Mi sono spostata dalla piazza e ho trovato un angolo di sole su un muretto. Questo è uno dei posti che preferisco. Qui, qualche settimana fa, ti ho fatto una foto. Strano. In realtà, quando oggi ho cominciato a scrivere, non avevo neanche lontanamente pensato di parlare di te. Volevo riflettere su tutta la confusione dell'ultimo periodo, sui miei remi tirati in barca per le poche energie che non ho per tenere i piedi in semi-relazioni inutili e dannose. E invece no. Mi ritrovo in questo vicolo di scale sanpietrini, seduta su di un muretto freddo, con la gente che passa e non sta zitta un secondo, come se non avesse mai visto niente e penso che qui, un giorno, ti ho scattato una foto. Foto che tu non volevi farti fare, e ti nascondevi con la mano la faccia e gli occhi. Osservo la gente che passa, i cani, aspetto che arrivi un gatto, cerco di distrarmi..ma niente. Torni tu. Un momento...aspetto te o aspetto un gatto? Ma sono sicura di quello che sto pensando? Magari è un'elucubrazione viziata dalla tristezza di questa giornata un po' amara, dal telefono che non suona, dalle promesse che ho fatto a me stessa. Sono certa di ciò che penso? Rifletto...ho un intero quaderno vuoto da riempire e non è certo il tempo che mi manca oggi. Siamo io, me, il quaderno e la penna. Imprimere sulla carta un pensiero è renderlo concreto. E adesso io ne ho bisogno. (Cosa vuole questo tizio con il codino sulla testa e i risvoltini? Non hai mai visto una ragazza seduta che scrive in un giorno di primavera??) (Dio...dimmi che i passi che sento sono i tuoi. Dimmi che oggi passerai di qui. Dimmi che ti fermerai, che mi butterai le braccia al collo e che ti stupirai di vedermi.) Dimmi...perché sono a casa tua, perché piango. Dammi un bacio e poi vediamo com'è. Portami ancora a prendere un caffè e invece poi beviamo due analcolici. Beviamo tutto il succo di mirtillo che vuoi...ti prometto che lo berrò anche io. Dimmi...dimmi di quella storia che potremmo raccontare insieme, tu con le parole, io con gli scatti. Dimmi dove vanno tutte queste persone. Dove vado io. Prendimi la mano e dimmi che ho sbagliato. Oppure no. Dimmi che è solo un caso se ho appena letto una frase che diceva: "Dimmi a che ora e dove possiamo incontrarci per caso". Dimmi che è questa l'ora. Dimmi che è questo il luogo. Dimmi che anche tu, ogni volta che passi di qui, pensi che è il posto dove io ti ho scattato una foto a tradimento. Dimmi che sono vere quelle storie di persone che si conoscevano da anni e non si sono più viste e poi, quando si sono rincontrate, si sono innamorate. E ora vivono felici e contente. Dimmi...che anche se non me lo dici, mi cerchi anche tu e che ti sembra di vedermi in mezzo a tutta questa gente che pascola in mezzo alla magica storia di questo posto. Dimmelo...che, a differenza di tutti quelli che passano e mi guardano e che io fingo di non vedere, e che mi credono una pazza, e fuggono dal mio raggio, come se fossi contagiosa, dimmelo, che se mi vedessi qui, impegnata a scrivere, a te piacerebbe e non farebbe paura. Dimmelo. Perché io non farò nulla, perché ho deciso che non rischio, perché questa volta ho detto basta e non chiederò più niente. Dimmelo. Tra poco scenderò dal paese vecchio, tornerò alla piazza, prenderò un gelato e poi rincaserò. Non prima di aver ascoltato ancora una volta i rintocchi metallici delle campane. Non prima di avere origliato i discorsi dei passanti e fatto smorfie o sorrisi a seconda delle loro idiozie. Allora dimmelo. Dimmelo se sono nel posto giusto, all'ora giusta, per una volta nella vita. Se ho capito qualcosa di te...e forse anche di me. Dimmelo se anche questa domani passerà, come tutte le altre volte, e rimarrà solo l'impressione di un momento. Dimmelo che non posso saltare al collo di questa gente che mi distrae i pensieri e mi scatta foto come se fossi un'attrazione del paese. Dimmelo che tutto questo tempo e questo crampo alla mano e il male al polso non sono stati vani, Dimmi che tutte queste persone che hanno rischiato di scivolare da queste scale, che le loro voci, i loro sguardi, sono serviti a qualcosa. Dimmi...che queste nuvole a pecorella che macchiano un cielo di un blu che è spaventosamente bello e il verde degli alberi contrasta in armonia tutto il contorno...dimmelo...che lo stai vedendo anche a tu e che lo senti questo cinguettare insistente di passeri o chissà quale altro animale con le ali. Dimmelo che la poesia che impregna tutti questi mattoni non può essere solo mia...se non è anche la tua.

mercoledì 26 aprile 2017
lunedì 27 febbraio 2017
CIO' CHE NON C'E'....SI INVENTA
Qualche giorno fa, parlando con un mio conoscente, si era entrati nel discorso dei tempi in cui "Se qualcosa si rompeva, si sistemava. Se qualcosa non c'era, si inventava. Se qualcosa c'era, ma costava troppo, si costruiva". Sull'onda di questo discorso, così, mi sono tornate in mente tutte quelle cose che faceva mio padre quando io ero piccola. Volevo la casa per le Barbie. Cioè...io avrei voluto la casa originale, veramente...tipo quella con l'ascensore...ma ricordo benissimo e con una gran nostalgia quella che assemblò Rino. Prese un vecchio mobiletto con le rotelle, mia mamma disegnò un orologio e delle piante da attaccare alle pareti, levigarono gli sportelli con la carta vetrata, tinteggiarono le ante, piantarono un paio di chiodi per rimettere insieme i pezzi. Alla fine io non avevo la casa di Barbie...ma avevo un condominio con le ruote. E dentro c'era un letto a castello, spazioso, di legno grezzo ma rifinito benissimo, un pezzo di spugna per il materasso. Io non credo che le mie amiche abbiano mai avuto un letto a castello così!
Un giorno mi costruì una culla per le bambole. Era talmente fatta bene e grande che ci stava anche mia sorella di un anno dentro! No! Non le hanno avute tutti delle cose così.
Bastavano una scatola da scarpe e un pezzo di compensato per fare un appartamento soppalcato con scaletta in legno per giocare con gli ippopotami e le tartarughe degli ovini kinder. Da un uovo di pasqua avevo rimediato un divanetto e un caminetto che aveva una lucina che si accendeva per emulare il fuoco. Ed ecco un loft di tutto rispetto e anche di un certo qual stile!
Se non c'era si inventava. Se c'era ma costava troppo, si costruiva. Se si rompeva, si riparava.
La lavatrice di legno che funzionava davvero, la ruota della fortuna...e la mia casina! Il mio angolo al riparo dal mondo. Una casa vera, con un tavolino, la finestra, le tende, due scalini...e la porta con il lucchetto.
Se non c'era, si costruiva. Io ho avuto fortuna. Ho avuto una madre fantasiosa e un padre artigiano. Non aveva fatto scuole alte, anzi, aveva appena la terza elementare, eppure prendeva le misure con precisione millimetrica e trasformava il legno in ogni cosa.
Ho pensato che ogni bambino dovrebbe crescere come siamo cresciuti io e questa persona. Ho pensato che dovrebbe essere un diritto costituzionale quello di avere un padre e una madre (ma anche solo un padre, o anche solo una madre, o due madri, o due padri) che costruiscano quello che non c'è o non si può. Ho pensato che si dovrebbe fare insieme, che si dovrebbe riparare tutto quello che si rompe, che con il materiale a disposizione si possa fare ciò che si vuole.
Ho pensato che l'arte nasce dalla necessità. Ho pensato che non siamo più poetici. Che non sappiamo più incollare niente. Ho pensato che dovremmo imparare a fare la stessa cosa con la vita. A costruire quello che non c'è, quello che manca, quello di cui abbiamo bisogno. Che se rompiamo qualcosa dobbiamo incollarlo e ripararlo al meglio. Che servono colla, chiodi, legno, ferro, baci, carezze, parole.
Un giorno mi costruì una culla per le bambole. Era talmente fatta bene e grande che ci stava anche mia sorella di un anno dentro! No! Non le hanno avute tutti delle cose così.
Bastavano una scatola da scarpe e un pezzo di compensato per fare un appartamento soppalcato con scaletta in legno per giocare con gli ippopotami e le tartarughe degli ovini kinder. Da un uovo di pasqua avevo rimediato un divanetto e un caminetto che aveva una lucina che si accendeva per emulare il fuoco. Ed ecco un loft di tutto rispetto e anche di un certo qual stile!
Se non c'era si inventava. Se c'era ma costava troppo, si costruiva. Se si rompeva, si riparava.
La lavatrice di legno che funzionava davvero, la ruota della fortuna...e la mia casina! Il mio angolo al riparo dal mondo. Una casa vera, con un tavolino, la finestra, le tende, due scalini...e la porta con il lucchetto.
Se non c'era, si costruiva. Io ho avuto fortuna. Ho avuto una madre fantasiosa e un padre artigiano. Non aveva fatto scuole alte, anzi, aveva appena la terza elementare, eppure prendeva le misure con precisione millimetrica e trasformava il legno in ogni cosa.
Ho pensato che ogni bambino dovrebbe crescere come siamo cresciuti io e questa persona. Ho pensato che dovrebbe essere un diritto costituzionale quello di avere un padre e una madre (ma anche solo un padre, o anche solo una madre, o due madri, o due padri) che costruiscano quello che non c'è o non si può. Ho pensato che si dovrebbe fare insieme, che si dovrebbe riparare tutto quello che si rompe, che con il materiale a disposizione si possa fare ciò che si vuole.
Ho pensato che l'arte nasce dalla necessità. Ho pensato che non siamo più poetici. Che non sappiamo più incollare niente. Ho pensato che dovremmo imparare a fare la stessa cosa con la vita. A costruire quello che non c'è, quello che manca, quello di cui abbiamo bisogno. Che se rompiamo qualcosa dobbiamo incollarlo e ripararlo al meglio. Che servono colla, chiodi, legno, ferro, baci, carezze, parole.
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