mercoledì 26 aprile 2017

DIMMI CHE

Mi sono spostata dalla piazza e ho trovato un angolo di sole su un muretto. Questo è uno dei posti che preferisco. Qui, qualche settimana fa, ti ho fatto una foto. Strano. In realtà, quando oggi ho cominciato a scrivere, non avevo neanche lontanamente pensato di parlare di te. Volevo riflettere su tutta la confusione dell'ultimo periodo, sui miei remi tirati in barca per le poche energie che non ho per tenere i piedi in semi-relazioni inutili e dannose. E invece no. Mi ritrovo in questo vicolo di scale sanpietrini, seduta su di un muretto freddo, con la gente che passa e non sta zitta un secondo, come se non avesse mai visto niente e penso che qui, un giorno, ti ho scattato una foto. Foto che tu non volevi farti fare, e ti nascondevi con la mano la faccia e gli occhi. Osservo la gente che passa, i cani, aspetto che arrivi un gatto, cerco di distrarmi..ma niente. Torni tu. Un momento...aspetto te o aspetto un gatto? Ma sono sicura di quello che sto pensando? Magari è un'elucubrazione viziata dalla tristezza di questa giornata un po' amara, dal telefono che non suona, dalle promesse che ho fatto a me stessa. Sono certa di ciò che penso? Rifletto...ho un intero quaderno vuoto da riempire e non è certo il tempo che mi manca oggi. Siamo io, me, il quaderno e la penna. Imprimere sulla carta un pensiero è renderlo concreto. E adesso io ne ho bisogno. (Cosa vuole questo tizio con il codino sulla testa e i risvoltini? Non hai mai visto una ragazza seduta che scrive in un giorno di primavera??) (Dio...dimmi che i passi che sento sono i tuoi. Dimmi che oggi passerai di qui. Dimmi che ti fermerai, che mi butterai le braccia al collo e che ti stupirai di vedermi.) Dimmi...perché sono a casa tua, perché piango. Dammi un bacio e poi vediamo com'è. Portami ancora a prendere un caffè e invece poi beviamo due analcolici. Beviamo tutto il succo di mirtillo che vuoi...ti prometto che lo berrò anche io. Dimmi...dimmi di quella storia che potremmo raccontare insieme, tu con le parole, io con gli scatti. Dimmi dove vanno tutte queste persone. Dove vado io. Prendimi la mano e dimmi che ho sbagliato. Oppure no. Dimmi che è solo un caso se ho appena letto una frase che diceva: "Dimmi a che ora e dove possiamo incontrarci per caso".  Dimmi che è questa l'ora. Dimmi che è questo il luogo. Dimmi che anche tu, ogni volta che passi di qui, pensi che è il posto dove io ti ho scattato una foto a tradimento. Dimmi che sono vere quelle storie di persone che si conoscevano da anni e non si sono più viste e poi, quando si sono rincontrate, si sono innamorate. E ora vivono felici e contente. Dimmi...che anche se non me lo dici, mi cerchi anche tu e che ti sembra di vedermi in mezzo a tutta questa gente che pascola in mezzo alla magica storia di questo posto. Dimmelo...che, a differenza di tutti quelli che passano e mi guardano e che io fingo di non vedere, e che mi credono una pazza, e fuggono dal mio raggio, come se fossi contagiosa, dimmelo, che se mi vedessi qui, impegnata a scrivere, a te piacerebbe e non farebbe paura. Dimmelo. Perché io non farò nulla, perché ho deciso che non rischio, perché questa volta ho detto basta e non chiederò più niente. Dimmelo. Tra poco scenderò dal paese vecchio, tornerò alla piazza, prenderò un gelato e poi rincaserò. Non prima di aver ascoltato ancora una volta i rintocchi metallici delle campane. Non prima di avere origliato i discorsi dei passanti e fatto smorfie o sorrisi a seconda delle loro idiozie. Allora dimmelo. Dimmelo se sono nel posto giusto, all'ora giusta, per una volta nella vita. Se ho capito qualcosa di te...e forse anche di me. Dimmelo se anche questa domani passerà, come tutte le altre volte, e rimarrà solo l'impressione di un momento. Dimmelo che non  posso saltare al collo di questa gente che mi distrae i pensieri e mi scatta foto come se fossi un'attrazione del paese. Dimmelo che tutto questo tempo e questo crampo alla mano e il male al polso non sono stati vani, Dimmi che tutte queste persone che hanno rischiato di scivolare da queste scale, che le loro voci, i loro sguardi, sono serviti a qualcosa. Dimmi...che queste nuvole a pecorella che macchiano un cielo di un blu che è spaventosamente bello e il verde degli alberi contrasta in armonia tutto il contorno...dimmelo...che lo stai vedendo anche a tu e che lo senti questo cinguettare insistente di passeri o chissà quale altro animale con le ali. Dimmelo che la poesia che impregna tutti questi mattoni non può essere solo mia...se non è anche la tua. 

lunedì 27 febbraio 2017

CIO' CHE NON C'E'....SI INVENTA

Qualche giorno fa, parlando con un mio conoscente, si era entrati nel discorso dei tempi in cui "Se qualcosa si rompeva, si sistemava. Se qualcosa non c'era, si inventava. Se qualcosa c'era, ma costava troppo, si costruiva". Sull'onda di questo discorso, così, mi sono tornate in mente tutte quelle cose che faceva mio padre quando io ero piccola. Volevo la casa per le Barbie. Cioè...io avrei voluto la casa originale, veramente...tipo quella con l'ascensore...ma ricordo benissimo e con una gran nostalgia quella che assemblò Rino. Prese un vecchio mobiletto con le rotelle, mia mamma disegnò un orologio e delle piante da attaccare alle pareti, levigarono gli sportelli con la carta vetrata, tinteggiarono le ante, piantarono un paio di chiodi per rimettere insieme i pezzi. Alla fine io non avevo la casa di Barbie...ma avevo un condominio con le ruote. E dentro c'era un letto a castello, spazioso, di legno grezzo ma rifinito benissimo, un pezzo di spugna per il materasso. Io non credo che le mie amiche abbiano mai avuto un letto a castello così!
Un giorno mi costruì una culla per le bambole. Era talmente fatta bene e grande che ci stava anche mia sorella di un anno dentro! No! Non le hanno avute tutti delle cose così.
Bastavano una scatola da scarpe e un pezzo di compensato per fare un appartamento soppalcato con scaletta in legno per giocare con gli ippopotami e le tartarughe degli ovini kinder. Da un uovo di pasqua avevo rimediato un divanetto e un caminetto che aveva una lucina che si accendeva per emulare il fuoco. Ed ecco un loft di tutto rispetto e anche di un certo qual stile!
Se non c'era si inventava. Se c'era ma costava troppo, si costruiva. Se si rompeva, si riparava.
La lavatrice di legno che funzionava davvero, la ruota della fortuna...e la mia casina! Il mio angolo al riparo dal mondo. Una casa vera, con un tavolino, la finestra, le tende, due scalini...e la porta con il lucchetto.
Se non c'era, si costruiva. Io ho avuto fortuna. Ho avuto una madre fantasiosa e un padre artigiano. Non aveva fatto scuole alte, anzi, aveva appena la terza elementare, eppure prendeva le misure con precisione millimetrica e trasformava il legno in ogni cosa.
Ho pensato che ogni bambino dovrebbe crescere come siamo cresciuti io e questa persona. Ho pensato che dovrebbe essere un diritto costituzionale quello di avere un padre e una madre (ma anche solo un padre, o anche solo una madre, o due madri, o due padri) che costruiscano quello che non c'è o non si può. Ho pensato che si dovrebbe fare insieme, che si dovrebbe riparare tutto quello che si rompe, che con il materiale a disposizione si possa fare ciò che si vuole.
Ho pensato che l'arte nasce dalla necessità. Ho pensato che non siamo più poetici. Che non sappiamo più incollare niente. Ho pensato che dovremmo imparare a fare la stessa cosa con la vita. A costruire quello che non c'è, quello che manca, quello di cui abbiamo bisogno. Che se rompiamo qualcosa dobbiamo incollarlo e ripararlo al meglio. Che servono colla, chiodi, legno, ferro, baci, carezze, parole.

venerdì 30 dicembre 2016

QUELLO CHE HO IMPARATO DAL 2016

Non amo fare i bilanci. Bilanciare vuol dire mettere su due piatti diversi cose buone e cose brutte. Se dovessi fare un bilancio, vorrebbe dire che dovrei tirare fuori anche le cose che di questo anno non mi sono piaciute. E non ne ho voglia. In realtà le ho messe in un cassetto, perché non mi piace buttare nulla, conservo sempre tutto. Questo non vuol dire, però, che non mi abbiano insegnato qualcosa. Quindi ecco…parlerò di quello che ho imparato, nel bene o nel male. Di quello che ogni esperienza, negativa o positiva che sia, mi ha lasciato, qualcosa, una traccia, un ennesimo bigliettino della caccia al tesoro che ci offre la vita. Ma che cos’è questo tesoro? E’ un obiettivo che ci poniamo? Un programma che ci diamo? Un’ambizione, un punto di arrivo? Quello che ho imparato da questo anno che sta finendo, è proprio che non ho nessuna intenzione di cercare niente, di darmi una meta, un limite, un “sono riuscita”. Il bello di questa vita è che non si smette davvero mai di trovare stimoli, cose nuove, persone nuove. La vita è evoluzione. Non voglio arrivare da qualche parte e non ci voglio arrivare in uno stato preciso…voglio solo andare, seguire la strada che più mi piace e continuare su quella finché non ne incrocerò una migliore, più appagante, temporaneamente. La vita è tempo. E’ tempo che passa e non lo stringi più, scivola come l’acqua di una sorgente. Sorge. Ogni giorno. E si rinnova, continuamente. Voglio un obiettivo solo se mi serve per la macchina fotografica. Tutto il resto è pretesa che non mi interessa avere. Tengo quello che ho e mi piace. Lascio quello che ho e non mi piace. Questo. Ho imparato questo. Ho imparato che non è vero “Mai una gioia”…come ho ripetuto tante volte, scherzando, in questi mesi. Mai una gioia? Penso che la vita sia fatta di gioie ogni giorno…dall’alzarsi dal letto, scoprire che abbiamo ancora quattro arti funzionanti, che respiriamo. Il caffè che ti scorre bollente giù nell’esofago, fino allo stomaco e ti sveglia all’alba. I passi che camminiamo per arrivare alla macchina, quelli dalla macchina all’ufficio, i gatti, le persone che incontriamo lungo il tragitto. Un necrologio dove ancora, grazie al cielo, il nostro nome non c’è! Una gioia…ogni giorno. Mille e mille piccolissime gioie di cui non ci rendiamo conto che affollano le nostre ore, i nostri attimi. Momenti così minuscoli che non riusciamo neanche a percepire. Ho imparato a concentrarmi su quelli. Sul sorriso che mi rivolge un bimbo che passa tenendo la mano a suo nonno, le canzoni cantate a squarciagola in macchina da sola o con gli amici. I luoghi. Dio…i luoghi. Ogni prato che ho calpestato, ogni pietra che ho toccato, fosse anche di un palazzo in costruzione. I corridoi dei castelli. La nebbia fittissima al mattino che poi diventava solo foschia e il sole inizia a far brillare la brina. Il freddo che ti punge le ossa. Il sole che ti brucia la pelle. I chilometri nel nulla. I chilometri in centri abitati. Le bestemmie alle 8 di mattina per il vecchietto davanti a me che fa i 20…e poi ridere di quanto sono stronza. Parlare da sola. Parlare con me come se fosse un’altra persona a farmi ragionare, a darmi consigli…che comunque non ascolto. La voglia di piangere e non riuscire a farlo perché in realtà non ne ho motivo. Le colazioni della domenica alle 9.30 che ti chiedi che diavolo di colpa devi espiare per alzarti così presto in un giorno di festa…ma sai che c’è un piacere più grande oltre alla pasta e al cappuccio ed è il motivo per cui lo fai. Le risate a teatro. Le persone nuove incontrate. Da ognuna di queste ho imparato qualcosa. Mai una gioia? Mille piccole gioie…ogni giorno. In messaggio che volevo arrivasse e non è arrivato, mille gioie nel saperlo perso per sempre, nel rendermi conto che queste piccole gioie di ogni giorno io non le avrei mica avute se lui ci fosse stato. E me le prendo tutte. Mi prendo i miei amici maschi. Ho imparato che l’amicizia, pura, semplice, senza sesso (ahem…non sempre…) può esistere tra un uomo e una donna. E io ho i miei amici maschi. Tanti amici maschi che, a modo loro, di certo mi vogliono più bene di quanto lui non avrebbe fatto. Io mi sarei persa tutto questo. Capite? Io avrei rinunciato a giorni di fotografie in giro per l’Italia, a serate infrasettimanali di cinema semi vuoti. A pizze. A notti passate a leggere. A pomeriggi passati a dormire. A panini del Panino Loco. A concerti. A pomeriggi in piscina. A sogni. Quindi no…mai una gioia? No. Non è verso, sarei falsa se dicessi che non ho avuto una gioia. E’ il peso che diamo alla felicità che ne cambia la prospettiva. E’ sapere che a puntare troppo in alto si finisce per cadere. Io non voglio puntare. Non mi interessa. Cammino. Continuo. Cerco di arrabbiarmi meno,  cerco di fare del mondo un posto migliore partendo dai piccoli gesti, da una gentilezza che non mi spetta, ma che neanche mi pesa. Cerco di vivere a costo zero (Zalando e Amazon non c’entrano in questo caso!)…a costo zero di ansia, intendo, a costo zero di rabbia, di astio, di cattiveria. Ho detto cerco. Non ho detto riesco. Ci provo. Cerco di pensare che sorridere faccia meno male di gridare. Che piangere faccia bene se è un’emozione che preme a chiedercelo. Che parlare sia una delle più belle terapie di questo mondo. Che la pace si trovi in se stessi e non altrove. Che il silenzio è fondamentale. Che le voci fanno la differenza. Che in questo posto esistono persone bellissime…e molte di queste sono capitate a me.
Questo è quello che ho imparato da questo anno. Dal 2016 ho imparato il significato della parola “Serenità”.

lunedì 21 novembre 2016

IL DRAMMA DI NOI ALTI

Pertiche. Giandoni. Sandroni. Pali della luce. Ci chiamano in tutti i modi che ricordino qualcosa di enorme, di gigante. Perché dire ad una persona che è bassa è un'offesa, mentre chiedere ad una persona "Ma quanto sei alta??" dovrebbe apparire come un complimento? Credete davvero che noi alti siamo così contenti della nostra statura? Credete davvero al detto "Altezza mezza bellezza"??...Balle! Intanto conosco gente alta che comunque risulta cessa. Non abbiamo scelto noi di avere gambe lunghe, braccia lunghe e piedi lunghi. Ci siamo nati. Esattamente come i bassi. Che poi...chi stabilisce dopo quanto centimetri si è considerati alti e fino a quanti centimetri si è bassi? Mah. Certo, essere alti ha i suoi vantaggi...ai concerti, ad esempio. O quando devi riporre le coperte nella parte alta degli armadi, prendere barattoli dagli scaffali, cambiare lampadine, spolverare. Ma, secondo voi, la nostra vita è davvero così facile? Vi spiego cosa voglia dire essere una donna alta...una volta per tutte. E, come premessa, e come promessa, da domani, a tutti quelli che mi chiederanno "Ma quanto sei alta?" dico che risponderò con un bel "E tu? Quanto sei basso?"...per la parità. Io sono per la parità! Noi alti ci sentiamo sempre di troppo. Sappiamo di occupare molto spazio. Abbiamo arti che non sempre sono gestibili, soprattutto se siamo alti gesticolanti. Io una volta, a causa delle mie braccia lunghe, devo aver rotto inavvertitamente il naso ad una ragazza. Non scherzo. Dobbiamo contenerci. Farci stretti. Oppure cercare di vivere in spazi larghi. La mia apertura alare è molto ampia. Al cinema, a teatro...avete mai notato che stiamo con il sedere sempre sull'orlo della sedia e le gambe appoggiate con le ginocchia al seggiolino davanti? Vi siete mai chiesti il perché? Abbiamo l'ansia di dare fastidio, di impedirvi la visuale. Viviamo con la paura di dare noia. La natura ci ha forniti, per nostra disgrazia, di svariati centimetri in più rispetto ai vostri e noi non facciamo altro che sentirci in colpa! Quando parlate con noi, non siete voi che vi alzate sulla punte dei piedi per far sì che vi sentiamo meglio. NO! Siamo noi a doverci piegare. Viviamo con la schiena ricurva, la scogliosi latente, la gobba pur di non farvi sentire inferiori. Vi guardiamo dall'alto al basso mica perché vogliamo fare i fighi! Non abbiamo altra possibilità! Ci siamo deformati le ossa per fare un favore a voi. Noi donne, poi! Sfiderei chiunque ad essere una donna alta! Sapete quanta forza di volontà ci vuole? Sapete cosa voglia dire vedere un bellissimo paio di scarpe con il tacco 12 e dover desistere perché rischiamo di cadere e morire da due metri di altezza? Avvisare le amiche prima di uscire dicendo loro che ci siamo messe un tacco 5 e sentirsi sempre ripetere "Ma dove vuoi arrivare?"...Da nessuna parte! Non voglio arrivare da nessuna parte. Non riesco neanche a lavarmi i denti nel lavandino senza dovermi mettere a novanta gradi! Bello, vero?! Esaltante. Noi alti ci dobbiamo fare allungare i pantaloni! O farceli fare su misura. Srotolare l'orlo fino all'ultimo millimetro possibile per non avere sempre l'acqua in casa. Le maniche delle maglie non arrivano mai a coprire tutto il polso delle nostre braccia. Per noi donne, poi, il dramma peggiore è quello di trovare un uomo che sia alla nostra altezza! Già di uomini alti sopra al metro e 80 ce ne sono pochi e, come se non bastasse, quelli che lo superano, nel 90% dei casi, sono già stati presi da donne basse! Lasciateli a noi, porca puttana!! Cosa ve ne fate di uno alto due metri?!?! Io non me li posso mica mettere in tasca i fidanzati!
Insomma...dite quello che volete. Capisco l'invidia. Ma cosa abbiamo mai da invidiare? Quando vediamo quelle belle donnine piccoline, che stanno ovunque, che non hanno problemi di numero di scarpe (noi alte sul metro e 80 abbiamo il 42...cercate, cercate pure nei negozi se hanno il numero 42 di quelle belle scarpine che vi mettete voi!), che sono così graziose nella loro piccola statura. Aggraziate nel movimenti, che non devono aver paura di muoversi. Volete essere alte? Arrotolatevi i jeans, fate il risvolto alle maniche del maglione e mettetevi nei miei panni...poi ne riparliamo!

lunedì 18 luglio 2016

IO DICO SOLO LA VERITA'

La gente che mi conosce e mi segue sul social, quando mi incontra per strada, mi chiede come sto. E non è una domanda di circostanza, la solita, intendo. No. E' una richiesta, come a sapere "Ma quel tizio ti ha proprio distrutta...come stai?" E mi guardano con occhi compassionevoli, come a dire che l'amore ti ammazza proprio (che volendo potrebbe anche essere vero, per dire). Però, ecco, io non sto passando niente di diverso che non abbia passato nessuno prima di me o che io non abbia già passato...in passato. C'è solo una differenza. Io lo esterno. E non mi importa di apparire ridicola, patetica e fragile. Lo esterno perché ho imparato che nella vita non si deve tacere niente, neanche il dolore. E, credetemi, non è tutto questo dolore...è solo una fase di passaggio, un passaggio molto lungo, a quanto pare, ma necessario. Ci riderò un giorno. Come ho già fatto altre volte. O impazzirò. Ma non importa. La verità è che nulla importa. Ma insomma, guardatemi, non è che stia morendo. Sono solo un po' triste. Ma mi alzo dal letto, cammino, lavoro, faccio le mie mille cose tutti i giorni, ho sempre le mie passioni, la mia normalissima vita. Ho solo un pezzo di cuore in meno. Ma non è un problema, visto che mi pare funzionare ancora. Sono così messa male? Solo perché lo dico? Sì, cazzo, lo dico. Non mi vergogno a mostrare le mie debolezze, come, allo stesso tempo, non mi vergogno a mostrare i miei punti di forza. Cosa devo nascondere? E, soprattutto, perché dovrei? Fare finta di niente non mi è congeniale, a dirla tutta, quando mi diverto mi diverto, non sono sempre lì a crogiolarmi nel male. E' solo una cosa di cui mi costringo a prendere atto. E sfogarmi è il metodo migliore che io conosca. Ma tranquilli...non ho intenzione di tagliarmi le vene, non ne ho proprio motivo. Non cadrò di certo nella depressione per questo. Sono sopravvissuta a peggio. I problemi della vita sono altri. E l'amore, beh, l'amore è una cosa che nessuno sa cosa sia veramente. Quindi non è neanche un problema. E' solo uno stato. Ecco. Il mio stato adesso è questo. Fortunatamente altalenante da momenti di euforia e serenità. Quindi sì, sto bene. E lo dico in tutta onestà. Sto bene. Ho solo qualche ferita. Ma guariranno tutte. Lo so. Lo so e basta.

domenica 10 aprile 2016

IN TUTTA ONESTA' E FRANCHEZZA

Ma noi, dico io e te, a parere tuo, ci siamo detti tutto quello che avremmo voluto e dovuto dirci? oppure non lo abbiamo mai fatto? No perché, per dire, se tu adesso fossi qui, pensavo, mi piacerebbe fare un gioco con te. Tipo che a turno, uno alla volta, prima io e poi tu, ma puoi anche cominciare tu, se preferisci, ci diciamo queste cose, no? Così, un gioco stupido. Che dopo possiamo anche ridere o piangere, urlare, arrabbiarci, far valere le nostre ragioni, nel caso ne avessimo. E se proprio dobbiamo fare qualcosa, potremmo ammazzarci di baci e morsi o prenderci a schiaffi, se proprio non ne possiamo fare a meno. Che se sto seduta sopra di te, faccia a faccia, occhi negli occhi, io non posso sentirmi dare della stronza così, senza un motivo vero, almeno in quel momento. Perché ti sto solo guardando gli occhi e tu stai guardando i miei e so di non aver fatto niente in quel preciso istante. Eppure mi dici "stronza". Certo, lo so che lo sono. Per dio se lo so! Ma adesso no. Adesso ti sto solo offrendo il collo e mordicchiando un orecchio. Sono stronza per questo? Stronza perché ti guardo fisso e non ho paura? Stronza perché mi sono messa il profumo che so che ti piace? Stronza perché tutte le volte vado via dicendo che non tornerò  invece torno sempre? Stronza perché torno e non dovrei tornare? Tornare dove? Tornare da dove? Stronza perché ti voglio così tanto che cado in trappole che neanche tendi...anzi, non hai proprio bisogno di tendere nessuna trappola, sei tu l'esca stessa. Stronza per chi? Per te? O per me? Stronza perché ogni volta mi racconto la favola della storia che cambia? Perché ogni volta voglio illudermi che sia diverso? Stronza perché ho ancora qualcosa che mi tiene legata a te? Oppure perché non lo so cosa mi tenga legata a te? Stronza perché impazzisco? Stronza perché mi manchi? Diciamoci le cose che non ci siamo detti. Diciamoci perché siamo stronzi, perché non vogliamo e cosa vogliamo. Diciamoci cosa siamo. Diciamoci cosa vogliamo essere, una buona volta. Una volta che sia quella buona, quella vera, senza occlusioni, senza omissioni, in sincerità e franchezza. Buttiamo sul tavolo le carte, togliamoci ste cazzo di maschere, una buona volta. La volta buona. Una volta che valga per tutti i silenzi e per tutte quelle volte che abbiamo messo una faccina sorridente ad un messaggio quando magari non ridevamo affatto. Diciamoci le volte che  ci siamo pensati e non ce lo siamo detti, diciamoci le volte che camminando, in posti anche lontani, ci siamo visti ma non eravamo noi, e tutte le volte che abbiamo avuto voglia di chiamarci ma non lo abbiamo fatto. Raccontiamoci le paure, raccontiamoci cosa ci spaventa. Alziamo la voce, se proprio ne abbiamo bisogno, facciamoci del male se può servire ad andare via, una volta per tutte. Una bona volta. La volta buona. Ma smettiamo di tacere, e di fingere che sia tutto a posto. Non lo è. Forse per te, magari. Per me no. Non è tutto a posto. Voglio le parole. Voglio la verità. Voglio sapere perché non mi vuoi. E se puoi, perché io invece  sì.

sabato 12 marzo 2016

CANCELLANDOTI

Sai, l'altra notte, mentre mi avvolgevi gli incubi, mi sono svegliata e ho dovuto cercare un modo per eliminarti....ho pensato, magari, ci fosse una tecnica, una strategia, per farti andare via da questa testa che non dorme più, che non ragiona più, che non ne vuole sapere di arrendersi e di lasciarti andare. Allora ho provato a visualizzarti. Ho visualizzato un'immagine neutra di te. Non nudo, che immaginarti nudo non mi faceva venire voglia di cancellarti. Vestito. Ma non con la felpa verde scuro, quella col cappuccio...che quella felpa mi fa impazzire solo a pensarla e mi sa di abbracci caldi. E con poca barba, giusto un'ombra, perché eliminare la tua barba, per me, sarebbe come eliminare una parte di me. Insomma, ti ho visualizzato così, dicevo, neutro, a figura intera, proprio naturale. E poi ho dovuto visualizzare anche una grande gomma. Piano, piano, partendo dai piedi, ho cominciato a cancellare parti di te. Le dita. Le mani. Un polpaccio...piano piano, come se non volessi sgualcire il foglio immaginario. Un foglio che conteneva tutto te. Sai quanto è difficile dimenticare quando sai che devi farlo ma non vuoi farlo? Sai quanto costa fatica e costanza sentire le mancanze, le assenze e non poterle riempire? Lo sai? Lo so che lo sai. Ma non è colpa tua. Non è neanche colpa mia. Ci provo, lo giuro. Da quella sera, ogni notte, prima di addormentarmi, io prendo la gomma e comincio a strisciarla su di te, sulle tue labbra, sulla tua faccia, sulla pelle, sulle braccia. Ma restano gli aloni, restano le pieghe, resta il segno della matita, troppo marcato, troppo spinto, troppo e basta. Sai cosa vuol dire? Lo sai? No...forse non lo sai.