
"Successe circa trent'anni fa prima della Grande Crisi Energetica - disse il marinaio De Leon. Ero imbarcato sulla Tintorera, l'astronave di Garcia Meza lo squalo. Il capitano, che sulla terra era stato un grande sterminatore di indios, visto che non c'erano più grandi regni da conquistare, s'era lanciato nello spazio. Aveva comprato con i frutti di anni di saccheggi questa astronave da guerra. Su di essa Garcia assaliva le astrocargo, le depredava, uccideva gli uomini e lasciava nello spazio una lunga scia di cadaveri. Gli piaceva il sangue, c'era da averne paura, era una specie di orco con baffi e barba nera, e vestiva sempre una tuta da guerra intarsiata di denti di squalo. Ogni tanto il capitano atterrava su un asteroide. Scavava dappertutto, lanciava bombe, distruggeva ogni cosa sul suo cammino alla ricerca di uranio, senza preoccuparsi di sapere se sull'asteroide c'era vita o no.
-Se un essere vivente - diceva - non ha due belle tette, o una pistola carica, non lo prendo nemmeno in considerazione. -
Un giorno, atterrammo su un asteroide vicino a Enceledus, un satellite Saturnino. Era un asteroide molto piccolo, tutto di roccia bianca, spettrale. A me toccò di uscire in ricognizione con una squadra; avevo piuttosto paura, sapete, era una delle mie prime volte. Stavamo percorrendo una zona impervia con i robocani da ricerca, quando il mio robocane alza la testae punta verso un buca nella roccia, una caverna. Entro e: beh, non credevo ai miei occhi: c'era un lago naturale dentro, bellissimo, con stalattiti altissime. Sul fondo del lago, limpidissimo, si vedevano delle stelle marine luminescenti: alcune erano bianche, altre nere, forse era la differenza di sesso, non so. Fatto sta che ce n'erano almeno duecento. Chiamai gli altri; anche il capitano arrivò, le vide ma non si mostrò per nulla impressionato.
- Sono stelle marine. E allora! Sulla terra ce n'è a migliaia, sotto al ghiaccio. Che valore possono avere? -
- Capitano - provai a dirgli - ma queste vivono su questo asteroide lontano. Forse sono diverse, potrebbero essere una grande scoperta scientifica -
- Basta! Basta! - urlò lui - Uranio, cerco, non stelline! Prendetele, forse sono buone da mangiare! - E rise sprezzantemente.
Beh, non ci crederete. Se le mangiò veramente quella bestia, e disse anche che erano proprio buone. Io, però, ne avevo nascoste una trentina in un sacco; appena fui sull'astronave le misi in una vaschetta d'acque e le nascosi. Ma un giorno il capitano fece un'ispezione e me le trovò. Mi fece dare cento frustate, ma la cosa non finì lì.
Dovete sapere che il capitano aveva una grande passione. Adorava giocare a scacchi. Era anche molto bravo, per uno di quei misteriosi legami che uniscono malvagità e genio, e nessuno, da anni, era mai riuscito a batterlo, neanche il computer di bordo. Ebbene, il capitano vide le stelline bianche e nere e decise di fare una scacchiera unica al mondo. Su ogni stellina bianca montò un pezzo bianco, e altrettanto fece con le nere. Quindi le mise su una grande scacchiera di ossa di orso, e devo dire che il risultato era veramente splendido: la luminescenza delle stelline rendeva la scacchiera magica. Ma io notai subito che le stelline, fuori dall'acqua, stavano perdendo colore e appassivano, morivano, insomma.
Una notte mi alzati dalla branda e andai di nascosto nella stanza del capitano. Mi avvicinai alla scacchiera, con l'intenzione di rubare le stelline, e nasconderle, o almeno farle rivivere un po' nell'acqua. Ma il capitano che era furbo e sospettoso, aveva munito la scacchiera di un segnale di allarme. Appena l'allarme scattò, balzò sul letto e gridò: - Maledetto mozzo! E' la tua seconda insubordinazione! Questa volta finirai a nuotare nello spazio! -
Fui messo in cella. Sapevo ormai che le mie ore erano contate. Il codice di navigazione spaziale stabiliva che il capitano Garcia aveva diritto di vita e di morte sull'equipaggio. Eppure io, quella sera, non sentivo nessun dolore per la mia sorte: non facevo che pensare alla lenta agonia di quegli esseri, ridotti a pedine della scacchiera del capitano.
Il mattino dopo, Garcia in persona venne ad aprirmi la porta della cella. Rideva, ed io sapevo che quella risata annunciava qualche nuova crudeltà.
- Caro De Leon - mi disse - sei veramente fortunato! I tuoi compagni ti vogliono bene, e hanno molto insistito perché ti dessi un'ultima possibilità. E io ho deciso di dartela, che diamine! Avrai salva la vita! A una condizione...che tu...ah, ah...mi batta a scacchi! Se io ti batto ti ucciderò nel modo che vorrò. Se sarai tu a vincere, naturalmente, tu ucciderai me: non è una gara ad armi pari? - e Garcia mi sghignazzò in faccia.
Non era una gara ad armi pari. Il capitano sapeva benissimo che io conoscevo a malapena le regole del gioco, mentre lui era un maestro. Aveva inscenato questa commedia, perchè qualche amico nell'equipaggio, aveva coraggiosamente chiesto pietà di me; con questa macabra farsa voleva riaffermare il suo potere, e deriderci. Volle infatti che tutto l'equipaggio fosse presente alla partita. Ci sedemmo di fronte alla scacchiera, ed egli, bevendo la sua solita pinta di rhum, con un sogghigno disse: - Ecco! Muovi pure per primo! Ti do un ultimo vantaggio! Ora le hai vicine le tue care stelline, sei contento? Guarda che beffa però, saranno proprio loro a portarti nella tomba! - e rise ancora.
Guardai la scacchiera, e i volti rattristati dei miei amici. Non sapevo proprio che fare. Stavo per dire su, basta con questa buffonata, mi uccida subito e facciamola finita, quando mi accorsi che una delle stelline, la pedina di regina, pulsava leggermente. Solo io potevo vederla, in quanto gli altri erano lontani dal tavolo e il capitano non aveva una buona vista. Con mio grande stupore, vide la stellina che iniziava a muoversi verso la casella che aveva davanti. Istintivamente, ne accompagnai il tragitto con la mano. Guardai, se qualcuno si fosse accorto di quello che era successo. Nessuno, tantomeno il capitano Garcia, che ruttò rumorosamente e disse: - Bene! Buona apertura! Pedina di regina! Hai mosso in fretta, ragazzo! Vuoi morire prima? - e fece la sua mossa con il nero.
Quando vidi pulsare la secondo stellina, ancora una pedina, un pensiero incredibile mi nacque in testa. Ma solo alla quarta mossa, quando la stellina di cavallo pulsò e mi indicò chiaramente con una delle sue punte di muovermi avanti a sinistra, capii cosa accadeva. Quasi svenni per l'emozione. Le stelline PENSAVANO! E non solo, ma in quei pochi giorni che erano state usate sulla scacchiera, avevano capito il gioco degli scacchi, e stavano giocando per me! Con quanta intelligenza? Molta, come capii, man mano che la partita proseguiva, dall'espressione del capitano Garcia. Dall'iniziale risata, egli era passato a un risolino preoccupato, che divenne ben presto isterico. Da buon giocatore qual era, si rendeva conto, mossa dopo mossa, che lo stavo attaccando con grandissima abilità.
Mi guardò negli occhi, con paura, quando la stellina alfiere guidò la mia mano scivolando in una posizione di attacco alla regina nera. Anche i miei amici si erano resi conto che qualcosa di strano stava accadendo, perchè li sentivo bisbigliare, e a farmi di nascosto cenni di tener duro. Il capitano cominciò a sudare, e a pensare più a lungo prima di ogni mossa. Ogni tanto scuoteva la testa, come ad allontanare il pensiero che quel giovane mozzo potesse veramente giocare come un grande maestro...no, mi pareva di leggere nel suo pensiero, no, è il caso che lo guida in una serie incredibilmente fortunata di mosse, ma primo o poi commetterà un errore da principiante qual'è.
Ma alla ventesima mossa, un attacco di regina, Garcia si rese conto che io stavo veramente giocando al suo livello. Iniziò a tremare: non riusciva a capire. Impallidì, mentre gli mangiavo alfiere e torre. Le stelline, implacabili, lo attaccavano da ogni parte. Alla trentaseiesima mossa, si accorse che era quasi perduto. Mi guardava con terrore: capivo che più che la sconfitta e la probabile morte imminente, una domanda lo rodeva: cosa sta succedendo? Come hai fatto a vincermi? Dove ho sbagliato? A quel punto, decisi di mostrarli la verità. La stellina di regina pulsò. Io non la toccai. Si spostò da sola, percorse due caselle, si fermò. Era uno strepitoso scacco matto di regina, cavallo e torre, una mossa da maestro.
Il capitano Garcia impallidì. Capì subito. Si alzò di colpo dalla scacchiera. Guardò ancora la stellina. Con un urlo, fuggì nella sua cabina. Pochi istanti dopo sentimmo il colpo. S'era sparato. Così finì il terribile capitano Garcia. Le stelline, rimaste troppo a lungo fuori dal loro elemento naturale, morirono tutte durante la notte. Non prima, però, di avere salvato la vita dell'unica persona che le aveva trattate umanamente. Perchèè umane erano, se questo aggettivo ha qualche valore, di questi tempi"
Tratto da : "Terra" - Stefano Benni