“Pavana è un ricordo lasciato tra i castagni dell'Appennino”.
A volte bisogna accontentarsi. E' necessario che ci si renda conto che non si deve esagerare, che ogni cosa che ci viene data è un regalo e non possiamo sempre pretendere di più. Ho stretto la mano al maestro, due volte. E questo non mi è bastato. Avrei voluto parlare un po' con lui, avrei voluto ritrovarmi in una serata goliardica insieme a lui, alla sua chitarra e alle sue canzoni. E ci è mancato poco. Forse è proprio per questo che non mi era bastato bussare alla sua porta, quasi entrare in casa sua, trattenuta da Fabio che mi faceva presente che anche se la porta era aperta, era una proprietà privata e la violazione di domicilio è un reato. Non mi era bastato dirgli con gli occhi lucidi e le gambe che mi tremavano “Maestro, siamo venuti a disturbarla”...”Ditemi” ha proferito con la sua voce cavernosa ma bonaria. “Niente, volevamo ringraziarla”....poi devo aver detto di tutto tranne qualcosa di intelligente e interessante...tanto che il telefono di casa sua ha suonato. In realtà abbiamo il sospetto che nella tasca dei pantaloni tenga un telecomando che faccia suonare il telefono a suo piacimento per liberarsi dei rompicoglioni. Comunque una foto con la sua mole appoggiata sulla mia spalla. Un “ragazzi, adesso devo andare perchè stavo scrivendo” e la speranza di trovare qualcosa di suo e di nuovo a brave da ascoltare. E siamo andati via. Io non mi tenevo più, mentre attraversavamo il portone verde passando per la stradina ghiaiata pensavo che sarei potuta anche morire che tanto nella mia vita avevo fatto tutto quello che volevo fare. “ho stretto la mano al maestro...due volte” continuavo a ripetere tra risolini isterici mentre passavamo da un ciglio all'altro della Porrettana.
Per tutto il pomeriggio, non ho fatto altro che sperare che in questi giorni si presentasse al Mulino di Chicon dove eravamo alloggiati. Visto che lui e i proprietari sono parenti, visto che in quel Mulino lui ci è cresciuto, avrebbe potuto benissimo fare un giro in quei giorni. Ma si sa, io sono una che con la fantasia viaggia fortissimo, e quella speranza la avevo accantonata mentre mi stavo vestendo per scendere a valle ed andare a cena. Dopo aver mangiato in uno dei più squallidi ristoranti di tutta Italia, siamo tornati verso la nostra dimora...e ci siamo accorti di un discreto numero di auto parcheggiate nel vialetto. Appena scesa dalla macchina, ho guardato verso le finestre della cucina del Mulino. E non potevo credere ai miei occhi...il Maestro era li, vestito come il pomeriggio, con il suo maglioncino rosso e la camicia azzurra. Ho iniziato a saltare e ho cominciato a pensare che non sono poi così fantasiosa come credevo. Cercavo espedienti per entrare, ma non mi sembrava educato disturbare una cena intima come quella. Ho pensato che avrei potuto inventarmi qualcosa, una bomba, lo scoppio della caldaia. Ma alla fine non ho fatto altro che uscire ogni mezz'ora per controllare se avessero finito di mangiare. In cuor mio speravo si mettessero a cantare, così mi sarei aggregata al coro e via andare. Ma non è successo. Nascosta dietro alle tende della nostra camera ho visto il Maestro scendere per la stradina insieme alla sua compagna e ad alcuni amici. Avrei potuto salutarlo, avrei potuto fermarlo. Ma non l'ho fatto. Non l'ho fatto perchè appunto ci si deve accontentare. La mia dose l'avevo già avuta. Il mio giorno magico, la mia illuminazione c'era già stata, se pur breve, e non potevo chiedere altro. Mi sono limitata a guardare la sua schiena andarsene e a sentire Fabio che continuava a dire che alla fine è una persona come tutte le altre. Si, è vero, è una persona come tutte le altre, una persona che non si rende conto di quanto possa smuovere gli animi della gente. Non si rende conto dei brividi che le sue parole provocano. Nella sua umiltà, nella sua immensa modestia, lui vive bene. E se è una persona così è anche merito dei luoghi in cui è cresciuto. Perchè qui, in questo post, non c'è solo Guccini. Ma c'è anche Pavana. Perchè Pavana è un posto che si conosce solo perchè ne parla lui, ma è uno di quei luoghi che dovrebbero essere visti. Pavana è questo paesino che è diventato comune da qualche mese. Piccolo, piccolissimo, poche case, un cimitero, una chiesa (ovviamente chiusa. Io non lo so, ma tutte le chiese in cui vorrei entrare, hanno questa cosa dell'essere sempre chiuse quando vado io). Però Pavana è divisa in due. C'è quella di sopra, più moderna, con un paio di strade in cui si passa anche in macchina, e Pavana di sotto. Un agglomerato di casupole arrancate in salita, con viottoli acciottolati e bambini che corrono giù per le scarpate. Pavana per me è il rumore del Limentra che scorre vicino al Mulino, il verso dei cinghiali nel cuore della notte. Pavana sono quattro cuccioli di gatto che hanno giocato con me sulle scalinate, vicino a un portone verde. Pavana è un'anziana signora che si è affacciata da un cancello e ci ha fatti entrare nel suo giardino perchè vedessimo la sua tartaruga e poi in casa per mostrarci i quadri di suo figlio pittore. Pavana è un profumo che non sentivo più da anni, un retrogusto di uva matura e miele di acacia. E' l'autunno che si intravede nel giallo delle foglie che oscillano e cadono portate dal vento. E' una diga in mezzo all'Appennino. Pavana è il mascarpone delizioso della Caciosteria. E' la gentilezza e la semplicità di Silvano e Maria Rosa. E' un sentiero segnato, uno zaino sulle spalle (di fabio), e la sensazione di essere arrivati in un posto giusto. Pavana è il nulla. E' il silenzio dei pensieri. E' il cane della casa all'angolo che abbaia ma non irrita. Pavana è divisa da una strada trafficata eppure è come se quella strada non esistesse. E' un paese fantasma, che si perde nella nebbia di novembre. E' una malinconia che ci si porta dentro. E' la sostanza delle piccole cose, dei sentimenti puri. Pavana è un ricordo che mi porterò dentro per sempre. E' un posto sicuro, un angolo di sospiri e giorni che passano senza cambiare nulla.


















