Credi nel caso? Mi chiedi. Non credo più a niente. Ti dico. Credo che le cose succedano e basta. Che le persone lo sappiano prima che se ne accorgano. Credo che siamo noi a chiamare il caso. Credo che tu dovessi essere qui, in un modo o nell'altro. Credo che avessi bisogno di dirmi che saresti partito. Credo che io avessi bisogno di sapere che lo avresti fatto. Credo che senza volerlo io te lo abbia chiesto. Credo nelle energie che muovono le menti, i pensieri. Credo che quando vogliamo una cosa così tanto, siamo capaci di smuovere interi universi e sistemi affinché possano succedere. Si staccano fili, si spostano lancette, si modifica ogni singolo avvenimento. Credo nei corpi che si spostano. Credo che non ci sarà mai fine a tutto questo finché continuerò a volerti così tanto. Credo che ci gireremo intorno, ma che le nostre strade non si incontreranno più.
Credi nel caso? Mi chiedi, Non credo più a niente. Ti dico. Credo solo che le lacrime non siano capaci di esaurirsi, ma si rigenerino costantemente.
Credo che smetterò di volerti, prima o poi, che potrò dimenticare.
Credo che...
Credo di non aver capito davvero niente.
E no. Non credo nel caso. Credo che ogni cosa, dal passo al sorriso, al pianto, la scegliamo noi, prima di nascere. Credo che tu abbia scelto. Credo di averlo fatto anche io.
Credo che adesso basta.
Credo che domani no.
Credo di non conoscere abbastanza parole per dirti tutto. Credo che in realtà non ci siamo mai detti tutto. Credo che non ci siamo mai detti niente.
Credo che adesso da te non so che ore siano. Da me è tardi. Ma non abbastanza. Credo al fatto che potrai essere distante tutti i chilometri che possano invadere la terra, ma credo che per quanto io possa tacere, tu sappia sentirmi. Credo che odio tutto questo. Credo che non vada bene. Credo che sia una sorta di malattia. Sai. C'è chi crede che io sia pazza. Che io mi sia fissata con te senza un motivo vero. Credono che io non voglia davvero te, ma qualcuno e basta. Credo di essere abbastanza sana da capire che voglio te. Credo che non me ne freghi niente di quello che credono gli altri. Credo che mi mancherai. Credo che tu mi manchi sempre. Credo a troppe cose. Ma nel caso no. Noi non siamo caso. Noi siamo qualcosa che va oltre, che è oltre. Qualcosa che non sai, che non so. Siamo l'emblema di qualcosa che ancora la società non ha etichettato. Siamo due che sono distinti. Siamo due a parte. Siamo io qui. Tu lì. Credo che siamo in un qualcosa che non avverrà mai. Credo che giusto o sbagliato che sia, ecco, io credo che sia così. Credo a questo. Non al caso. Al caso no. Con noi il caso non c'entra niente.

domenica 6 dicembre 2015
sabato 14 novembre 2015
PENSIERI DISCONNESSI IN UNA NOTTE DI NEBBIA
Mi capita, ogni tanto, quando sto per addormentarmi, di pensare a cose strane. Tipo...Adesso mi addormento. Poi mi sveglio. E sono sdraiata con la testa sulle ginocchia della nonna. E' piena estate. Sono le tre del pomeriggio. E' caldo, è umido. Cantano le cicale. Sono sul dondolo, quello di legno che ha fatto il babbo. Ci fanno ombra gli ulivi. La nonna parla in dialetto, mi racconta storie e io sfioro con le mani la gramigna che cresce, cresce. Il nonno suona la fisarmonica. Ho sei anni. E quando mi sveglio, penso, "menomale...era solo un sogno!". Ho sei anni, è il 1988, non so cosa voglia dire la vita, ma so che ho paura della morte. La mia...perché, nel caso dovessi morire, non saprei proprio come fare senza mia mamma e mio babbo. Dei miei genitori...perché, nel caso dovessero morire, non saprei proprio come fare senza mia mamma e mio babbo. Dei miei nonni...perché sì, perché i nonni servono sempre. Ho sei anni. E ho ancora tutta una vita da vivere, da progettare, da fare. Un futuro in cui sperare. Con tutti i pro e i contro. Ma ho sei anni...non ho proprio idea di come sarò da grande, cosa farò, cosa voglio fare. Gioco con i gatti, bacio i cani, corro per i campi e salgo sugli alberi con l'agilità di uno scoiattolo. Ho sei anni. E non mi preoccupa nulla. Vorrei davvero che la vita vissuta fino ad ora fosse stato solo un sogno. Svegliarmi e avere tutte le opportunità ancora a portata di mano, avere scelte da fare, possibilità. Invece no. Mi sveglio e sono ancora io. Sono già qui. Con i miei 33 anni quasi 34. Con gli sbagli, gli errori, una paura del futuro che mi fa piangere. Paura di non sapere dove andare. Sapere che devo andare...ma senza sapere verso dove. Mi sveglio e temo che non ci sia via d'uscita. Incastrata in un sistema che mi toglie il fiato, mi fa innervosire, mi fa venir voglia di tornare indietro davvero. Quando avevo sei anni, ma anche quando ne avevo quattordici o venti, me lo dicevano i grandi...più cresci più crescono i problemi. Io non credo di avere particolari problemi...insomma...a parte quelli psichici, ovviamente. Posso ritenermi fortunata. Non dovrei fiatare. Ma non ce la faccio a stare zitta. E' sempre stato così. Posso davvero risvegliarmi nel 1988? Posso davvero guardare avanti e avere una gran voglia di crescere? Posso essere curiosa? Posso avere voglia di vivere ogni giorno con vivacità, speranza? Posso? O devo continuare così? In questo mondo che non mi appartiene più da un po', adesso che ho visto che non è il mondo che volevo e in cui credevo 27 anni fa. Adesso che so com'è quello che in passato sarebbe stato il mio futuro, il mio futuro che adesso è presente ed è un presente di cui non riesco a fare parte, in cui non mi sento io, in cui proprio non sono io. Io...che mi perdo dietro a sogni sempre più grandi, sempre più irraggiungibili, sempre più estremi. Al sogno di scappare, di sparire, di fare quello che voglio, di trovare un posto mio, il mio angolo di universo. Quello in cui posso essere davvero me stessa, senza dover rendere conto a nessuno. Io. Che ancora oggi mi guardo allo specchio, inizio a contare le rughe agli angoli della bocca, le occhiaie sempre più marcate, e penso a come sarò da grande...ma non ho più voglia di saperlo.
venerdì 4 settembre 2015
VIENI A PRENDERMI IN PICK UP
Photo dal web
Vieni a prendermi in pick up. Uno di quei pick up vecchi, un po' arrugginiti, senza aria condizionata, con la radio a manovella che non legge i cd e neppure le musicassette. Rosso. Mi piacerebbe che fosse rosso. Se poi non trovi il pick up, mi va bene anche un furgoncino della Volkswagen, di quelli tipo figli di fiori...chissà dove eravamo noi quando facevano la 3 giorni di Woodstock, piuttosto!
Ti aspetterò sotto casa, con una valigia...piccola, lo giuro! O forse, addirittura, avrò una sacca da militare sulla spalla. Indosserò un cappello di paglia, una gonna di jeans al ginocchio, una camicetta viola e un paio di stivali con il tacco basso.
Se vieni a prendermi con un pick up, fallo quando vuoi, basta che mi avvisi un paio d'ore prima. Al collo la macchina fotografica e milioni di immagini da immortalare. Porto anche un frigo portatile pieno di ghiaccio e birre. Tu magari, se non ti è di troppo disturbo, potresti preparare un paio di panini.
Vieni a prendermi in pick up. E andiamo via. Guiderai tu finché non sarai stanco, ti darò il cambio quando vorrai riposare gli occhi o solo ammirare il paesaggio. Prometti che non prenderemo le strade più veloci, né quelle troppo asfaltate. Godiamoci il viaggio. Facciamo le strade più difficili, quelle sterrate. Nel cassone del pick up, quando verrai a prendermi, metterò una tenda, due sacchi a pelo, una lanterna, una piccola bombola di gas e il minimo indispensabile per la sopravvivenza. Ah già...ricordami di non dimenticare cerotti, garze, disinfettanti e siero antivipera. Perché ci faremo male, dio solo sa quanto ce ne faremo. Eppure, benché il rischio sia alto, non vedo l'ora di salire su quel pick up al più presto.
Vieni a prendermi in pick up, controlla la pressione delle gomme, l'olio e guarda che nel cruscotto ci sia una cartina del mondo, perché ho una voglia matta di girarlo tutto questo mondo. Porta una giacca pesante, sciarpa, berretta di lana e guanti per quando arriveremo in Alaska. Porta il costume e un telo da mare per quando finiremo su una spiaggia deserta e ammireremo nature incontaminate. Porta un ombrello per ripararti dai temporali improvvisi della Scozia e dell'Irlanda e un impermeabile resistente per quando ci troveremo nel mezzo dei fiordi norvegesi.
Vieni a prendermi in pick up. Faremo un viaggio che durerà fino a quando entrambi ne avremo voglia. Quando anche solo uno dei due avvertirà il bisogno di tornare indietro, l'altro avrà semplicemente due scelte. Tornare anch'esso o restare senza compromettere il volere del primo. Saremo liberi...e lo saremo insieme.
Se vieni a prendermi in pick up, saremo felici e zingari. Ci fermeremo in uno di quei bar del Texas, quelli dalle luci soffuse, olezzanti di fritto, sudore, tabacco e rissa. Uno di quei bar dove suonano musica folk e la barista è più ubriaca degli avventori. E rideremo così tanto, e ci stancheremo così tanto che la sera ci faranno male i muscoli della pancia.
Ricordati la chitarra. Potrebbe servirci quando avremo finito i soldi e dovremo piazzarci nei parchi di New York per elemosinare qualche spicciolo per proseguire il percorso.
Quando saremo stanchi, ci fermeremo a riposare occhi e gambe. Quando troveremo posti incantevoli, ci fermeremo ad ammirarli il più a lungo possibile. E se troveremo un posto che potrebbe somigliarci, potremo restare per tutto il tempo che vorremo.
Ma vieni a prendermi in pick up. Perché se tu non vieni, io non vado da nessuna parte. Se non posso farlo con te, potrei farlo anche da sola...ma non sarebbe la stessa cosa e comunque so che non potrei farlo con nessun altro. Come compagno di questo viaggio, ora come ora, mi vieni in mente solo tu.
giovedì 3 settembre 2015
IL SALTO DI MICHELE
Photo: "Valentina Violetvintage"...che poi sarei io
Guardo il sorriso di Michele, alla fine del suo concerto. In realtà non è solo un concerto. E' uno spettacolo con tutti i crismi. Saluta. Salta. Dopo oltre due ore, questo ragazzo che dentro, dite quello che volete, ha ancora 15 anni, salta e corre come un capretto. Michele. Sono sotto il palco e mi sono goduta ogni parola, ogni smorfia...tutto. Mi guarda. E vedo in quegli occhi qualcosa che vorrei vedere negli occhi di tutte le persone che incontro ogni giorno. La purezza. Prima di tirare le tende, si gira verso il pubblico. E lo vedo. Vedo la soddisfazione che gli sprizza fuori da ogni riccio. Non è la soddisfazione del solito cantantello borioso e sboroncello. Non è quel tipo di soddisfazione da "Guarda sti stronzi...sono tutti in delirio per me!". La soddisfazione di Michele gli si legge proprio negli occhi, ed è una soddisfazione quasi primordiale. Sembra che con quel sorriso voglia dire "Grazie...grazie al cielo qualcuno mi ha capito!". Michele, secondo me, ha una missione nella vita. Smuovere le coscienze. Se oggi mi chiedessero come ti immagini Gesu Cristo, vi direi che me lo immagino così. Un messia del terzo secolo. Alt. Fermi...non pensate che abbia intenzione di fare paragoni religiosi...nè, tanto meno, divinizzare Capa. Pensate alle cose che sapete meno di quello che vi hanno dipinto di Cristo. Pensatelo come una persona nato da una madre come tutte le altre, un padre come tutti gli altri. Pensate a questo bambino un po' fuori dal comune. Mettetelo in un contesto sociale dove la priorità è l'apparenza. Mettiamo che fosse un bambino anche un po' bruttino, via. Lui aveva qualcosa che gli bruciava dentro, un qualcosa che lo distraeva dal resto. Chissà, forse qualche volta ha anche provato a conformarsi, a mettersi maschere, a giocare con gli altri. Ma si è rifugiato nel suo angolo e nelle incomprensioni di un mondo che non riusciva a farsi piacere. Neanche oggi questo mondo gli piace, ma ha trovato persone che, come lui, vorrebbero cambiarlo. Michele ha una missione. E forse non lo sa. Quello che fa è quello che sa fare. E' il suo sfogo, il suo dipinto, il suo olio su tela. E' l'urlo. E' il salto. Sa che per portare un messaggio, oggi, non può andare a predicare da nessuna parte. Sa che il palco è il suo pulpito. Ci si è ritrovato. E visto che c'era ha iniziato a giocarci un po'. Ha iniziato a prenderci gusto. Ha capito che più avrebbe giocato, più persone lo avrebbero seguito. Alt. Non vorrei che si pensasse che questo Capa sia uno di quei lestofanti che vogliono ingannare e portare le persone ad uno stato di dipendenza (anche se, per quanto mi riguarda, benchè io non abbia mai avuto occasione di provarla, sono certa che mi faccia più effetto lui di una sniffata di cocaina!). E' la sua dote. Lui sa. E lui sa che è giusto che quello che sa venga esposto a più pubblico possibile. Lui sa che sapere, conoscere, informare, sono le basi fondamentali di una società sana. CAPAREZZA MI PIACE PERCHE' E' TROPPO POLITICO. Non vedo perché non dovrebbe esserlo. Eppure so perfettamente che non si candiderebbe mai da nessuna parte. Lui non si schiera. Parla per coscienza, per logica, per quello che dovrebbe essere normale in una società normale! CONTRO tutto quello che non è obiettivamente umano. Ecco la sua soddisfazione. Lui sa quello che ha raccontato. Vedere tutte quelle persone sotto il suo palco e sogghignare non è certo per lui un motivo di vanto personale. Michele sa che quello di cui parla può aiutare a cambiare la visione delle persone nei confronti delle altre persone. Non viene osannato. Viene compreso. E' molto diverso. E ho quasi le lacrime agli occhi quando canta della sua terra. E così mi viene voglia di andare a vedere la Puglia...che non ci sono mai stata. E ho dolore quando so che ci sono milioni di Eroi e ho rabbia quando so che per molti non è vero che non esistono Razze. Mi coloro mentre canta Mica Van Gogh, mi coloro coi colori opachi della nostalgia di tempi in cui non esistevano tastiere, chat, telefoni e la propria arte era davvero arte, dettata da un malessere interiore, dal bisogno di esternare un peso enorme che continuava a tenerti ancorato a terra. Oggi Michele salta. Ho paura che se non avesse iniziato a cantare, se non avesse capito che scrivere sarebbe stata la sua salvezza, si sarebbe già impiccato da un po'. Non per codardia...ma per nausea verso ciò che con lui non aveva niente a che fare. Michele salta. Salta tanto...davvero molto. Che io, per dire, ero già stanca dopo aver cantato metà di una sua canzone, ferma, attaccata alla transenna. Lui no. Ha ancora così tanto da dire che non riesce a stare fermo. Preso, forse, da uno spasmo di non avere tutto il tempo del mondo per poterlo fare. Michele salta. Ride. Saluta. Io piango un po'...non perchè è Michele. Piango perchè vorrei che tutti fossero un po' Michele. Vorrei che tante parti di Michele si sperdessero nell'aria. La gente, "tutta questa bella gente", respirerebbe piccole cellule di Michele e potremmo iniziare a vivere in un contesto più giusto. Alt...mica sto paragonando il Capa a Polly Anna, eh, sia chiaro. E' un buono...ma non un coglione. E' una di quelle persone che mi piacerebbe avere come amiche. Sa. Lui sa. Lui sa che tutti dobbiamo sapere. Michele salta. Io piango. Michele sorride. Io gli mando un bacio (manco fosse un Beatle, per dire!)....ma è un bacio di comprensione. Una strizzata d'occhio. Una pacca sulla spalla. Un modo per dirgli "Michele, grazie. Ho capito. Ti ho capito. Finalmente non sei più un ragazzino solo." Michele ride. Io rido. Il palco si spegne, qualcuno resta per gli autografi e le foto, qualcuno se ne va. Io me ne vado. Resta dentro come una bomba ad orologeria....e prima o poi esploderà.
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