Le persone mi fanno schifo...più o meno tutte. Non sono razzista, nel senso che non odio una razza più di un'altra, indistintamente, odio la razza umana. Faccio questa premessa perchè ho una cosa da raccontare, una cosa che ho visto ieri e mi ha fatto girare i maroni. La faccio perchè dalle parole che dirò, molto probabilmente, potreste pensare che sono razzista...invece no, ve lo dico...non lo sono. Ma un appuntino lo devo fare...Ieri pomeriggio io e Fabio eravamo in terrazzo. La piazza sotto casa mia era piena di macchine perchè il supermercato era aperto ed era l'ora di punta. Proprio sotto il mio balcone, una signora parcheggiata nella zona riservata ai disabili (con apposito cartellino arancione sul parabrezza) cercava di uscire per tornare a casa e mettere i suoi sofficini findus nel freezer. Ma non poteva. Una macchina con conducente ignoto, le aveva parcheggiato accanto, nella zona riservata ai disabili, non solo senza apposito cartellino ma pure storto e lei era bloccata. Io e Fabio, dall'alto, valutavamo se ci fossero possibilità di riuscire a farla uscire con un po' di manovre. La poveretta si era attaccata al clacson, ma niente da fare. Dopo un'attesa di almeno 10 minuti, arriva la coppia. Non mi sembra rilevante specificarne la nazionalità, in quanto ho precisato prima che, da una parte o dall'altra del mondo in cui vieni, se sei una merda, resti una merda! La signora, giustamente, si arrabbia e dice la sua. La moglie, una ragazza con un velo sulla testa (questo forse è specificare la nazionalità, ma ripeto che non mi sembra rilevante!), inizia a chiedere con fare arrogante quale fosse il problema, tra l'altro evidente, e le due cominciano a discutere. Il marito scende dalla macchina, dicendo alla signora "nun toca la machina...con la buca (bocca suppongo!) devi parlare...nun toca la machina!" (la macchina..un cartoccio che se gli buttavi una lavatrice sopra non faceva differenza!). La discussione avanza per un po', la signora spiega le sue ragioni, io e Fabio sosteniamo a gran voce la povera donna...e questi, senza dire nè come nè perchè, se ne vanno e la mandano pure affanculo! Il marito riparte sgassando a tutta velocità rischiando di investire un disgraziato in bicicletta che passava da lì. La signora alza gli occhi come a ringraziarci per il sostegno ricevuto, fa la tanto agoniata manovra, e se ne va. Io mi metto a riflettere. Perchè non esiste un minimo di rispetto a questo mondo?! Non solo sei uno stronzo perchè parcheggi dove non devi, ma parcheggi pure male. Non solo sei uno stronzo perchè, ci può anche stare che posteggi la macchina un attimo dove non devi, ma non chiedi neanche scusa. Sei stronzo perchè, pure avendo torto marcio, non lo ammetti e mandi pure a fare in culo la gente! Ma cos'è?! Ma cosa cazzo è?! Io non sono razzista. Sono certa che gente di questa portata colossale di ignoranza sia pure in italia, e molto spesso ne ho avuto le prove. Ma pure tu, cazzo...vieni in un paese dove dovresti un attimo integrarti, sai che ci sono anche persone che ti vorrebero dar fuoco, e visto che ci sei fai pure in modo che si incrementi questo senso razzista!? Io non lo ero e non lo sono per questo. Quello era una faccia di merda e basta. Ma una faccia di merda pure poco furba! Non mi piace. Non mi piace come ci siamo ridotti, come siamo diventati. Niente, solo questo...volevo solo dirlo.Sono quelle stronzate, quelle piccole cose che mi fanno girare i coglioni e che mi mandando in bestia!

sabato 27 agosto 2011
RACCONTO DI UN FATTO...
domenica 21 agosto 2011
IO ODIO L'ESTATE
San Giovanni in Galilea. -Foto Leanne
Che poi non è che sia proprio vero che odio l'estate. In realtà odio il caldo che porta l'estate. Lo so, lo so...sono la solita rompicoglioni che si lementa di tutto e non sopporta mai niente. Bene, chissenefrega!...io mi lamento quanto mi pare e oggi ho necessità di dire che odio il caldo! Odio il sudore che mi appiccica le mani, le gambe, che mi fa grondare anche da ferma. Odio svegliarmi al mattino e ritrovarmi con la faccia su un cuscino umido e bollente! Odio il caldo, l'apatia, la totale assenza di voglia di fare le cose. Quest'anno non ho neanche la forza di mettermi in macchina e di andare a cercare il fresco. Me ne sto qui, buona buona, sotto al ventilatore che gira le sue pale con una potenza tale da farmi venire il terrore che prima o poi si staccherà e mi decapiterà! Poi mi metto in terrazzo, sento tutto il calore che assorbono i muri, il fuoco che emana la piazza. Rimango lì, a guardare un po' oltre, a pensare un po'. A pensare che l'estate sarebbe anche bella se non fosse così calda. Che i rumori della città svaniscono tutti, che le macchine non passano più, che i negozi sono chiusi, che si sente solo, di tanto in tanto, il fruscio di due ruote di bicicletta che impavide sfidano l'asfalto ormai sciolto. I profumi...penso che mi piacciono i profumi d'estate. Quello di salsedine che mi arriva dal mare quando tira un po' di vento. Quello di grigliata dalle case vicine. Il profumo dell'erba secca che piano piano muore perchè non beve più da giorni. E il profumo dell'erba, invece, dei giardini bagnati da instancabili pompe d'acqua che girano girano senza sosta per alleviare almeno un po' il dolore di una terra muore di sete. Odio il caldo e l'estate mi piace. Odio il caldo perchè se non fosse caldo, se non mi insinuasse dentro questo desiderio di morire per non sentirlo più, d'estate farei un sacco di cose. Vorrei vedere un sacco di posti, vederli vuoti, deserti, silenziosi e assenti. Ci ho provato l'altro giorno. Ci abbiamo provato, abbiamo sfidato la pesantezza e ci siamo incamminati per vie piene di curve, coi finestrini aperti e il cappello in testa. siamo arrivati in un paesino dove non si sentiva una mosca volare. Solo il sommesso chiacciericcio di un una famiglia a pranzo, seduta ad un tavolo in ombra. Abbiamo cercato il nostro posto, tra pietre ammassate, sull'erba secca che ti punge il sedere. Abbiamo mangiato un panino e siamo rimasti in ascolto del nulla. Avete mai ascoltato il nulla? E' una sensazione che ti entra nelle ossa, allo stesso modo del caldo umido, che ti impedisce di respirare. E' ascoltare una voce dentro, è cercare di capirci qualcosa, di trovare un senso. Odio il caldo, ma l'estate no. Me la terrei ancora un po' l'estate, solo per godere di qualche temporale estivo, di quel cielo che da azzurro acceso diventa cupo, grigio, carico di nuvole, e l'umidità tuona nell'aria e lascia quella sensaziozne come se da un momento all'altro il mondo dovesse finire. Mi terrei ancora un po' l'estate, per le grida dei ragazzini che si rincorrono e giocano, per le giornate lunghe e piene di luce, per le ore notture un po' più fresche, per la frutta matura e i cetrioli con l'aceto e il sale. Voglio tenermela ancora un po' questa estate, dove di me non ho fatto nulla, dove le mattine erano sempre buone per andare a fare una camminata ma la forza non c'era. Dove non ho fatto un progetto che fosse uno e aspetterò l'inverno per maledermi, per passare ancora il mio tempo sotto le coperte perchè, a quel punto, odierò il freddo. Voglio incamerare questo caldo che odio per ricordarmene quando le mie ossa tremeranno. Voglio cercare un'armonia tra me e le stagioni. Queste stagioni che negli ultimi anni sono sempre più strane. O troppo fredde o troppo calde, che non hanno più una via di mezzo, che sono instabili e all'improvviso si stabilizzano pesantemente, che non ci capisci più niente. Voglio ritrovare quello che sono in ogni giorno, in ogni momento, col sole che spacca le pietre o col gelo che ti fa scivolare. Ecco, voglio sciovolare, via, leggera, senza pensare che mese sia, senza guardare il barometro, senza chiedermi se sopravviverò o meno. Voglio solo un po' di serenità nei giorni che passano. Voglio accettare, non odiare sempre, voglio amare, immergermi, sognare, partire, restare, cambiare, rinnovare, svecchiare. Voglio vivere.
martedì 2 agosto 2011
IL BAR DI UNA STAZIONE QUALUNQUE
Il bar della stazione della città di B. ronzava di gente.
Erano i giorni di punta dell'esodo vacanziero. Truppe valigiate e zainate riempivano e svuotavano treni, attendevano stremate dal caldo, si accampavano nelle combinazioni più teatrali, dal presepe al bivacco militare.
E soprattutto si accalcavano alla casse del bar, inseguendo glaciali lattine e rugiadose bottiglie che, una volta conquistate, reggevano alte sulla testa come ostensori, o cullavano maternamente tra le braccia. Soldati in divisa guatavano nordiche rosee, chitarre di alternativi sfioravano teleobiettivi di samurai, mamme monumentali controllavano diserzioni di prole, babbi carichi come somari tentavano, con l'ultimo dito libero, di tenere al guinzaglio un botolo scatenato dagli afrori. Pazieni ferrovieri fornivano indicazioni a suorgentesse di brigate rosarie mentre branchi di giovanetti si spostavano compatti, e le sponsorizzazioni delle magliette si confondevano con quelle degli zaini, tanto da farli sembrare un enorme polipoide pronto a scivolare dentro al treno da un unico finestrino.
Quattro africani, ognuno con boutique al seguito, cercavano di piazzare mercanzia con alterna fortuna, un quinto riposava sdraiato tra collane, giraffe e occhiali neri, come il sultano di una reggia in liquidazione.
Due vecchie vestite di nero, in transito dalle isole, tagliavano fette di provola per una nidiata di marmocchi in mutande. Un uomo obeso, sudato, beveva birra a collo e mostrava coraggiosamente al mondo due cosciotti da tirannosauro sboccianti da shorts fucsia con la scritta "Sport Line". Un barbone camminava reggendo nella mano destra una busta con la casa e nella sinistra il guardaroba.
Un'antilope bionda, bellissima, ambrata, avanzò tra i tavoli accendendo i sogni di tutti i militari presenti, ma ahimè, poco dopo la affiancò un Thor in canottiera traforata a riccioli biondi che educatamente si mise in fila troneggiando sopra brevilinei calabresi e sbarbine romagnole già rombanti in pole position per la discoteca.
Si attendeva il 9,06 in ritardo, il 9,42 speciali, il 10,00 seconda classe settore B e C. Tutti erano partenzaper o arrivoda.
Solo due clienti del bar sembravano indifferenti alla generale eccitazione, come separati dalla folla da un velo invisibile.
Uno era un vecchio occhioceruleo, con un vetusto completo kaki, bastoncino di canna e sandali con calzini di lana. L'altro un uomo tozzo coi capelli corti, occhiali a specchio, e un completo blu di una certa eleganza. Erano seduti vicino all'entrata del bar. Il vecchio, che chiameremo il Parlante, sorseggiava una birra. L'uomo con occhiali neri, che chiameremo il Silenzioso, beveva svogliatamente un caffè freddo.
Chiaramente il Parlante aveva voglia di attacare discorso e il Silenzioso no: ma in queste situazioni un Parlante è sempre in nettissimo vantaggio. Basta che parli. E così fu.
- Certo, ce n'è di gente oggi - esordì.
- Abbastanza - grugnì il Silenzioso.
- A me non dispiace, - proseguì il Parlante, per niente scoraggiato dal preventivato mugugno - voglio dire, una stazione strapiena può dare ai nervi, ma una stazione vuota è triste. E poi, non so come spiegarle, questa gente che parte per le vacanze mi sembra più allegra, frenetica, ma piena di buon uomore, non trova?
- Se lo dice lei - rispose il Silenzioso dietro la cortina degli occhiali.
- Io non parto - disse il Parlante, ormai lanciato. - Quest'estate resto in città, mia moglie ha dei problemi di cuore, e i medici ci hanno sconsigliato di muoverci, allora mi piace venire qua perchè nel mio quartiere c'è un gran mortorio, sembra tornato il coprifuoco. Qua ci sono tante facce, dei bei giovani, delle belle giovanotte abbraonzate. E la gente sembra migliore, ride di più, si chiama a alta voce, scherza. Forse perchè stanno partendo, e sperano di trovare qualcosa di buono là dove vanno. Si parte per questo, no?
- C'è anche qualcuno che sta già tornando - disse il Silenzioso.
- Si, ritornano e allora osservo quelle belle scene che mi piacciono tanto, uno scende dal vagone e guarda in fondo al binario, affretta il passo e poi riconosce la persona ceh lo aspetta, e le corre incontro. Si vedono degli abbracci che non si vedono tutti i giorni. E certi baci appassionati! E' un momento che ci si vuole bene, magari un'ora dopo si litiga ed è già tornato tutto normale. E si hanno tante cose da raccontare; magari in vacanza non è successo granché, ma raccontandolo tutto si colora, si trasfigura. Anche senza volere, la vacanza diventa più bella di come è stata: le cose brutte diventano quasi comiche, le cose belle diventano uniche. Non trova?
- Non lo so. Non racconto mai quello che mi succede in viaggio...
- Ce n'è anche di quelli come lei, che si tengono tutto dentro, come un bel segreto, da coltivare durante l'invero, come una pianta che si compra in vacanza e si mette sul balcone. E magari tornando si accorgono che gli mancava la loro vecchia città, che sentivano un po' di nostalgia. Il loro quartiere sembra meno noioso del solito. Fanno progetti, si dicono "no, questo inverno non andrà come quello scorso". Magari questi progetti si spengono in fretta, ma che importa? E quelli che partono? Si stancano più a organizzare la partenza che a lavorare una settimana, ma sembrano contenti. Perchè sperano che là, nel posto dove arriveranno, ci sarà qualcosa di nuovo, che cambierà il loro destino. O magari gli basta qualche foto da guardare nelle sere d'inverno. Che pensa?
- Penso, - disse il Silenzioso con un sorriso sarcastico - che lei dovrebbe andarci piano con quella birra.
- Parla come mia moglie, - sospirò il vecchio - ma vede, dal momento che non parto, non mi va di stare chiuso in casa a mugugnare da solo, o guardare alla televisione gli ingorghi sulle autostrade, o invidiare quelli che sono partiti. Vengo qui e faccio anch'io parte della festa, immagino dei posti al mare o in montagna, o in un'altra città, dove ci potrebbe essere qualcosa di speciale per me. Ecco, guardi quella ragazza: c'ha scritto sulla chiena "Ocean Beach". Se la guardo, già sento aria di mare e vedo le palme.
- Guardi che "Ocean Beach" è la marca dello zaino. E non sente che qua dentro manca l'aria per la ressa?
- Ha ragione - disse il Parlante. - Sì, anche a me spesso la folla dà fastidio. Divento nervoso nelle file, soffoco quando sono circondato dal traffico, mi vien da dare di matto, vorrei roteare il bastone e gridare via, via, lasciatemi un po' di spazio, due metri, tre metri almeno. E poi ci sono i rumori che ti svegliano la notte, i motorini, le facce ostili alla finestra, il nervosismo di quelli che credono di essere gli unici a patire il caldo. Sì, qualche voltra mi arrabbio, ma poi mi chiedo: vivere insieme in fondo non è questo? Difendere il proprio diritto ad avere un po' di spazio, aria, silenzio, rispetto, speranza, ma senza aver paura di ciò che ci circonda, non vedere nemici dappertutto, invasori, gente che ti passa davanti. Lei, se per strada qualcuno la urta, cosa pensa? Che l'ha fatto apposta?
-
Ma che razza di domande, - si spazientì il Silenzioso - e poi di che rispetto parla, non vede quanti barboni, quante persone inutili, miserabili, disperate, ci sono qua dentro?
- Forse ha ragione. Ma non li guardi nel momento in cui sono feriti, chini a terra, vinti. Li guardi nel momento che si tirano su, che sono allegri, che cercano di respirare. Guardi quel nero: carico come una bestia, va a vendere chissà cosa in chissà quale spiaggia, e canta. E guardi come si gode la sigaretta quella vecchiaccia. E quella coppia di ragazzi, beh. non sono proprio dei modelli di eleganza, ma vede come sono abbarbicate insieme a dormire, lì per terra...
- Sì, capisco cosa pensa - proseguì il vecchio. - Che lei è diverso, che non è affar suo occuparsene. Eppure sono sicuro che anche lei, almeno un giorno della vita, era ridotto da far pena. Ma negli ultimi tempi, in questo paese, si fa più in fretta a buttare giù la gente. Si è accorciata la data di scadenza come gli yogurt. Vecchio, alè, scaduto. Drogato, alè, non dura un mese. Disoccupato, alè, tanto finisce male. Per carità non vorrei buttarla in politica. Ma di questo passo facciamo cittadini solo quelli che tengono il ritmo del gruppo, non so se lei si intende di ciclismo, o anche peggio, quelli che marciano tutti a passo, o quelli che c'hanno i soldi da farsi portare in spalla.
- Calma, calma, - disse il Silenzioso - altrochè politica, lei mi sta facando un comizio!
- Ha ragione, sono un chiacchierone. Ma ogni giorno vedo la gente diventare cattiva per niente, odiare quella che non conosce, ripetere i tormentoni della televisione invece di dire quello che c'ha dentro. Allora mi arrabbio. E a me, glielo dico subito, se la borsa sale o scende non me ne frega niente. Io vedo se sale o scende l'avidità o la cattiveria. E sa cosa le dico? Ma che miseria, che crisi! Noi siamo un paese che potrebbe esportarla l'allegria, come le arance, aiutare gli altri paesi, potremmo essere gente che regala la speranza, invece di aver paura di tutto e montare le fotoelettriche intorno alla casa.
- Ma che discorsi sconnessi. Ci vorrà pure un po' di ordine - sbuffò il Silenzioso.
- Ha ragione, ha ragione. Sto esagerando. Volevo solo spiegarle perchè passo il mio tempo qui. Perchè penso che bisognerebbej sempre sentirsi come se si partisse il giorno dopo, o come se si fosse appena tornati. Tutto diventa più prezioso; quello che si lascia e quello che si trova. Il dolore è facile da ascoltare, quello ti arriva addosso, urla, ha una voce terribile, è sempre lui a raggiungerti. La speranza è una vocina sottile, bisogna andarla a cercare da dove viene, guardare sotto il letto per poterla ascoltare. O venire in una stazione.
- I suoi sono discorsi da pomeriggio estivo, - disse il Silenzioso consultando l'orologio, - ma mandare avanti un paese è molto più difficile.
- Ne convengo - disse il vecchio sorridendo. - Mi scusi se le ho attaccato un bottone, vedo che lei sta partendo. Beh, spero che vada in un bel posto e che passi una bella vacanza.
- Grazie - disse l'uomo, e si allontanò, fendendo deciso la calca.
- E' difficile parlare con un uomo che ha gli occhiali neri - pensò il vecchio - non si vede mai cosa pensa davvero. Forse l'ho annoiato. O forse il mio discorso lo ha toccato. Sembra che a certuni parlar di speranza metta paura. Eppure a me questa gente che parte e torna mette allegria. Sì, saran avidi, nervosi, pigri, disordinati, cialtroni, si spingono e si rubano il posto ma hanno diritto di provarci un'altra volta e ricominciare. Sì, ricominciare almeno una volta prima di rassegnarsi. Non è molto, ma è qualcosa.
Una famiglia gli passò davanti di corsa, il treno stava arrivando. Un bambino correva goffo, trascinando un triciclo rumoroso. La bimba teneva la mano sul cappello di paglia per non perderlo. Il padre aveva un gilè da pescatore a trenta tasche e naturalmente non trovava più il biglietto. La mamma lo perquisiva rimproverandolo. Il barbone, guardando la scena, rise. Il nero addormentato si svegliò sbadigliando come un leone.
Il vecchio aveva finito la birra, si asciugò la fronte e uscì, un po' barcollante, sulla pensilina del primo binario. Venendo dall'aria condizionata del bar, fu come tuffarsi nel brodo. Vide il Silenzioso ch si avviava verso l'uscita. Gli sembrò che non avesse più la valigia, ma non ci fece troppo caso. Era troppo incantato a guardare la gente. Gli sembrava di aver scoperto qualcosa, qualcosa di importante che gli sarebbe servito per quello che gli restava da vivere.
"Se avessi con me un quaderno ce lo scriveri sopra" pensò.
"Oggi, stazione di Bologna, due agosto di un anno vicino al duemila, ore dieci e venti del mattino, tutti sono allegri perchè partono, e faccio finta di partire anch'io"
Tratto da "Bar Sporto duemila" - Stefano Benni