
"Dalla finestra della mia stanza" - Casa mia (Foto Leanne)
E infatti c'è il sole, per la prima volta da quando sono qui. E lo vedo sorgere, mentre cerca di farsi spazio tra le nuvole. C'è il sole. E mi dimettono. Sono entrata in ospedale che nevicava e esco che c'è un bel cielo colorato, di varie sfumature. Non un cielo cupo, ma bello allegro. Anche la volta scorsa, a marzo, non so se vi ricordate. Sono entrata con un maglione pesante e sono uscita che avevo un gran caldo. Mica che fossero passate delle stagioni. Solo quattro giorni. Eppure il tempo era repentinamente cambiato. Che a farci i conti, due interventi in un anno non è che siano proprio cosa da poco. Che la prima volta, poi, ero anche vicina a casa e anche se avevo più male ed ero più triste mi era meno pesante. Così, questa volta qui, vedere il sole, sabato mattina, appena alzata, mi ha fatto sentire anche un po' meglio. Non avevo dormito niente la notte prima. Erano anni che non soffrivo di insonnia. Che di solito io metto la mia testa sul cuscino, leggo un po' e poi gli occhi mi si chiudono da soli, in automatico, senza bisogno di spingere bottoni o cose del genere. Ma venerdì notte, l'anestesia della sera prima, il mal di stomaco, il gas che mi hanno messo per gonfiare la pancia e sicuramente una buona dose di nervosismo, mi avevano fatto diventare nottambula. Smanettavo al cellulare, leggevo "Gomorra" (sconsigliato per chi è in ospedale. non è leggerissimo e poi ogni tanto avevo gli incubi), facevo un quadro di sudoku o di parole crociate. Niente, il sonno non voleva venire. Le infermiere sono passate quattro volte a dirmi di dormire. Io sono andata in bagno a piangere una decina di volte. Mi irrita immensamente non riuscire a prendere sonno la notte, forse perchè è uno stato che proprio non mi appartiene. La mattina era stata abbastanza dura. Alle 7.00 un'infermiera viene al mio letto e mi dice di alzarmi che mi avrebbero dimessa. Mi toglie catetere, stacca tutte i fili della flebo e mi accompagna in bagno nonostante le mi proteste "Guardate che sono stata operata ieri sera, sono tornata su dalla sala operatoria alle 21.30!...siete sicure che dovete dimettere me?"...Avevo un male cane, il gas che usano per allargare i tessuti mi si era sparso per tutto il corpo e non riuscivo a camminare, stavo piegata in avanti, ingobbita, tra i cerotti e un forte dolore alla bocca dello stomaco...ma cosa volevano dimettere? Sono abbastanza cosciente per detestare un ospedale, ma lo sono ancora di più per capire che non è il caso di andarsene. Non mi hanno più detto niente, nessuno si è più curato di me, tranne un vecchio prete, tale Don Mario che mi ha guardata e mi ha detto " E tu, globulo bianco, la mangia la carne? sei pallida! Dovresti mangiare carne di cavallo"...mi ha fatta sorridere. Passa il professore a cui mi ero rivolta e, con mio grande sollievo, si rende conto che forse non è il caso di mandarmi a casa dopo 12 ore dall'intervento. Così mi rilasso e cerco di pensare il meno possibile al male. Che la cosa paradossale è che il giorno dopo è sempre peggio del giorno stesso di quando ti operano. Anche se il giorno stesso, in questo caso, ha messo a dura prova la mia ansia. Giovedì mattina, sveglia presto, dopo una notte passata discretamente bene. Misuriamo la febbre, pressione ok. Bene. Da lì in poi è solo attesa. Sai che non puoi bere, non puoi mangiare. Il problema è che non sai quando ti opereranno. In giornata. Di sicuro non eri la prima. Alle 11.30 passa il professore e ti dice che hanno avuto un contrattempo, che tu saresti stata l'ultima della giornata ma non credono di farcela. O a sera tardi o il giorno dopo...che due maroni! Il giorno dopo? Devo passare un'altra notte con il patema? Devo stare ancora senza cibo? (io se non mangio almeno 3 volte al giorno svengo!)....ma, verso le 18, passa un'infermiera e ti caccia in bocca una siringa piena di valium..."intanto calmati un po' con questo"...da lì in poi è l'idillio. Cazzo. il valium...io non sono avvezza a certe raffinatezze! Mi metto il mio bel camice che mi tiene scoperto il culo, il solito insomma, e qualcuno mi porta in sala operatoria. Forse non era solo valium, forse c'era anche qualche sostanza tipo marjuana perchè rido e parlo tranquillamente. C'è una dottoressa con un sorriso bellissimo in sala. Sono una donna, ma mi innamoro facilmente delle donne che mi tranquillizzano. E' molto carina. Ride sempre e parla mai. E' sicuramente una specializzanda in chirurgia perchè ha un viso molto giovane, ma non so perchè, non ho paura di farmi operare da lei. Mascherina davanti alla faccia, forse...non sono sicura, non mi ricordo nulla, non mi hanno fatto contare, non mi hanno detto niente. Solo una flebo e poi il nulla, il solito nulla, quello della volta scorsa. Quel nulla che inghiotte tutte le lacrime e i miei piagnistei dei giorni scorsi, che inghiotte il nervosismo e la tensione. Il piacevole viaggio dell'etere....Mi svegliano. Ho voglia di vomitare, ovviamente. Ma anche questa volta me la cavo. Salgo in camera e so solo che mia mamma e fabio mi salutano e poi tornano a casa. Bacio sulla fronte di mia mamma, che vorrebbe rimanere con tutte le sue forze a farmi da sentinella per la notte, ma le infermiere le dicono che non può. Dormo. Qualcuno viene a cambiarmi la flebo di fisiologica di tanto in tanto. E' una signora con un camice bianco, i capelli grigi e la faccia senza una ruga...di quelle persone a cui proprio non sei in grado di dare un'età. Mi bagno le labbra con un fazzoletto e dormo. Mi sveglio e dormo. Ma sono tranquilla. Male ogni tanto, basta non muoversi. E questo è tutto, mi dico, sono viva ancora, sono qui ancora. Niente di trascendentale, ovviamente. Come dicevo la volta scorsa, sono poi interventi che non prevedono rischi particolari e che gli addetti ai lavori definiscono semplici e di routine. Il fatto è che, quando vivi tutto sulla tua pelle, la cosa è un po' più complicata. Ma sto bene e ho deciso di reagire a tutto. Ho i miei tre cerottoni nella pancia, mi faccio da sola le punture anticoagulanti nelle cosce, mi sdraio, mi alzo e anche se per qualche giorno dovrò stare a riposo, mi godo un attimo il fatto di essere ancora in piedi.
Ci sarebbero ancora mille cosa da dire, dovrei parlare delle persone che mi sono state accanto, di quelle che mi hanno seguito tramite facebook, che mi sono state vicine con qualche parola e che mi hanno fatto ridere. Ci sono le persone che sono state fisicamente con me, che hanno preso treni e hanno dormito in residence sotto l'ospedale. Chi si è alzato alle 7 di mattina e si è macinato 500 km in poco meno di 5 ore per venirmi a prendere e riportarmi a casa. Ci sono le persone che ho conosciuto lì, c'è Anna, una donna carinissima, figlia della signora che mi era compagna di stanza. C'è Carlotta, un'infermiera apprendista che un giorno, mentre mi faceva una puntura ha tremato e l'ho presa in simpatia perchè mi faceva tenerezza. C'è mia sorella, che mi ha preparato la torta alla robiola, ha dato da mangiare ai gatti mentre non c'ero e mi chiamava tutte le sere. C'è mio padre che ha aspettato che lo chiamassi io ieri per dirmi che in questi giorni non ha tempo di venirmi a trovare. E poi non si è più fatto sentire. E poi ci sono io, che per quanto egoistico sia, vengo prima di ogni altra cosa. Ma, per essere leale e per ringraziare tutti, non so se l'avete notato, mi sono messa in fondo.