POST TRISTE
Entro in casa sua…ed è vuota. Vuota, perché lei non c’è, è viva, ma non è lì. E a volte penso se riuscirà mai a tornarci, se riuscirà ancora a sedersi al tavolo della cucina e ad addormentarsi guardando la tv. Lei non c’è. E sento una sensazione asfissiante che mi pulsa dentro, un nodo che si blocca tra lo stomaco e l’esofago. Lei non è li. Dove vorrebbe essere. E’ in un letto d’ospedale a pensare a quale sarà il suo destino, ad aspettare. Aspettare che vada tutto bene…aspettare di tornare tra i suoi fornelli, tra le sue quattro mura. E mentalmente mi stendo vicino a lei, sul suo letto, con le lenzuola bianche e asettiche che la coprono fino al mento…e l’abbraccio, perchè è tutto quello che vorrei fare adesso. La stringo, la sento minuscola, fragile, impaurita, insicura. La sento tremare. E vorrei che tutto passasse subito, senza dolore, senza soffrire. Vorrei poterla guarire così, passandole una mano sulla fronte, cullandola un po’ tra le braccia. Ma non posso…non posso far altro che star qui, chiudere gli occhi e sperare. Affidarmi al destino e ripetermi che andrà tutto bene. Ma non va tutto bene, non c’è niente di bene. Prendo in mano il suo rosario, quello che le ho regalato da una gita a Roma, quello che dice che vorrebbe con sé se…e mi verrebbe voglia di pregare, ma non lo so fare, e mi maledico, per la prima volta in vita mia, di non avere fede in qualcosa di più grande, in qualcosa/qualcuno, che le possa stare più vicino di quanto non lo sia io…e che non le faccia avere paura…e che la rassicuri. Io non ci credo, ma lei si. E questo mi rasserena un po’.