venerdì 31 dicembre 2010

LA FEBBRE DEL 31 DICEMBRE


La febbre del 31 dicembre è una sensazione che mi prende alla gola da un po' di anni a questa parte. E' come se tutto il peso dell'anno passato si riversasse sulle mie spalle. Passano i volti, le parole, le cose che in dodici mesi mi sono corsi davanti agli occhi, mi hanno trapassato le orecchie. Passano. C'è una specie di angoscia in questo giorno, talmente tanta angoscia che non riesco a capire come la maggior parte delle persone che conosco abbia voglia di festeggiare. Non so, ci si fa gli auguri, si spera sempre nel nuovo anno come se fosse migliore. Io non faccio più progetti, ho imparato a non farne più. Che tanto, dopo 28 anni di esistenza, sono sempre nello stesso punto. Non cambio, non evolvo, non cresco. Mi sono detta che il 2011 potrebbe essere l'anno in cui decidere di diventare grande, di prendersi delle responsabilità, di iniziare a costruire. Costruire cosa, mi chiedo. Se tutto quello che so fare è vivere di passato e malinconia, come posso costruirmi un futuro? E infatti, non faccio progetti, ma faccio resoconti dell'anno passato, che quelli li so fare sempre bene, chissà poi il perché. Allora mi sono messa li, foglietto alla mano, pensando alle cose successe in questo 2010 che, stranamente, non mi è pesato così tanto. Eppure di cose stronze ne sono successe. Partiamo, dai...facciamo una lista...



Ovaie perse...una

interventi chirurgici...due

sigarette fumate...migliaia

persone che mi hanno delusa...alcune

persone che mi hanno profondamente delusa...una

persone trovate...molte

persone perse...poche

persone che mi hanno stupita...alcune

persone speciali...poche ma tutte degne di nota

amori finiti...zero

amori mantenuti...uno

lavori persi...zero

giorni di lavoro persi...abbastanza

lacrime versate...discreta quantità

crisi di panico...pochissime

crisi depressive...meno del 2009

libri letti...meno di quelli che avrei voluto

film visti...meno di quelli che avrei voluto

musica ascoltata...poca, troppo poca. 

pedalate in bicicletta...zero

camminate estive...troppo poche

calorie ingurgitate...un puttanaio


chili presi...troppi

chili persi...zero

sogni inquieti...troppi

notti insonni...poche ma toste

litigate...non eccessive

poesie scritte...troppo poche

giorni vissuti intensamente...uno o forse due

giorni non vissuti...troppi

posti visitati...alcuni e mi sono rimasti tutti dentro

fotografie scattate...tante ma non quanto avrei voluto

incidenti stradali...zero





e poi non mi viene in mente altro...l'unica cosa che so è che sono ancora qui. Anche perchè, l'unico proposito per l'anno nuovo che io possa fare, almeno almeno, è quello di uscirne viva ogni volta. 

 


giovedì 30 dicembre 2010








"O GIORNI O MESI CHE ANDATE SEMPRE VIA. SEMPRE SIMILE A VOI E' QUESTA VITA MIA. DIVERSO TUTTI GLI ANNI E TUTTI GLI ANNI UGUALE. LA MANO DI TAROCCHI CHE NON SAI MAI GIOCARE, CHE NON SAI MAI GIOCARE..."


sabato 25 dicembre 2010

NATALE A TRENT'ANNI


Natale a trent'anni non è niente. Cammini per i viali con le luminarie intermittenti, vedi balconi con i babbo natale rampicanti e non senti niente. L'apatia assoluta di un giorno come un altro. Natale a trent'anni è solo un giorno in più di ferie dal lavoro, un giorno che, per altro, quest'anno è sabato. Fai qualche compera, prendi qualche dono per gli amici, per qualche bimbo che conosci, magari per cercare di regalare a loro quell'emozione che tu non senti più. Sono finiti i giorni di giubilo e serenità. Rimani nel tuo appartamento vuoto, senza addobbi, senza alcun albero illuminato e non t'importa niente. Che se poi, almeno, fossi credente, lo spirito di condivisione, del giorno di bontà, di pace e famiglia sarebbe anche un tantino tangibile. E invece niente. Natale a trent'anni non è più quello di una volta. Quello di svegliarsi all'alba per andare a vedere, col cuore in gola, i regali sotto l'albero. Non è più caricare in macchina il camper di barbie o il gioco in scatola per andare al classico pranzo natalizio dai nonni. Non c'è più la nonna, non c'è più il natale. E ogni anno iniziamo ad avvertirlo sempre meno, fino a non avvertirlo veramente più. Natale, un giorno come un altro se hai trent'anni. Eppure, c'è un momento, un momento solo, in cui tua madre ancora non ha capito che hai trent'anni. Ti regala un pacchettino con dentro un berrettone e attaccato un biglietto...una caccia al tesoro per trovare il resto del regalo. Solo in quel momento, per pochi istanti, anche se hai trent'anni, inizi a correre su e giù per casa sua, con la curiosità di una bimba. E in quei pochi secondi, quando trovi il sacchettino rosso appeso al camino con dentro una discreta quantità di euro, pensi che, anche se solo per un attimo, hai sentito il natale. E non è stato il regalo in sé, non sono stati i soldi a fartelo sentire, ma solo la sensazione, se pur breve, di esser tornata indietro nel tempo, di non aver perso proprio tutto dei natali di una volta. Di essere ancora, infondo infondo, la bambina che sei sempre stata. 


venerdì 17 dicembre 2010

DEI DECODER E DEI DIGITALI TERRESTRE


Ok, mi sono lasciata convincere. O  meglio...dopo aver notato una discreta dose di sofferenza negli occhi del mio uomo per non poter vedere i vari dopo partita e il signor Orler che vende i quadri, ho concesso che per Natale, il sopracitato mio uomo, come regalo, mi facesse il decoder per poter vedere la tv. Dopo essere tornata dall'ospedale, comunque, non eravamo già più in analogico e per una settimana ho fatto tranquillamente senza. Tranquillamente nel senso che proprio la tv non mi mancava per nulla. Mi sono resa conto di quanto poco la guardi. Giusto i Simpson e magari il telegiornale ogni tanto. Qualche programma tipo Annozero o Ballarò e poi neanche sempre. Per la maggior parte del tempo che sto in casa, che poi si riduce, tendenzialmente, solo alla fase serale di una giornata, il mio televisore rimane spento. Poi c'è stata quella prima settimana di convalescenza dove ho fatto senza. E non ho avuto problemi, anzi, sentivo questo gran senso di liberazione per non dover, anche solo per sbaglio, incappare in qualche programma insulso come quelli della De Filippi o della Durso. Quando ho concesso questa cosa del digitale, mi sono detta che, magari, su 500 canali (sparo un numero a caso, non lo so quanti siano e, onestamente, non me ne frega un cazzo!) qualcosa di buono avrebbero passato. Invece, mi sono resa conto che se prima ti passavano merda su 10 canali, adesso ti passano merda, semplicemente, su 500 canali. Che il fatto è che se prima non riuscivano a passare un film decente in così poche reti, adesso, avendone così tante, rasentano proprio l'assurdo. Ho dato un'occhiata marginale a tutto l'ambaradan. E ho scoperto che, per esempio, ci sono reti dove passano solo ed esclusivamente pubblicità. O reti dove passano dei telefilm più antichi di me, serie tv che ormai sono sorpassate! E, soprattutto, che il canale dove il signor Orler vende i quadri è sparito dal raggio...e non lo possiamo più vedere. 

Poi, invece, c'è un canale che mi fa venire un gran nervoso. Passano dei programmi tipo dove ci sono delle coppie che vogliono comprare una casa e si affidano a della gente esperta che, in base al loro budget e alle loro esigenze, offrono varie soluzioni. Il budget medio si aggira sempre intorno ai 600 mila euro. Allora io come faccio a non incazzarmi quando vedo delle cose del genere? Ci sono persone che a malapena riescono a permettersi di pagare un affitto, persone strozzate dal mutuo per un monolocale da 300 mila euro! E vogliamo sbatter loro in faccia queste schifose realtà?! Sempre sullo stesso canale, c'è anche un programma dove ti insegnano come vestirti, ovviamente non lesinando mai sulla spesa. Vaffanculo! E' tutto quello che mi viene da dire!

Allora, a questo punto, oltre ad optare per la soluzione "ce l'ho, si, ma non me ne faccio niente", non posso fare a meno di chiedermi a che pro, tutti gli italiani pecoroni, hanno dovuto fare questa scelta...e, soprattutto, chi si riempie le tasche. Ma certo, chi si riempie le tasche lo sappiamo. E pur di non fare a meno di una cosa di cui si potrebbe fare benissimo a meno, ce la siamo fatti mettere, perdonatemi il francesismo, un'ennesima volta nel culo. Bravi noi...bravi loro!


lunedì 13 dicembre 2010

QUESTA VOLTA NON HO TORTO. QUESTA VOLTA NON CHIEDERO' SCUSA


Il fatto è che ha ragione la mia psicologa quando mi dice "Quand'è che smetterà di fare la figlia e comincerà a fare la donna?". Già, quand'è? Adesso, dottoressa. Adesso mi sono rotta i coglioni di fare la figlia, di essere sempre quella su cui viene riversato di tutto, quella ingrata, quella che se ne approfitta, quella che chiede e basta, quella egoista. Adesso mi sono rotta veramente di essere quella che viene vista per quella che non è, che ogni volta è colpa mia, che ogni discussione è colpa mia. Quella fissata per la pulizia (vaffanculo, va bene? vaffanculo! che per anni mi hai rotto il cazzo perchè dovevo tenere pulito e in ordine! e adesso cosa ti aspettavi?! vaffanculo!) che torna dall'ospedale e impazzisce perché la casa non è come la voleva lei. "Stai zitta, che poverina, tua sorella ha pulito tutto il giorno!". Ecco, sia chiaro, io non ce l'ho con mia sorella, è semplicemente il prodotto di un'educazione diversa da quella che è stata impartita a me. Ma ce l'ho con quell'altra, con quella che l'ha messa al mondo, che con sto "poverina" ha rotto veramente i maroni! Poverina?! Perché?!...Io alla sua età, 4 anni fa, stavo ben dietro ad una casa, da cima a fondo la sistemavo io. Non avevo paura di fare le lavatrici e non facevo tante mosse! Ma è lei la "poverina"...che se solo si rendesse conto di quello che dice, capirebbe che è sempre più uguale a sua madre! Ma lasciamo perdere. Questo solo per dire che io non voglio finire come lei, a dire le cose che non mi stanno bene solo quando una persona è morta! eh no, che cazzo! Sei viva e ti affronto da viva! E allora te lo dico, mi sono rotta le palle, ne ho i coglioni pieni! Settimana scorsa, era martedì, convalescente si, ma deambulavo bene, senza tanti problemi di stare in piedi, le dico che non si scomodino a venirmi a prendere per pranzo. Che mi arrangio a farmi un piatto di pasta. Alle 9 mi chiama mio padre, altro noto stronzo, che quando ci si mette è esemplare. Ma che ci devo fare? Non me lo sono scelto io, come non ho scelto io di fare un figlio per cercare di attaccare i cocci di un rapporto che era già in merda da un pezzo! Comunque, mi chiama mio padre e mi dice che sarebbe stato in giro e che sarebbe passato da me verso mezzogiorno. Gli chiedo se vuole fermarsi a pranzo, basta che si accontenti di un piatto di pasta. E lui accetta. Un piatto in più o un piatto in meno, cosa cambia?! E invece cambia! Quando l'ho detto a mia mamma, giusto per riderci un po', per ricordarle che uomo aveva sposato a suo tempo, per dirle che casualmente passa da me verso mezzogiorno, è venuto letteralmente giù il mondo! "io mi sono fatta il culo per 10 giorni per poterti stare dietro! Io mi preoccupo se devo andare a lavorare o no nel caso avessi bisogno! Io sono sempre disponibile! Io Io Io!!!"...Io l'ho mandata a cagare! Io non ho voglia che mi si rinfaccino le cose, che prima fai la madre premurosa, che non ti lascerebbe mai andare sotto i ferri senza che lei fosse lì e poi rinfacci che ti sei fatta il culo! Io mi sono decisamente stancata di non poter fare una scelta (capirai che scelta, quella di fare 2 etti di pasta anzichè uno!) senza che qualcuno non mi dica qualcosa! E allora basta! Ne avrai avute fin sopra i capelli, avrai avuto i tuoi cazzi, ce l'avevi per altri motivi...non mi interessa. O chiede scusa lei o io non mi faccio più sentire! E' passata quasi una settimana, ha chiamato 3 volte, forse, per chiedere semplicemente se ero viva. E' da martedì sera che non la vedo, me la so cavare da sola senza problemi! E non sono io che devo imparare questa cosa. Io lo so già che so cavarmela da me. E' lei che se ne deve fare una ragione. Io mi dissocio, questa volta non ho torto. 


lunedì 6 dicembre 2010

L'ALBA VISTA DA UNA FINESTRA D'OSPEDALE E' PUR SEMPRE ALBA




"Dalla finestra della mia stanza" - Casa mia (Foto Leanne)



E infatti c'è il sole, per la prima volta da quando sono qui. E lo vedo sorgere, mentre cerca di farsi spazio tra le nuvole. C'è il sole. E mi dimettono. Sono entrata in ospedale che nevicava e esco che c'è un bel cielo colorato, di varie sfumature. Non un cielo cupo, ma bello allegro. Anche la volta scorsa, a marzo, non so se vi ricordate. Sono entrata con un maglione pesante e sono uscita che avevo un gran caldo. Mica che fossero passate delle stagioni. Solo quattro giorni. Eppure il tempo era repentinamente cambiato.  Che a farci i conti, due interventi in un anno non è che siano proprio cosa da poco. Che la prima volta, poi, ero anche vicina a casa e anche se avevo più male ed ero più triste mi era meno pesante. Così, questa volta qui, vedere il sole, sabato mattina, appena alzata, mi ha fatto sentire anche un po' meglio. Non avevo dormito niente la notte prima. Erano anni che non soffrivo di insonnia. Che di solito io metto la mia testa sul cuscino, leggo un po' e poi gli occhi mi si chiudono da soli, in automatico, senza bisogno di spingere bottoni o cose del genere. Ma venerdì notte, l'anestesia della sera prima, il mal di stomaco, il gas che mi hanno messo per gonfiare la pancia e sicuramente una buona dose di nervosismo, mi avevano fatto diventare nottambula. Smanettavo al cellulare, leggevo "Gomorra" (sconsigliato per chi è in ospedale. non è leggerissimo e poi ogni tanto avevo gli incubi), facevo un quadro di sudoku o di parole crociate. Niente, il sonno non voleva venire. Le infermiere sono passate quattro volte a dirmi di dormire. Io sono andata in bagno a piangere una decina di volte. Mi irrita immensamente non riuscire a prendere sonno la notte, forse perchè è uno stato che proprio non mi appartiene. La mattina era stata abbastanza dura. Alle  7.00 un'infermiera viene al mio letto e mi dice di alzarmi che mi avrebbero dimessa. Mi toglie catetere, stacca tutte i fili della flebo e mi accompagna in bagno nonostante le mi proteste "Guardate che sono stata operata ieri sera, sono tornata su dalla sala operatoria alle 21.30!...siete sicure che dovete dimettere me?"...Avevo un male cane, il gas che usano per allargare i tessuti mi si era sparso per tutto il corpo e non riuscivo a camminare, stavo piegata in avanti, ingobbita, tra i cerotti e un forte dolore alla bocca dello stomaco...ma cosa volevano dimettere? Sono abbastanza cosciente per detestare un ospedale, ma lo sono ancora di più per capire che non è il caso di andarsene. Non mi hanno più detto niente, nessuno si è più curato di me, tranne un vecchio prete, tale Don Mario che mi ha guardata e mi ha detto " E tu, globulo bianco, la mangia la carne? sei pallida! Dovresti mangiare carne di cavallo"...mi ha fatta sorridere. Passa il professore a cui mi ero rivolta e, con mio grande sollievo, si rende conto che forse non è il caso di mandarmi a casa dopo 12 ore dall'intervento. Così mi rilasso e cerco di pensare il meno possibile al male. Che la cosa paradossale è che il giorno dopo è sempre peggio del giorno stesso di quando ti operano. Anche se il giorno stesso, in questo caso, ha messo a dura prova la mia ansia. Giovedì mattina, sveglia presto, dopo una notte passata discretamente bene. Misuriamo la febbre, pressione ok. Bene. Da lì in poi è solo attesa. Sai che non puoi bere, non puoi mangiare. Il problema è  che non sai quando ti opereranno. In giornata. Di sicuro non eri la prima. Alle 11.30 passa il professore e ti dice che hanno avuto un contrattempo, che tu saresti stata l'ultima della giornata ma non credono di farcela. O a sera tardi o il giorno dopo...che due maroni! Il giorno dopo? Devo passare un'altra notte con il patema? Devo stare ancora senza cibo? (io se non mangio almeno 3 volte al giorno svengo!)....ma, verso le 18, passa un'infermiera e ti caccia in bocca una siringa piena di valium..."intanto calmati un po' con questo"...da lì in poi è l'idillio. Cazzo. il valium...io non sono avvezza a certe raffinatezze! Mi metto il mio bel camice che mi tiene scoperto il culo, il solito insomma, e qualcuno mi porta in sala operatoria. Forse non era solo valium, forse c'era anche qualche sostanza tipo marjuana perchè rido e parlo tranquillamente. C'è una dottoressa con un sorriso bellissimo in sala. Sono una donna, ma mi innamoro facilmente delle donne che mi tranquillizzano. E' molto carina. Ride sempre e parla mai. E' sicuramente una specializzanda in chirurgia perchè ha un viso molto giovane, ma non so perchè, non ho paura di farmi operare da lei. Mascherina davanti alla faccia, forse...non sono sicura, non mi ricordo nulla, non mi hanno fatto contare, non mi hanno detto niente. Solo una flebo e poi il nulla, il solito nulla, quello della volta scorsa. Quel nulla che inghiotte tutte le lacrime e i miei piagnistei dei giorni scorsi, che inghiotte il nervosismo e la tensione. Il piacevole viaggio dell'etere....Mi svegliano. Ho voglia di vomitare, ovviamente. Ma anche questa volta me la cavo. Salgo in camera e so solo che mia mamma e fabio mi salutano e poi tornano a casa. Bacio sulla fronte di mia mamma, che vorrebbe rimanere con tutte le sue forze a farmi da sentinella per la notte, ma le infermiere le dicono che non può. Dormo. Qualcuno viene a cambiarmi la flebo di fisiologica di tanto in tanto. E' una signora con un camice bianco, i capelli grigi e la faccia senza una ruga...di quelle persone a cui proprio non sei in grado di dare un'età. Mi bagno le labbra con un fazzoletto e dormo. Mi sveglio e dormo. Ma sono tranquilla. Male ogni tanto, basta non muoversi. E questo è tutto, mi dico, sono viva ancora, sono qui ancora. Niente di trascendentale, ovviamente. Come dicevo la volta scorsa, sono poi interventi che non prevedono rischi particolari e che gli addetti ai lavori definiscono semplici e di routine. Il fatto è che, quando vivi tutto sulla tua pelle, la cosa è un po' più complicata. Ma sto bene e ho deciso di reagire a tutto. Ho i miei tre cerottoni nella pancia, mi faccio da sola le punture anticoagulanti nelle cosce, mi sdraio, mi alzo e anche se per qualche giorno dovrò stare a riposo, mi godo un attimo il fatto di essere ancora in piedi. 

Ci sarebbero ancora mille cosa da dire, dovrei parlare delle persone che mi sono state accanto, di quelle che mi hanno seguito tramite facebook, che mi sono state vicine con qualche parola e che mi hanno fatto ridere. Ci sono le persone che sono state fisicamente con me, che hanno preso treni e hanno dormito in residence sotto l'ospedale. Chi si è alzato alle 7 di mattina e si è macinato 500 km in poco meno di 5 ore per venirmi a prendere e riportarmi a casa. Ci sono le persone che ho conosciuto lì, c'è Anna, una donna carinissima, figlia della signora che mi era compagna di stanza. C'è Carlotta, un'infermiera apprendista che un giorno, mentre mi faceva una puntura ha tremato e l'ho presa in simpatia perchè mi faceva tenerezza. C'è mia sorella, che mi ha preparato la torta alla robiola, ha dato da mangiare ai gatti mentre non c'ero e mi chiamava tutte le sere. C'è mio padre che ha aspettato che lo chiamassi io ieri per dirmi che in questi giorni non ha tempo di venirmi a trovare. E poi non si è più fatto sentire. E poi ci sono io, che per quanto egoistico sia, vengo prima di ogni altra cosa. Ma, per essere leale e per ringraziare tutti, non so se l'avete notato, mi sono messa in fondo. 


domenica 5 dicembre 2010

IN TRENO










"Un viaggio lungo una rotaia" - Mulino sul pallone. Foto di Leanne



Erano anni che non prendevo il treno. Che poi, a me piacciono quei treni coi posti larghi o, al limite, quelli con le carrozze e gli scompartimenti. Che se uno è fortunato, entra nel suo scompartimento e non trova nessuno. E così rimane lì, bello tranquillo e chi si è visto si è visto. Io non l'avevo mica più l'abitudine ai treni. Che adesso, poi, sono anche cambiati. Intanto hanno anche la presa della corrente. Che te entri e vedi tanti giovani di oggi, gli imprenditori di domani, che stanno lì, col loro bel computerino portatile e si occupano di business e guardano facebook. Mi viene male, davvero. Perchè per il corridoio passano coglioni in doppio petto che parlano di affari al cellulare e avverto il loro stress. Mi viene male perchè la badante brasiliana non sta zitta un attimo, ha due telefonini e riceve e fa chiamate in continuazione per tutta la durata del viaggio e io non faccio che chiedermi quanta cazzo di gente conosce questa qui che ride e chiacchiera senza alcuna sosta e, nella maggior parte dei casi, senza prendere fiato!

Gente che scende, gente che sale, e sapere di essermi seduta in un posto che non è quello che mi avevano assegnato. Il brivido dell'illegalità, insomma!

Che poi, avendo il nonno capostazione, che di treni ne ha visti passare e ne ha presi parecchi, che poi, essendo cresciuta tra binari e fischi di locomotive impazzite, io dovrei avere abbastanza il gene del viaggio su rotaie. E invece non ce l'ho. Cosa devo dire, il viaggio in un treno pieno di gente mi fa venire un po' di nausea. Anche se, piano piano, mi rilasso e mi lascio incantare dal paesaggio che mi sfreccia accanto. 

E comunque, non sono solo i treni che non sono più quelli di una volta, ma gli stessi viaggiatori che ci salgono non hanno più l'aria poetica che ricordavo. Anche se c'è sempre il vecchietto col cappello che legge l' "Unità", la nonnetta col barboncino o la studentessa assorta, inghiottita da un libro di filosofia, non hanno più le stesse facce, gli stessi occhi profondi di chi si appresta al gusto del viaggio