"Poi ricordi ancora le notti alla capanna sul mare. Gli amici e poi una vita ancora da costruire. Ma il tempo va veloce e non ritorna. e i ricordi sono spine infondo al cuore"

venerdì 30 luglio 2010
martedì 27 luglio 2010
domenica 18 luglio 2010
"Ci siamo, ho capito cosa non quadra in lei. Era una creatura sensibile un tempo, la Regina Zabo, una ragazza che soffriva dei mali dell'intera umanità. Un'adolescente tormentata o qualcosa del genere. Enigmatica portatrice del dolore dell'esistere. Quando il tormento è diventato un calvario, e dopo innumerevoli esitazioni, è andata a bussare alla porta dello strizzacervelli alla moda. Quello, l'Ascoltatore, ha subito capito che era la troppa umanità a disturbare quella bambina vispa, e pazientemente, lettino dopo lettino, gliel'ha estirpata fino all'ultima radice, e al suo posto ha piantato il sociale. Ecco cos'è, la Regina Zabo. Un'analisi riuscita: quando mangia, solo la testa ne trae profitto. Il resto non segue. Ne ho incontrati altri, si somigliano tutti"
Da: "Il paradiso degli orchi" (D. Pennac)
sabato 17 luglio 2010
ORE 15.00...DI UN'ASSOLATA DOMENICA POMERIGGIO
Torno da dove sono venuta, a volte. Prendo la macchina e guido giusto per cinque chilometri, la distanza esatta dal luogo in cui sono cresciuta. Non ci torno spesso e, adesso che ci penso, era davvero da un bel po' di tempo che non salivo per queste strade con le curve a gomito. Eppure, sono solo cinque minuti di macchina! Ma oggi il rumore della città soffocante mi innervosiva. Così ho preso la mia agenda e me ne sono andata cercando riposo. C'è qualcosa di mistico nella campagna assolata e taciturna. Qualcosa di così irreale che sembra di entrare in un mondo parallelo, in una vita che nella realtà non esiste.
Il rumore dei trattori in lontananza si mischia al frinire delle cicale. E il silenzio nella stradina di ghiaia sembra intenso e dolce. Pace. Qui c'è la pace. E mentre apro il cancello, rivedo me bambina, sdraiata sul dondolo con la testa appoggiata sulle ginocchia di mia nonna. Contavamo formiche e lei mi cantava canzoni partigiane raccontandomi di quando qui erano venuti i tedeschi. Se solo oggi fosse ancora viva, con la coscienza di me donna adulta e non con l'ingenuità della bimba che ero, le farei domande su domande e prenderei appunti.
Da un angolo di ombra arriva il suono di una fisarmonica. E rivedo mio nonno, chino, impegnato a pigiare i tasti bianchi e neri, a battere il tempo e a riempire di malinconia i nostri pomeriggi estivi. Se solo oggi fosse ancora vivo, gli chiederei di suonare quelle note tristi ancora e ancora.
Ma la casa è vuota adesso. E nonostante questo, entro in silenzio, chiudendo piano le porte dietro me, come se non volessi disturbare i ricordi. C'è qualcosa di poetico che mi accompagna mentre salgo le scale, una musica di passato, di voci e di volti, una melodia di vite e anni vissuti tra quei muri.
Apro il frigorifero di mio padre. Acqua, birra e pesche. Birra. Con questo caldo una birra fresca è quello che ci vuole. E mentre bevo a piccoli sorsi dalla bottiglia, la campana della chiesa che suona, l'abbaiare dei cani e il cinguettio di piccoli uccelletti accalorati mi fanno compagnia.
E sono serena. Mentre il vento caldo mi sposta i capelli dagli occhi, sono serena. La mia sigaretta si consuma piano, apro gli occhi e guardo l'immensità che ho davanti...e spero che nessuno venga a stanarmi.
domenica 11 luglio 2010
IN ESTERNA
Morirò un giorno, come tutti del resto. Potrei morire domani, come tra cent'anni. Ma prima o poi, qualunque cosa accada, morirò. Come tutti. Non so ancora di cosa, almeno per ora, ma non mi importa. Come non mi preoccupa l'atto stesso della fine, la chiusura definitiva della mia vita.
Mi preoccupa, invece, quello che resta. Penso alle cose che non dirò e che quando morirò non avrò detto. Penso ai rancori che lascerò qui, in questo spazio terreno, alle cose che non avrò fatto.
Ma più di tutto, mi viene da pensare a quello che gli altri, quelle persone che sono e sono state nella mia vita, vuoi per orgoglio, vuoi per pigrizia, vuoi per semplice paura di una risata o di uno scatto d'ira, mi hanno sempre taciuto. Non tenetevi le cose per voi, non lasciate che io me ne vada, un giorno, domani o tra cent'anni, senza averle sentite quelle cose.
Credo che non ci sia spirito più inquieto e triste di un'anima che rimane in sospeso insieme alla parole lasciate a metà. Se vi ho fatto un torto, lo voglio sapere. Cercherò di rimediare o magari, più semplicemente, vi chiederò solo scusa. Se vi ho reso felici, anche solo per sbaglio o se vi ho fatto sorridere, ne sarò lieta, e quando giungerà il mio momento sarò serena.
Se mi avete odiato, se mi avete amato, se non mi avete mai sopportato, se vi ho deluso, se vi ho abbandonato, ditemelo, perché non c'è peggior morto di quello che muore in silenzio.
sabato 10 luglio 2010
MY SELF
Io che non sono niente,
io che non so ballare,
io che a malapena so cantare.
Io che non prendo il sole,
io che non vado al mare.
Io che non indosso mai gonne,
io solo scarpe sportive,
io che niente tacchi,
io che la femminilità non mi appartiene.
Io che sono cresciuta su un albero.
Io che non faccio sport,
io che non ho equilibrio.
Io arrabbiata,
io incostante,
io delusa.
Io che vedo le sfumature
io che non capisco i colori.
Io che non dormo,
io che odio,
io che nulla mi stimola,
io nauseata,
io sola,
io ingrata.
Io cinica ed egoista,
io sensibile,
io doppia faccia.
Io un acquario, un pesci e un gemelli,
io un casino dentro.
Io che non ho regole,
io che le seguo.
Io onesta,
io leale,
io cogliona,
io infame.
Io stronza,
io sorridente,
io volgare,
io invadente.
Io triste,
io cupa,
io negativa,
io depressa,
io agitata,
io insicura,
io fuggitiva.
Io un bicchiere mezzo vuoto,
io instabile,
io inaffidabile.
Io che odio il mondo,
io che odio me.
Io trentenne,
io senza scopi,
io senza rimedio.
Io che voglio salvare,
io che non ci riesco.
Io poco normale,
io malinconica,
io non convenzionale.
Io folle.
Io il passato,
io decine di diari,
io lettere mai bruciate,
io e-mail mai cancellate.
Io la strega,
io due occhi che di possono ammazzare.
Io che non voglio cambiare.
Io che bene non so stare.
Io che la felicità non so cosa sia,
io che non sarò mai madre ma solo zia.
Io un pasticcio di organi e ossa,
io troppo magra,
io troppo grassa.
Io brutta,
io stanca,
io nervosa,
io furiosa.
Io, sempre io,
io sempre la stessa.
Io due mani,
un cervello
io un cuore.
Io due lacrime
e un dolore.
venerdì 2 luglio 2010
TU FAI LA TUA VITA, CHE IO FACCIO LA MIA
Non mi piace dimenticare, come non mi piace perdere le persone. Non mi piace essere dimenticata e non mi piace che mi si perda. E' un dato di fatto. Questo perchè non è vero che il passato, in quanto tale, è come se non fosse mai esistito, ma proprio per il fattore contrario. Il passato è qualcosa che è stato, che ci portiamo dentro, quello che oggi, magari, ci fa riflettere e che, volenti o nolenti, non si può cancellare.
Insomma, sia ben chiaro, nessun ripensamento, tengo a precisarlo, a suo tempo ho preso una decisione e ad oggi quella decisione vale ancora. Però, ecco, non so se riesco a spiegarmi. E' un po' come stare per anni insieme ad una persona. Poi la storia fa il suo corso e poi succede che la storia finisca. Così, inevitabilmente, i protagonisti di quella storia se ne vanno per strade diverse, finisce che non si sentano più e non si vedano più e tutto muore. Ecco, per dire, queste sono le cose che non sopporto. Come si fa a fare finta di non essersi mai conosciuti?! Com'è possibile che due persone che per tanto tempo si sono scambiate tutto, si sono amate, hanno svelato ogni segreto, si sono curate a vicenda, hanno pianto e riso insieme, com'è possibile, mi chiedo, che finiscano per ignorarsi? Non mi è concepibile, non è un concetto accessibile alla mia mente assai labile. Io non ce la faccio. Devo farlo, per forza di cose. Evidentemente non c'è altra soluzione. Io ho la mia vita. Tu hai la tua vita, che quando hai avuto bisogno di parlare, poi, di questa tua vita, io ci sono stata, ho ascoltato e ho consigliato. Ma come sempre tendi a dimenticarle le cose. Mi era stato detto che se avessi avuto bisogno, anche tu, per me, ci saresti stato, fin dove potevi, ovviamente. Potevi ben poco, a quanto pare. Perchè si, ebbene, ho avuto bisogno. E lo sapevi. Mi sarebbe bastato anche un disinteressato "come stai?", mica chiedevo chissà cosa. E invece, niente. Sono facili da dire la parole, vero? Meno facili da mettere in pratica. Adesso che finalmente hai quella tua vita, adesso che magari la notte riesci a dormire e il buio non ti chiama più, adesso che magari il buco nero che hai dentro si è chiuso, e con la gente e in mezzo alla gente stai bene, adesso che magari fai anche il bagno al mare, adesso io posso anche non esistere e non essere mai esistita. Basta saperle le cose, che poi uno si adegua e se le fa anche andare bene.
Adesso che rimane il nulla di due persone che sono state qualcosa e adesso non si salutano neanche, che a me sembra meno sano non salutarsi che farlo, che le tensioni di questo genere mi sembrano più ambigue dell'interessarsi anche solo marginalmente ad una persona o almeno alla sua cazzo di salute. Adesso che io ho cercato di fare tanti passi verso te, per non perdere proprio tutto, adesso che di camminare mi sono stancata, come la mettiamo!? Se non sei tu a muoverti verso me, io non mi muovo. E se questo è quello che vuoi, andrà bene così. Basta saperle le cose.