con questi numeri assurdi che mi fa? E poi penso che, in fin dei conti, sia solo una canzone. Basterebbe spegnere o cambiare stazione. Ma in quel momento si blocca tutto. Stai solo lì a pensare al come e al perché, proprio in quel mentre, la canzone passa e tu sei lì ad ascoltare. Spero solo non capiti più. Se dovesse capitare ancora, non so, mi farò esorcizzare!
martedì 3 agosto 2010
Leggete, se vi piace farvi male.
Io vi dico le cose come stanno.
Vi apro gli occhi
e vi sbatto in faccia la realtà.
Leggete,
se il dolore e la malinconia vi appartengono.
Piangete,
se volete.
Nessuno ve lo impedisce,
nessuno vi vedrà.
Ma non venite a dirmi che non è reale.
Leggete, perchè io vi dico la verità.
Leggete,
se avete il coraggio di pensare.
CAPITA A VOLTE
Volevo andare a dormire presto questa sera. Avevo già il mio libro di Pennac in mano, e tanta buona volontà. L'ultima sigaretta, ho detto, e poi a letto. E invece no. Ho preferito sistemare un paio di cartelle del computer, spostarle per far spazio, guardare se c'era qualcosa che doveva essere cancellato. Di cose da cancellare ce ne sarebbero a milioni...e non solo di cartelle. Avrei diari da bruciare, sapete. Ogni tanto ci penso. Vorrei davvero fare un falò definitivo, lasciare infiammare per l'ultima volta tutto quello che sono stata, le persone che sono entrate e uscite dalla mia vita. Ardere. Per sempre. Ma come faccio? Non ho il coraggio di rinnegare anche solo un momento della mia vita, anche solo una persona, anche solo uno sguardo. Io non sono così. Non dimentico. Non è nel mio dna l'oblio, anche se vorrei tanto ci fosse. Però, dicevo, a volte capita che si sia certi che ci siano cose che non ci sono più. Una mattina ci si sveglia e si ha la consapevolezza non solo di aver smarrito qualcosa, ma di non averla addirittura mai avuta. Poi, una sera, mentre si spostano cartelle di file a destra e a manca, si trova senza cercare quel qualcosa che non si sapeva neanche di avere. E allora, a quel punto, si spende un po' del proprio tempo. Si legge...si leggono quelle parole che si pensava non esistessero più già da un po' e con rammarico si aveva ingoiato l'idea che fosse andato tutto perduto. E invece...e invece ci sono cose che tornato a galla come olio in un bicchiere d'acqua. Come la cipolla della panzanella, come un pesce morto di un fiume. Sono tutte allegorie simpatiche, non trovate?!...Così ho fatto sera, ho fatto notte. Ho fatto che adesso a letto ci vado sul serio e leggo qualche capitolo di libro. Così ho fatto anche un paio di lacrime, che a me piangere un po' fa sempre bene. Così, forse, una volta per tutte, deciderò di cancellare, eclissare, fare sparire quel qualcosa che si è già cancellato, eclissato e fatto sparire da sé. Devo solo ingoiare di nuovo, metabolizzare, accettare.
Psico: "A suo tempo lei ha impiegato molte energie sperando di fare star bene quella persona. Adesso che sta bene, e forse anche per merito suo, quella persona è sparita. Sarà mica questo che la dà fastidio?!".
Io: "Bè, forse anche si"