lunedì 6 ottobre 2008

RICORDI A RANDOM


Erano gli anni in cui l'estate arrivava lenta. Gli anni in cui, già dalla primavera, cominciavo ad agognare, con le maniche del grembiule rosa alzate fino al gomito, le vacanze estive. Erano gli anni dei compiti nel pomeriggio, con l'odore della cena che mia mamma stava preparando e il rumore delle pentole che borbottavano sul fornello. A volte mi manca lo sciacquio dei piatti nel lavello, mentre facevo il mio pisolino pomeridiano, e il freddo che veniva dalla finestra aperta dopo che lei aveva dato lo straccio in cucina. Erano gli anni in cui tutto aveva un sapore nuovo, in cui tutto sembrava irraggiungibile, lontano, incerto. Erano gli anni di cui oggi, ahimè, ho troppi pochi ricordi se non a sprazzi. Qualche immagine vaga di me, immagine che mi ricordo da una foto, con i capelli biondi sempre spettinati, la faccia con le lentiggini, sempre sorridente, di un sorriso sdentato e furbo. Peccato che all'epoca non tenessi un'agenda dove appuntare tutto quello che mi succedeva, come faccio ora. Oggi avrei avuto materiale a sufficienza per scrivere un libro se sapessi scrivere un libro. A volte mi torna alla mente un profumo. Come l'odore di naftalina dell'armadio della camera nella casa dei nonni dove rimanevo spesso in estate. Ricordo di me, a letto senza riuscire ad addormentarmi, mentre la luce dei lampioni fuori inondava la stanza, e il vociare dei primi amori estivi che sotto a quei lampioni stavano sbocciando. Ragazzi abbracciati sul muretto che io potevo solo immaginare, a baciarsi, abbracciarsi...e verso settembre, quegli stessi ragazzi, si sentivano litigare e piangere e dirsi addio. Questo me lo ricordo, me lo ricordo bene. Perchè poi io mi facevo una discreta dose di viaggi mentali sulla loro storia, su come era iniziata e su come era finita. Come quella volta che ero in piscina con mio babbo (di questo ricordo di aver scritto qualcosa, ma non trovo più il diario di allora), ed ero stesa sullo sdraio a prendere il sole come una lucertolina. Vicino a noi un gruppo di ragazzi aveva la radio accesa...se non sbaglio dalle casse si sentiva “Informer”. E c'erano un ragazzo e una ragazza che stavano distanti. Lei lo guardava ma non gli si avvicinava. Lei piangeva. E la sua amica era li che la consolava. Allora ho sentito che le ha detto “Non vale la pena che ti avveleni il fegato per lui”. E io, a distanza di 20 anni, che se ci penso questi ormai si saranno sposati, avranno avuto dei figli e magari non si ricorderanno neanche l'uno dell'altro, ancora mi chiedo che cosa le avesse combinato di così tremendo l'imbecille che le faceva avvelenare il fegato. Mi piacevano le storie d'amore. Mi sono sempre piaciute. Quando ero piccolissima, la sera mia mamma guardava “Uccelli di rovo”...io avrò avuto tra si e no 2 anni ma capivo tutto. E mi ero appassionata alla storia tra questo prete un po' atipico e questa ragazzina. E allora, il mattino dopo, quando mia mamma mi lasciava dalle suore (decisamente controproducente per una come me!), io raccontavo alla madre superiora tutto il resoconto della puntata che avevo visto. Così lei riprendeva mia mamma il giorno dopo...perchè non erano certo film da fare vedere ad una bambina e neanche lei avrebbe dovuto vederli. Ma a mia mamma Richard Chamberlain piaceva troppo, e la volta dopo lo riguardava e anche io lo riguardavo, giurando che non avrei raccontato niente alle suore. Ma io non sapevo tenere niente...e allora la storia, ogni volta, ricominciava. Fino a quando finalmente non finì la serie.


Erano gli anni in cui l'estate poi arrivava. E estate per me voleva dire campoestivo. Il campoestivo con la parrocchia dei nonni, a Cesenatico. Erano gli anni delle mattine in cui mia nonna mi faceva alzare presto perchè passava il fornaio con l'ape a portare i bomboloni, direttamente a casa. E scendevo le scale di corsa sentendo il profumo ancora prima di aprire la porta. Mille lire di bombolone con la crema. Mi spataccavo tutto il muso di zucchero a velo, mi mettevo il golfino e il nonno mi portava in parrocchia. Che io da piccola non conoscevo la differenza tra essere cattolici e non esserlo...per fortuna l'ho imparata col tempo. Ricordo che mi ero innamorata di un certo Matteo in quell'estate. Un Matteo che abitava proprio davanti a casa dei miei nonni. E sapevo quale era la finestra della sua camera. Allora, la sera, quando io la cugina si rimaneva in cortile a giocare, buttavo sempre un occhio per vedere se la luce era accesa. E poi la luce si spegneva e dicevo “chissà se mi sta pensando”. In realtà non stava certo pensando a me. Ma ad una certa Chiara che si era messa con lui a questo campoestivo. E anche se io non conoscevo bene i termini scurrili con cui poterla apostrofare, un'idea me l'ero fatta lo stesso.


Erano gli anni in cui mia cugina, una notte, vomitò l'anima e l'operarono di appendicite. Da quella volta li credo di avere iniziato a temere il vomito e l'appendicite stessa. Com'era capitato a lei poteva capitare a me. E io non volevo andare in ospedale perché ci ero già finita una volta, a quattro anni, in una sera di luglio che facevo la splendida con un altro Matteo, mio amico di infanzia, su uno scivolo a Sant'arcangelo. Tenevo le gambe ranicchiate e, scendendo così, un paio di volte mi è andata bene, ma alla terza, ho puntato i piedi e mi sono ribaltata dando una facciata memorabile a terra. Setto nasale rotto. Di quei giorni ricordo tutto. Un trauma. La corsa al pronto soccorso di Rimini, il dottore che mi faceva le lastre, il ricovero in ospedale e quello stronzo di anestesista che mi aveva detto che mi portava a prendere le caramelle. Quando ho visto la siringa enorme con cui cercavano di perforarmi il culo per farmi dormire, sono scappata dalla sala operatoria e ho cercato mia mamma. Le sono corsa incontro piangendo. Ma poi mi hanno recuperato. Forse mi hanno dato una botta in testa. L'intontimento ad occhi aperti, senza sentire dolore, senza sentire le voci, ma vedendo tutto. Vedevo i guanti verdi del chirurgo che mi stava sistemando le ossa del naso. E l'intorpidimento dei muscoli al risveglio, nel mio pigiamino a righe rosa e bianche. Chiedevo in continuazione a mia mamma di raccontarmi delle storie affinché riuscissi a svegliarmi. E la sete atroce e non poter bere che qualche goccia da un fazzolettino che mia mamma inzuppava in un bicchiere d'acqua. Brutti giorni. Anche se poi, con questa mascherina al naso, ero diventata un po' la mascotte di tutto il paese. E mi chiedevano tutti cosa avevo fatto e io, allora, raccontavo quello che mi era successo con un certo orgoglio. Non tutte le bambine avrebbero avuto il coraggio di scendere lo scivolo così. Comunque, anche negli anni a venire, tra me e mia sorella, il reparto di ortopedia ci ha viste parecchie volte. Un po' perché ci facevamo male da sole e un po' perché ci picchiavamo talmente tanto che ogni tanto ci rompevamo qualcosa.


Erano gli anni in cui io mi arrampicavo su gli alberi. E non mi facevano paura le formiche rosse o le lucertole. Stavo li, tra i rami degli ulivi, e mi godevo il contatto con la natura. La cosa che mi mancava di più, però, era una casa sull'albero. Che i rami non erano proprio comodi per starci seduti delle ore. E io parlavo da sola, immaginando di essere dentro a quella casetta che in realtà non c'era. E passavo ore estive a far niente e a inventarmi storie. Li, da sola...che a me da sola piaceva stare già da allora.


Erano gli anni in cui il sabato e le domeniche i nostri genitori ci portavano al mare. Mia mamma preparava padelloni di lasagne o nidi di rondine o zuppiere di insalate di riso e le metteva dentro a quei frigo portatili. Noi ne avevamo uno rosso. E dentro c'erano anche le bibite per noi e la birra per il babbo. Erano gli anni in cui, adesso che ci penso, la mia era ancora quella si può definire una famiglia unita. Almeno all'esterno. E allora io ero al mare con le cugine e mia sorella che era piccolissima e non rideva mai, neanche se le facevi il solletico. Ogni tanto faceva un grugnito e poi si metteva a piangere se le avevi dato noia. Un po' mi stava sulle balle sta cosa che piangeva sempre. Con sto muso lungo e così distaccata. E allora io facevo il bagno anche se avevo appena mangiato, stavo 3-4 ore ammollo e poi tornavo a impanarmi nella sabbia, sotto all'ombrellone. Quando si faceva ora di rientrare, mio babbo tirava fuori la bottiglia dell'acqua e ci puliva i piedi perchè non sporcassimo la sua seat ibiza nuova. Poi dai nonni, a farci il bagno vero. Con acqua e sapone. Nella vasca insieme alle cugine. Ho l'immagine di un boccale rosso con cui mia mamma mi sciacquava i capelli e nelle narici l'odore di “felce azzurra”. Quello mi ricorderà sempre, negli anni a venire, i bagni nella vasca dei nonni. Credo che mia nonna non abbia mai smesso di usarlo.


Erano gli anni in cui poi l'estate finiva di nuovo, dove si faceva la spesa dei quaderni, delle penne cancellabili, delle matite, delle gomme e dei pastelli. Dello zaino nuovo, “ti prego, mamma, quest'anno almeno comprami quello di Barbie”. Del diario colorato, dell'astuccio in tinta. Del grembiule nuovo, che quello dell'anno passato non mi andava già più. Di un salto al mercato a comprare un po' di vestiti nuovi che se no mia mamma non sapeva con cosa mandarmi a scuola. Di una tutta di cerata orrenda, color verdino mal di stomaco, che ho odiato talmente tanto mia mamma per anni per avermela comprata.


Erano gli anni in cui tutto scorreva lento e il futuro era incerto.

7 commenti:

  1. desso capisco un pò di cose, del perchè sei diventata una personcina così bella...sei uguale a quando eri piccola; il bagno il sabato pomeriggio è uno dei ricordi più forti della mia infanzia...io stavo lì col freddo che mi saliva sulle gambe e mia mamma mi asciugava i capelli; mi veniva da dormire quando ero lì a farmi asciugare i capelli. poi questa tendenza delle ragazzine del savignanese ad andare tra o sugli ulivi è proprio una cosa genetica, ce l'hanno fin da piccole...ma la macchina del tuo babbo era a metano? Il racconto è proprio bello, di quelli che quando li leggi ti vengono a galla anche i tuoi di ricordi...

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  2. Complimenti per il tuo blog...perchè non mi inserisci tra i tuoi amici e mi linki?? Te ne sarò grata

    grazie!!!

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  3. kaba: bè, bella personcina adesso non direi...e magari fossi uguale ad allora, non mi dispiacerebbe tornare indietro e rimanerci a volte. che adesso non ce l'ho mica più questa agilità del salire sugli alberi...cammino senza inciampare nei boschi (strano che con tutte quelle radici non sia mai caduta..ma li ritrovo l'equilibrio anche fisico!) ma su gli alberi non riesco più a salirci. quando ero piccola non avevo mica paura di niente. adesso ho più paure che altro.

    si si..la seat ibiza rossa e a metano...con lo sportello del conducente che ogni tanto si apre, tanto per intenderci.

    io d'estate no, ma in inverno, quando il sabato sera, prima di mangiare, mi facevano il bagno, mi veniva sempre un sonno porco mentre mi asciugavano i capelli. e avevo gli occhi rossi rossi e di solito, alle 9 ero cotta sul divano e mi addormentavo.

    grazie...è solo un racconto un po' random..che io più di questo faccio una gran fatica a ricordarmi. purtroppo ho rimosso troppe cose.



    x giangi: grazie. provvederò

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  4. eh! mamma mia, tornerò con più calma per leggere tutto, ma intanto volevo dirti che rospi finalmente è partito e ha risposto anche al tuo commento, baci,

    isterika

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  5. isterika: eh, mi rendo conto che quando mi impegno scrivo della roba abbastanza lunga...con calma con calma, tanto non scappa mica il post! ha risposto?!! via, vado subito a vedere...che lui è un genio!

    baci a te

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  6. io e kabalino la vediamo spesso uguale, stavolta davvero ho pensato le stesse precise parole che ha scritto lui mentre leggevo il post, che è scritto che ti fa venire in mente i tuoi di ricordi...

    isterika

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  7. isterika: credo che molti bambini siano cresciuti così....in fin dei conti la vita dei bambini è così semplice che raccontarla non è difficile...e poi chi non ha mai sognato una casa sull'albero, per dire?! :)

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